Caccia tattici in azione/Monoplani della Regia: differenze tra le versioni

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===Gli artigli dei caccia<ref>Ciampaglia, Giuseppe: ''Quando la R.A. adottò il cannoncino da 20 mm'', RID nov 2008</ref>===
Molti avranno sentito parlare delle mitragliatrici dei nostri caccia del periodo bellico, ma in genere non se ne parla molto in dettaglio: spesso vengono definite ottime, anche più spesso con 'ottimo munizionamento', qualche volta si dice 'derivate dalla Browning'. Ma non è certo molto per armi che hanno valorizzato (relativamente) intere generazioni di caccia. Vediamo di ricostruirne la storia. La Breda è attualmente ben nota per le armi automatiche, fino al 40 mm di calibro. Abbiamo i cannoni Breda-Bofors, le produzioni su licenza Rheinmetall, Mauser, i cannoni americani Vulcan. Fa impressione pensare che negli anni '20 le cose fossero molto diverse. La Breda entrò nel mercato delle armi automatiche adattando alle esigenze nazionali le ottime Browning americane, le migliori sul mercato. La sostituzione maggiore fu quella dei tipi di munizioni: le 12,7x99 mm americane, ben più potenti (oltre 16 kJ), vennero sostituite con le 12,7x81 mm inglesi (circa 10.000 kJ), forse perché erano economiche (tanto che si cercò di limitare la cadenza di tiro anche per via del costo delle munizioni), mentre le armi leggere da 7,62x63 vennero sostituite dalle meno potenti 7,7x56R. La Breda, ovviamente, non era la sola ad avere interesse per questo mercato, anche in Italia. C'erano da sostituire le vecchie armi come le Vickers, con quelle di maggiore cadenza di tiro ora disponibili e necessarie. La maggiore cadenza di tiro era necessaria per aerei molto più veloci, oltre 300 kmh, e più robusti. La rivale della Breda, in Italia, si chiamava Società Anonima Fabbricanti Armi di Torino, erede di lunghe tradizioni sabaude e diretta dal col. Revelli. Ma dietro questa società, nota in breve come SAFAT, c'era la Fiat di Giovanni Agnelli. La partita sembrava persa in partenza, ma l'avvocato Mattioli lavorò molto per evitare la lobbying e far scegliere la commissione in base a criteri tecnici non influenzati dalla già all'epoca fortissima influenza del gruppo torinese. Con le mitragliatrici da 12,7 che pesavano ben 5 kg in meno, e per altre ragioni ancora, vinse la Breda. Tanto era forte la convinzione di rinnovare i successi precedenti, che Giovanni Agnelli rimase per contrappasso enormemente seccato dall'insuccesso e decise di uscire per 20 anni dalla produzione di armi automatiche. Così cedette la SAFAT alla stessa Breda e finì l'era 'sabauda' per le armi da fuoco italiane, che da allora si sarebbero identificate come le 'Breda'. Per molti anni, la loro reale provenienza non è stata chiarita e solo ultimamente sono saltate fuori pubblicazioni che ne riconoscono l'origine estera, sebbene sensibilmente rielaborate.
 
Eppure la Breda non era un'arma eccezionale, sia quella leggera (da cira 800-900 cp.min), sia quella pesante. La prima delle due entrò in produzione molto in anticipo, è la Modello 1928. Il primo lotto di CR.32, aereo normalmente associato alle 12,7 mm, in realtà era dotato di due sole 7,7 mm, che certo lo avranno esaltato in termini di agilità. La produzione iniziò infatti nel 1934, quando il modello da 12,7 mm, il Mod.1935, non era ancora disponibile (nel '35 vennero davvero omologate un mucchio di armi italiane, inclusi i cannoni da 20 e 47 mm). Così il successivo CR.32bis, disponibile da poco tempo quando iniziò la guerra in Spagna (corsi e ricorsi della Storia, dopo avere subito per secoli il dominio spagnolo in Italia), aveva ben 4 armi. Due erano nel muso, c'erano sempre le 7,7 mm, ma non era la stessa cosa: infatti le due da 7,7 mm erano ora nelle ali inferiori, mentre nel muso c'erano le due potenti 12,7 mm. In pratica, quest'armamento era forse il più potente tra quello che un caccia della metà degli anni '30 possedesse, superato solo da modelli come gli Hurricane (che volavano dal '35, ma entrarono in servizio solo nel '37). Il CR.32bis era però appesantito, e così il tipo -ter e il -quater si limiteranno alle due da 12,7 mm nel muso, aumentando la velocità da 355 a 375 kmh e in generale le capacità di combattimento.
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===Il primo dei monoplani: il G.50 Freccia===
 
 
===Il servizio dei caccia italiani: i Serie 0===
I monoplani italiani iniziarono la loro carriera in Spagna, dove pochi esemplari si impegnarono in una sorta di risposta ai Bf-109 e agli I-16, ma senza successi particolari, almeno a quanto se ne sa. I G.50 nascevano dal concorso per un nuovo caccia che venne esposto nel luglio 1936 dal Ministero: prima si pensava addirittura di chiedere due mitragliatrici da 12,7 e un cannone da 20 mm più una spezzoniera interna, ma all'inizio di quell'anno ci si ridusse ad appena una 12,7 mm e circa un'ora di autonomia; in seguito si ritornò a chiedere due 12,7 ma a scapito della spezzoniera. In effetti si volevano più tipi di caccia, tra cui intercettori, scorta e combattimento. Quest'ultimo ruolo lo avrebbe fatto sopratutto il Breda Ba.65, decisamente troppo pesante per essere impiegato come caccia, ma ben armato e robusto (seppure non altrettanto affidabile). Vi furono molte proposte, tra cui alcune furono totalmente fallimentari, come l'AUT.18 e il Ro.51, ma sopratutto i vari G.50, MC.200, Re.2000 e il Caproni F.5, un caccia che se prodotto avrebbe senz'altro rappresentato un notevole vantaggio per varie ragioni, che poi si elencheranno. Il G.50 era all'epoca inteso come un velivolo con una 12,7 mm nel muso e un 20 mm Oerlikon nell'ala destra, ma per diventare poi l'intercettore definitivo, quest'aereo, la cui progettazione iniziò nel settembre del '35, subirà altre variazioni. La costruzione iniziò nell'estate del '36 e il primo volo avvenne il 26 febbraio 1937. Strano a dirsi, divenne il Freccia, senza nemmeno un 'II' davanti, nonostante che questo fosse anche il nome del CR.32, all'epoca ancora in produzione, e disegnato dal predecessore del nuovo progettista Fiat, Celestino Rosatelli, che forse non fu tanto entusiasta dell'idea. Nato un anno dopo lo Spitfire e due dopo Hurricane e Bf-109, il G.50 era un velivolo pesante per quello che offriva, robusto, abbastanza veloce per la ridotta potenza motrice, ma nell'insieme mediocre 'Un aereo strano, che ha ammazzato un sacco di piloti' come lo ricordava Gorrini, e inferiore al MC.200 Saetta, nonché surclassato in combattimento aereo manovrato dall'F.5. Quest'ultimo era un velivolo pregevole, con struttura mista e costo decisamente inferiore agli altri, e nondimeno, velocità di salita e in generale superiori, seppure con una visibilità e autonomia scarse. Era un velivolo privo dei problemi di autorotazione degli altri monoplani italiani grazie alle ali a profilo variabile. Ma alla fine, vinsero i progetti Fiat e Macchi; il primo ebbe 45 aerei di preserie e poi 200 macchine di serie. Il vano portabombe originale venne chiuso senza riprogettare la fusoliera, che sarebbe stato un compito notevolmente gravoso. L'abitacolo chiuso venne abolito e sostituito con una 'gobba'. Vagamente simile al successivo G.55 in pianta alare, dalla superficie notevole (18,25 m2) esso, come prototipo N.2 era un aereo da 1.900 kg a vuoto, 2.330 kg carico; il motore A.74, affidabile ma non molto potente, dava 740 hp al decollo e 840 a 3.800 m, massimo 870 hp in superpotenza (con 100 giri in più per il motore, forse arrivava in tal caso a 2.500 al minuto). Arrivava a 400 kmh s.l.m, 483 a 4.500 m, 451 a 6.000 m, la velocità di crociera era indicata in 474 kmh a 5.400 m (ma questa valutazione sembra riportata in maniera erronea, a quella quota caso mai questa era la velocità massima, visti gli altri valori), velocità minima di 120 kmh, decollo in appena 200 metri e atterraggio in 323 m. L'autonomia a massima potenza di crociera era di 560 km, con 241 kg di carburante (in due serbatoi alari e uno dietro il motore), la salita a 4.500 m in 6,9 minuti e a 6.000 in 11,7 minuti, fino a arrivare a 10.700 m. Le due da 12,7 mm avevano 600 cp totali.
 
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===Re.2000===
Roberto Longhi era stato in America e come per Casiraghi della Piaggio, questa si dimostrerà un'esperienza importante per la sua formazione professionale. Così si spiegano le tante illazioni sulla produzione/clonazione del P-35. Accentuata dal fatto che il prodotto finale è rimasto pressoché sconosciuto ai più, dato che il Re.2000, prodotto in non molti esemplari ed esportato per la gran parte, non è stato mai particolarmente noto. Circa 10 anni fa, apparve su RID una lettera di un discendente del comandate de Prato, il collaudatore della Reggiane. Secondo quanto ne sapeva lui, c'erano due verità sul Reggiane RE.2000 Falco (a parte che dev'essere stato un periodo in cui l'Italia era davvero a corto d'idee, con almeno 3 o 4 aerei con lo stesso nome, più Saette e Folgori assortite; ad ogni modo il nome non venne ufficializzato dalla R.A. perché c'era già il CR.42, ma allora perché il CR.32 e G.50 portavano lo stesso nome, Freccia?). Una era 'la dannata tendenza dell'aereo a cadere in vite', cosa in genere negata dalla bibliografia italiana in quanto dotato di ali semiellittiche, a profilo variabile (come l'F.5) e quindi esenti da fenomeni di autorotazione. Stranamente, anche gli Ungheresi ebbero problemi del genere con il Falco, quindi forse le cose non erano poi così buone come vengono descritte da vari autori. Un'altra cosa era la derivazione dal P-35: non si sa come e quando, ma la discendenza pare sicura.
Roberto Longhi era stato in America e come per la Piaggio, questa si dimostrerà un'esperienza importante
 
Detto questo, vi sono anche delle differenze tra questi due caccia, entrambi destinati a restare prodotti 'di nicchia'. Gli aerei americani erano nati anni prima, ed era naturale che fossero meno avanzati in termini aerodinamici e di efficienza generale: dopotutto, il modello da cui discendevano era un idrovolante triposto. I Re.2000 volarono nel '39 ed erano quindi più avanzati, dopo tutto si trattava di macchine coeve dei FW-190, tanto per dirne uno. Gli aerei americani avevano un R-1830, quelli italiani, dal tettuccio più basso e dall'aspetto generale più compatto, il Piaggio P.XI RC.40, derivato dal GR.14N francese e riprogettato da Spolti e Mancini, con una potenza di 1.000 hp. Del resto attorno al '34 già la Seversky aveva offerto la licenza di produzione del SEV-3, l'antenato del P-35, e verso il '38 la Curtiss si sarebbe fatta avanti con il P-36/H-75. In effetti, l'autarchia italica proclamata da Mussolini, era più che altro propaganda: i motori erano quasi tutti produzioni estere rielaborate. Non importa se l'AS.6 del famoso Macchi MC.72 poteva erogare 2.600 hp, quello era un motore da record, sarebbe come se un'auto berlinetta ospitasse un motore da F.1. Di tipi realmente adatti ad impieghi operativi e continuativi c'erano molti modelli, ma tutti derivati da licenze francesi, inglesi e americane (spesso ulteriormente intrecciate tra di loro), mentre i tentativi di costruire (specie dalla I.F.) un motore valido per i caccia moderni finì in una serie di fallimenti imbarazzante. La soluzione, come sappiamo, fu la licenza dei DB-601 e 605. Quanto all'ufficio Reggiane, per partecipare alla gara del nuovo caccia venne costituito un ufficio che si appoggiò al progetto base del P-35 e lo rielaborò a partire dal '37. Alla fine ne venne fuori un velivolo dall'aspetto 'sgrassato' e più snello, ma la velatura, inclusa la coda, era ancora pressoché uguale, e a differenza dell'evoluzione della Republic (con il P-47), resterà in stile 'Seversky' anche dopo anni, con il Sagittario, sempre provvisto della classica coda romboidale. Dentro la struttura, per ottenere una grossa quantità di carburante, vennero invece usati i serbatoi integrali, scelta decisamente d'avanguardia (e forse troppo, visto che i problemi e le perplessità non mancarono).
 
Come primo aereo realizzato vi fu il prototipo MM.408. Era il solito dilemma: da un lato l'aereo era arrivato tardi rispetto agli altri competitori G.50 e C.200, dall'altro proprio per questo, era più avanzato. Il secondo prototipo MM.409 diverrà invece direttamente il Re.2001. Qui venne fuori una discussa gara per stabilire il caccia 'Serie 0' utile per la Regia in cui il caccia si dimostrava superiore nella maggior parte delle prestazioni, ma alla fine non venne adottato. Sul perché vi sono state molte discussioni nella nicchia di storici che si occupano della dinastia Reggiane: ufficialmente non piacevano i serbatoi integrali, troppo vulnerabili. Ma in realtà era il motore che veniva considerato poco adatto per un caccia, e in generale il costo dev'essere stato alto. Ma sopratutto, e questo vale anche per l'economico F.5 (sempre del gruppo Caproni), con già ben 3 tipi di caccia (G.50, CR.42 e C.200) in produzione, non tanto inferiori come capacità complessive, non si vede come l'aereo potesse, nel '39, essere interessante per la Regia Aeronautica, quale posto avrebbe potuto ottenere. Inoltre, presto sarebbe venuta l'era del motore DB-601: appena nell'anno successivo venne fuori il Re.2001. Inoltre, se il Re.2000 fosse entrato in servizio, questo avrebbe potuto accadere non prima del '41, quando sarebbe stato decisamente sorpassato: fino ad allora con cosa la R.A. avrebbe potuto affrontare il problema del riequipaggiamento della sua linea? Avrebbero costruito centinaia di aerei nel '39-40 e poi li avrebbero rottamati nel '41, solo per passare ad un velivolo ancora da mettere a punto e con capacità appena maggiori? In toto, riesce difficile criticare la scelta fatta (eccetto per i caccia Fiat, il cui unico pregio fu di dare il là al successivo G.55, mentre si sarebbe fatto meglio ad accettare la costruzione su licenza del Macchi 200). Il Re.2000 dimostrò, in combattimenti aerei simulati durante il '40, di essere più agile del Bf-109E (cosa non difficile, in verità) e dicono alcune fonti, del CR.42 (molto difficile da credere, forse volevano dire che si dimostrò superiore in combattimento, ma non è la stessa cosa). Tuttavia l'armamento era sempre di due armi da 12,7, e la velocità non superava i 515 o 530 kmh. Quindi la sua vocazione 'export' e il suo aspetto, erano analoghi alla storia del coevo P-43 Lancer della Republic.
I Reggiane RE.2000 erano i primi caccia metallici del gruppo Caproni, ma volarono solo il 24 maggio 1939, quando gli ordini per i Macchi e i G.50 erano già in essere. Questi primi caccia erano afflitti da problemi di autorotazione dati da profili alari troppo semplici. Nel caso dei Macchi almeno, vennero risolti, ma di fatto non venne trovato lo spazio per i successivi RE.2000 e F.5, che invece nascevano con ali semiellittiche. La velocità massima del prototipo del RE.2000 Falco era di 515 kmh a 5.000, e mostrò di essere un aereo molto agile, ma il motore Piaggio, per quanto più potente, non piaceva per la scarsa affidabilità, e i serbatoi integrali alari, per quanto molto validi in termini di capacità di carburante, non erano graditi in quanto ritenuti vulnerabili: la RA all'epoca era una delle poche aviazioni che si preoccupava di costruire dei serbatoi autostagnanti, o meglio 'semapizzati'. Alla RA vennero consegnati 5 aerei, incluso il prototipo, che servirono nella 74ima Sq in Sicilia, poi ribattezzata 377a Sq Autonoma Caccia Terrestre, ricevendo successivamente 9 Serie III. L'aereo ebbe un certo impiego, ma di sicuro questi pochi velivoli, che tra l'altro erano piuttosto bisognosi di messa a punto, non lasciarono molta traccia di sé, pur operando su Malta e Pantelleria. La Regia Marina pensò bene di usare i Reggiane per sostituire i vecchi Romeo Ro.43 o 44, come caccia catapultabili (come stavano anche pensando i britannici per gli Hurricane e le navi CAM), e alcuni entrarono davvero in servizio, tanto che le corazzate italiane l'8 settembre avevano a bordo alcuni di questi aerei. Le Sr. II e III ebbero la radio a bordo, cosa che la prima non aveva. Il Reggiane fu molto importante per l'uso da parte degli Ungheresi e della Svezia. In tutto ben 70 aerei raggiunsero i Magiari, e 60 la Fligvapnet. Non solo, ma fino al '40 vi fu il concreto interesse di altre nazioni, in particolare la Gran Bretagna, disperatamente in cerca di qualsiasi aereo utilizzabile, stabilì contatti anche con l'Italia. Si parlava di 300 (alcune fonti addirittura 1.000) caccia, così come si volevano centinaia di bimotori Caproni da addestramento (Ca.313). Del resto anche i Francesi ebbero la stessa necessità, tanto che al momento della guerra tra le due nazioni erano stati consegnati i primi 5 dei 300 Ca.313F ordinati. Il servizio in Svezia ebbe luogo nominando l'aereo come J20 (erano dei Serie I), consegnati tra il 1941 e il 1943. Servirono con l'F10 di Bulltofta (Malmo), ed ebbero molto da fare per mantenere la neutralità svedese dalle incursioni aeree di entrambe le parti. Un J20 venne abbattuto il 3 aprile 1945 dalla Luftwaffe, che del resto abbatté anche altri aerei italiani in servizio con i colori svedesi, i Ca.313. Il Reggiane era discretamente considerato, ma bisognoso di troppa manutenzione e non molto affidabile. Alal fine della guerra i 37 J20 rimasti in servizio, oramai logori, vennero tolti rapidamente dal servizio, già nel luglio 1945. Uno è sopravvissuto, praticamente l'unico Re.2000 di cui si abbia notizia, almeno tra quelli in condizioni discrete di conservazione.
 
I Reggiane RE.2000 erano i primi caccia metallici del gruppo Caproni, ma volarono solo il 24 maggio 1939, quando gli ordini per i Macchi e i G.50 erano già in essere. Questi primi caccia erano afflitti da problemi di autorotazione dati da profili alari troppo semplici. Nel caso dei Macchi almeno, vennero risolti, ma di fatto non venne trovato lo spazio per i successivi RE.2000 e F.5, che invece nascevano con ali semiellittiche. La velocità massima del prototipo del RE.2000 Falco era di 515 kmh a 5.000, e mostrò di essere un aereo molto agile, ma il motore Piaggio, per quanto più potente, non piaceva per la scarsa affidabilità, e i serbatoi integrali alari, per quanto molto validi in termini di capacità di carburante, non erano graditi in quanto ritenuti vulnerabili: la RA all'epoca era una delle poche aviazioni che si preoccupava di costruire dei serbatoi autostagnanti, o meglio 'semapizzati'.
Gli Ungheresi ebbero una vita più breve e movimentata. Noti come Falcone, o meglio, Héja, erano in due lotti, il I e il II con mtore e mitragliatrici ungheresi. I motori erano in entrambi i casi derivati dallo stesso tipo francese, ma la mitragliatrice ungherese era un'arma da 12,7 mm bicanna, un tipo davvero raro all'epoca. Forse per il cambiamento dei pesi, forse per l'aggiunta di corazzature protettive, il Falco ungherese era sì efficiente come macchina da combattimento, ma anche molto prone allo stallo e alla vite, con incidenti anche mortali assai frequenti. La squadriglia dislocata sul fronte orientale ebbe tutti i suoi 24 aerei incidentati almeno una volta ed entro il primo mese di guerra. Gli Ungheresi erano abituati ai CR.32, molto meno critici in termini di agilità, e molto più solidi quanto a carrello d'atterraggio. Uno dei peggiori episodi fu quello che vide Istvan Horthy, pilota di lustro (figlio del reggente d'Ungheria) precipitare con il suo apparecchio, nel 1942.
 
In definitiva, la Reggiane, in un certo senso, era più che l'equivalente della Republic, l'equivalente della Seversky, se non della Brewster. Le commesse possibili per tanti clienti esteri, tra cui anche Portogallo, Svizzera (50), Spagna (altri 50), Yugoslavia (50 e la licenza di produzione), Finlandia (100), di fatto non potevano essere soddisfatte. La R.A. ebbe poco da fare con questi numeri, ottenendone in tutto 26-28. Quattro ebbero poi una trasformazione, nei tipi GA a grande autonomia, con circa 800 litri di benzina, tra otto e 10 erano del tipo Cat. e dodici erano nati come RE.2000GA o RE.2000bis, con i P.XIbis leggermente migliorati.
 
Alla RA vennero consegnati 5 aerei, incluso il prototipo, che servirono nella 74ima Sq in Sicilia, poi ribattezzata 377a Sq Autonoma Caccia Terrestre, ricevendo successivamente 9 Serie III. L'aereo ebbe un certo impiego, ma di sicuro questi pochi velivoli, che tra l'altro erano piuttosto bisognosi di messa a punto, non lasciarono molta traccia di sé, pur operando su Malta e Pantelleria. La versione GA, e in generale l'acquisizione del RE.2000 nella Regia fu dovuta al fatto che nel tipo GA era l'unico che poteva andare a trasferirsi in Africa Orientale, senza andare dentro la pancia degli SM.82 da trasporto (il che significa che la tratta superabile doveva essere di circa 2.000 km). Ma gli aerei arrivarono solo nell'aprile 1941, troppo tardi (stava finendo la battaglia di Cheren). Non solo, erano anche da mettere a punto, con problemi così gravi che alla fine dovettero essere radiati, già nel novembre 1942.
 
La Regia Marina pensò bene di usare i Reggiane per sostituire i vecchi Romeo Ro.43 o 44, come caccia catapultabili (come stavano anche pensando i britannici per gli Hurricane e le navi CAM), con motore XIbis e tettuccio modificato. Il prototipo andò in volo il 12 luglio 1941 e alcuni entrarono davvero in servizio, tanto che le corazzate italiane l'8 settembre avevano a bordo alcuni di questi aerei. Le Sr. II e III ebbero la radio a bordo, cosa che la prima non aveva. Solo due Reggiane 2000 Cat sopravvivevano all'8 settembre (forse escludendo le perdite sulla Roma?) e uno alla fine della guerra. Per il resto vi furono prototipi ricognitori (destinati a diventare il Re.2003) e con il DB-601 (RE.2001), anche un RE-2001bis (MM.538) e l'Mm.5070 come prototipo RE.2002.
 
Il Reggiane fu molto importante per l'uso da parte degli Ungheresi e della Svezia. In tutto ben 70 aerei raggiunsero i Magiari, e 60 la Fligvapnet. Non solo, ma fino al '40 vi fu il concreto interesse di altre nazioni, in particolare la Gran Bretagna, disperatamente in cerca di qualsiasi aereo utilizzabile, stabilì contatti anche con l'Italia. Si parlava di 300 (alcune fonti addirittura 1.000) caccia, così come si volevano centinaia di bimotori Caproni da addestramento (Ca.313). Del resto anche i Francesi ebbero la stessa necessità, tanto che al momento della guerra tra le due nazioni erano stati consegnati i primi 5 dei 300 Ca.313F ordinati. Il servizio in Svezia ebbe luogo nominando l'aereo come J20 (erano dei Serie I), consegnati tra il 1941 e il 1943.
Gli Svedesi li ordinarono il 28 novembre 1940 con motore RC.40D, e inizialmente dovevano chiamarsi J-12, il che però avrebbe portato della confusione con altri tipi con la stessa sigla numerica.
Servirono con l'F10 di Bulltofta (Malmo), ed ebbero molto da fare per mantenere la neutralità svedese dalle incursioni aeree di entrambe le parti. Un J20 venne abbattuto il 3 aprile 1945 dalla Luftwaffe, che del resto abbatté anche altri aerei italiani in servizio con i colori svedesi, i Ca.313. Il Reggiane era discretamente considerato, ma bisognoso di troppa manutenzione e non molto affidabile, francamente la messa a punto lasciava parecchio a desiderare. Alla fine della guerra i 37 J20 rimasti, oramai logori, vennero tolti rapidamente dal servizio, già nel luglio 1945. Uno è sopravvissuto, praticamente l'unico Re.2000 di cui si abbia notizia, almeno tra quelli in condizioni discrete di conservazione.
 
Gli Ungheresi ebbero una vita più breve e movimentata. Vennero ordinati già il 27 dicembre 1939 e sopratutto, oltre a ben 70 aerei, l'Ungheria avrà altri 191 apparecchi prodotti su licenza (il numero è controverso, a dire il vero). Noti come Falcone, o meglio, Héja, erano in due lotti, il I e il II con mtoremotore e mitragliatrici ungheresi. I motori di entrambi i tipi (nel caso di quelli ungheresi, i Manfred-Weiss K.14B da 986 hp) erano in entrambi i casi derivati dallo stesso tipo francese, ma la mitragliatrice ungherese era un'arma da 12,7 mm bicanna, un tipo davvero raro all'epoca. Forse per il cambiamento dei pesi, forse per l'aggiunta di corazzature protettive, il Falco ungherese era sì efficiente come macchina da combattimento, ma anche molto prone allo stallo e alla vite, con incidenti anche mortali assai frequenti. La squadriglia dislocata sul fronte orientale ebbe tutti i suoi 24 aerei incidentati almeno una volta ed entro il primo mese di guerra. Gli Ungheresi erano abituati ai CR.32, molto meno critici in termini di agilità, e molto più solidi quanto a carrello d'atterraggio. Uno dei peggiori episodi fu quello che vide Istvan Horthy, pilota di lustro (figlio del reggente d'Ungheria) precipitare con il suo apparecchio, nel 1942.
 
Uno sviluppo diretto fu il RE.2002 Ariete II, originariamente nato come un'alternativa autarchica al RE.2001 con il DB-601. IN pratica si sostituiva il P.XI con il P.XIX RC.40 da 1.160 hp, teoricamente nazionale ma in pratica derivato da precedente. Entrambi gli sviluppi del RE.2000 erano chiamati Ariete, e il RE.2002, che volò secondo una richiesta dell'aprile del '40 da parte della RA. Del resto anche Longhi preferiva un motore radiale. Il prototipo volò sempre a Reggio Emilia con De Bernardi, come già gli altri Reggiane, nell'ottobre 1940. Ma il motore causò molti problemi e così venne afflitto da notevoli ritardi. Nel novembre 1941 vennero chiesti 100 aerei e il primo di serie volò il 18 maggio 1942, stavolta con Tullio de Prato. L'ultimo di questi aerei, consegnati in circa 8 mesi, fu consegnato solo il 29 luglio 1943, quando oramai molti di essi erano andati distrutti già in un tentativo disperato di fermare gli Alleati in Sicilia. La Serie II venne ordinata contemporaneamente, ma i collaudi iniziarono solo il 28 giugno 1943. Solo 40 vennero completati all'Armistizio, altri 25 venero prodotti tra ottobre e gennaio del '44, sotto controllo tedesco. La LW era interessata al RE.2002, come piccolo FW-190. Dopotutto, per quanto inefficiente per molti aspetti, e tutto sommato obsoleto nel '43, era pur sempre il più potente dei cacciabombardieri italiani. Almeno 40 finirono con insegne tedesche. In tutto si arrivò secondo alcune fonti, ad altri 100 aerei Serie II. Ma non è chiaro affatto come le cose andarono. La LW era interessata ad un altro lotto di 30 aerei e a un RE.2002 con ala a cinque longheroni, serbatoi integrali (aboliti dopo il RE.2000) e motore BMW 801, quello del '190. Ne voleva ben 300, ma dopo i bombardamenti del 7-8 gennaio 1944, le cose cambiarono in peggio. Non è affatto chiaro quanti RE.2002 venissero costruiti: dopo i bombardamenti di Reggio Emilia, la produzione sarebbe stata spostata alla Caproni di Biella (2) e Milano (forse 60, 27 dei quali però subito demoliti). In tutto si potrebbe anche arrivare ad un totale di 250 aerei di serie e il RE.2000 modificato. Tuttavia, solo 140 di essi vennero realizzati prima dell'armistizio. 18 aerei vennero adattati al bombardamento in picchiata (prodotti nell'agosto del '43, forse con freni di picchiata), e altre versioni studiate rimasero sulla carta. Il Reggiane 2002 entrò in servizio solo il 18 dicembre 1942 e non ebbe mai un motore pienamente soddisfacente. Nondimeno venne usato dal 5° Stormo e uscì in azione, dopo un addestramento intenso, dal 10 luglio 1943 con i gruppi 101 e 102 a Crotone. Fu un impiego disperato. Vi furono attacchi al suolo con mitragliamenti di mezzi da sbarco e di azioni antinave con bombe da 100 e 250 kg, le prime sotto le ali e le altre sotto la fusoliera. Il risultato netto fu la perdita di 14 aerei in aria, tra cui quello del grande Giuseppe Cenni, e di altrettanti al suolo. I RE.2002 superstiti rientrarono in azione poco dopo l'armistizio, dal 18 settembre, per supportare le truppe del Dodecanneso, talvolta intercettando gli Ju-87 tedeschi. Al 2 giugno i logori Reggiane erano rimasti solo 11, usati dalla Scuola Addestramento Caccia di Lecce-Leverano. Attorno al maggio '45 vennero radiati, per cui fecero appena in tempo a vedere la fine della guerra. Dal canto loro, i Re.2002 tedeschi vennero invece usati in azione contro la resistenza francese (i 'maquisards'), ottenendo discreti risultati, con almeno un aereo abbattuto dal fuoco contraerei. La carriera del RE.2002, tutto sommato, fu piuttosto intensa per una macchina apparsa palesemente tardi e che venne prodotta solo in poche centinaia di esemplari. In pratica, esso fu il 'vero' RE.2000 della Regia Aeronautica, di cui era a tutti gli effetti una versione cacciabombardiere, con 160 hp e due mitragliatrici da 7,7 in più.
 
===MC.200===
Questo aereo divenne il vero 'best-seller' dei monoplani italiani di prima generazione. Asciutto, con la cappottatura del motore caratterizzata da tipiche 'bugnature' per i cilindri del motore, era un valido caccia ma presto divenne anche obsoleto, dato che con 840 hp non era materialmente possibile ottenere un velivolo competitivo nel lungo periodo. Il suo vero merito fu l'iniziare una tradizione di aerei da caccia che è durata fino al Macchi 205-7, o se si preferisce, fino ad oggi con la rinascita postbellica (ma senza più un diretto legame, dato che si parla del MB.326).
 
Spesso si sente affermare che il Macchi 200 fosse un velivolo talmente valido, da superare l'Hurricane. E' un'affermazione che episodicamente potrà anche essere supportabile, ma qui va aperta una lunga parentesi. Nella vecchia ma valida enciclopedia Armi da Guerra (De Agostini, ma è la versione italiana di un'opera britannica) n.99, si legge in proposito che il Macchi 200 che esso, svantaggiato da un motore abbastanza potente, quando entrò in servizio nel '39 ''era già surclassato dall'Hurricane che volò 2 anni prima''. Ancora, si dice che i Saetta ''si batterono bene contro gli Hurricane Mk.I'', che non è necessariamente in contraddizione. Infatti si afferma anche che ''poterono confrontarsi quasi alla pari con i primi Hurricane Mk.I''. Poi, nella sezione 'I Caccia dell'Asse nel deserto'', si dice che ''Ovviamente, di fronte a macchine come l'Hurricane e il Tomawhak, che equipaggiavano sei squadroni britannici e della SAAF, gli italiani non erano riusciti ad assicurarsi l'iniziativa tattica, perché i loro G.50 e C.200 erano alquanto inferiori ai caccia Alleati''. Poi si racconta di come le cose cambiarono quando entrarono in servizio i Bf-109E del I/JG 27, che iniziarono abbattendo un Hurricane il 19 aprile 1941, e nel corso di sei settimane i 37 piloti del gruppo distrussero 63 aerei, quasi quanto gli italiani negli 8 mesi precedenti sulla guerra del deserto. Si parla anche dei CR.42 e dei Gladiator: inizialmente gli italiani avevano il CR.42 e i britannici erano parimenti 'poveramente equipaggiati con alcuni Gladiator'. Nelle relativamente rare occasioni in cui questi due protagonisti ebbero modo di incontrarsi ottennero risultati pressoché pari: in generale la R.A. aveva piloti molto abili (acrobaticamente) e l'equilibrio tattico era mantenuto dall'aggressiva attitudine dei piloti della RAF (tradotto, andavano più al sodo, con meno piroette nel cielo).
 
In tutto, i Macchi 200 vengono dunque considerati inferiori, seppure di poco agli Hurricane Mk.I. Quanto ai successi, a parte i successi rivendicati dagli aviatori italiani (al solito, alquanto 'fuori' dalla realtà), nei fatti i britannici soffrirono relativamente poco. Le poche decine di Hurricane della RAF su Malta, in Grecia, in Africa (Nord e Est) tennero bene banco, e provocarono molti danni, oltre a supportare un'operazione micidiale come la Compass (annientamento quasi totale delle armate italiane nel Nord Africa, dicembre 1940). Nonostante che i piloti venissero ritardati nella preparazione dalla lunghissima rotta di Takoradi a cui i caccia erano costretti per giungere in zona operativa ed essere assegnati ai cacciatori. Ad un certo punto, in singole missioni, sembrava quasi una strage di nemici. Il 4 settembre 1941, 19 MC.200 andarono su Malta subendo l'attacco di numerosi Hurricane in picchiata, dei quali avrebbero abbattuti 5 esemplari, ma subendo la perdita dell'aereo del comandante Romagnoli, così da ritornare in azione quello stesso giorno a cercarlo, visto che c'era la speranza che si fosse salvato. Non lo ritroveranno, ma i trenta C.200 che ritornarono su Malta rivendicarono ben 16 Hurricane e Beaufighter, contro un'altra perdita. Insomma, a sentire loro avrebbero sterminato metà caccia britannica dell'isola. Anche se subirono solo poche perdite (2 più almeno tre aerei danneggiati gravemente), è chiaro che si trattava del solito 'overclaiming'. Durante la missione di supporto dell'assalto di Tesei a Malta (gen 1941), i Macchi cercarono di proteggere i due MAS senza riuscirci, ma persero due dei loro. Ovviamente dichiararono 3 vittorie, però agli inglesi ne risulta una e per anni è stata contesa dall'armamento a.a. delle navi della Marina. Ecco come un risultato può sempre essere ribaltato. E' un dato di fatto che i Macchi 200 non intaccarono, malgrado gli sforzi, la potenza aerea britannica, e che Hurricane, e poi P-40, risultarono del tutto in grado di dominare le proprie zone operative. Quando arrivò la LW con i Bf-109E, in poche settimane i Britannici ebbero perdite pesanti, ma stavolta erano perdite 'vere', non dichiarate e basta, tanto che a Malta i loro reparti da caccia, prima addirittura abituati a volare sopra la Sicilia per attaccare qualche bersaglio utile, divennero una realtà appena percettibile nella difesa della stessa isola.
 
Come caccia, il Macchi 200 era senz'altro un problema per l'Hurricane, ma bisogna vedere anche quale tipo di Hurricane. L'Mk.I era appena più veloce, sopratutto dopo che ebbe (fin dal '39) l'elica tripala metallica, specie la Rotol a giri costanti: circa 520-530 kmh nelle migliori condizioni, circa 450 slm. Ma tra i 4 e i 5.000 m, se non anche più in basso, il Macchi 200 era sufficientemente veloce per dare problemi all'Hurricane. In quota, però, a 6.000 m, il macchi alle prove non andava che a 493 kmh, scendendo notevolmente rispetto all'Hurricane. L'Hurricane a sua volta era handicappato dal filtro Vockes, troppo ingombrante e tale da causare una perdita di circa 30 kmh di velocità massima.. Ad alta quota, sopra i 6.000 m, però, il Macchi era spacciato. La sua quota massima era di appena 8.800 m, meno dei G.50 e persino dei CR.42 (sebbene a 6.000 m il G.50 facesse solo 451 kmh), che potevano quasi competere con gli oltre 10.000 m dell'Hurricane. A circa 7.000 m, il Macchi cadeva vi velocità a meno di 400 kmh, decine di meno dell'Hurricane. Quello che aveva di buono era la velocità ascensionale, ma sopra i 6.000 m presumibilmente perdeva il vantaggio.
 
L'Hurricane Mk.II prototipico arrivava ad essere veloce come il Bf.109E, ben 560 kmh, poi ridotti a 551 per l'Mk.IIA. Calarono a 545 per l'Mk.IIB con 12 mitragliatrici anziché 8, e a 538 con l'Mk.IIC con 4 cannoni da 20 mm, forse un pò appesantito (mentre sicuramente lo era l'Mk.IID con due armi da 40 mm, che erano intese come anti-bombardiere ma poi divennero controcarri). L'Mk.II era molto più veloce anche in salita anche se ancora, a quote medio-basse, non efficace quanto il piccolo Macchi in tal senso, ma ora la differenza di velocità, diciamo sui 10 kmh, era quadruplicata e si facesa sentire anche a quote medio basse; per gli Mk.II trop le prestazioni erano grossomodo quelle di un Mk.I 'puro'.
 
L'Hurricane era più veloce, del Macchi (in orizzontale e presumibilmente, in picchiata, inferiore in salita), di poco a bassa quota, ma in maniera apprezzabile alle quote maggiori; il Macchi era più agile, specie come rapidità di virata; l'Hurricane era molto più armato e anche meglio protetto; la sua autonomia era maggiore, la strumentazione di bordo e l'abitacolo (chiuso) erano migliori per operazioni difficili (per esempio in Nord Europa).
 
L'Hurricane trovava un pericoloso avversario nel Macchi 200, senz'altro; ma non era senza difesa, non lo era nemmeno contro il Bf-109E che oltretutto, era portato in azione con una tecnica più efficiente da parte tedesca (mentre i britannici a loro volta superavano gli italiani, specie dopo gli insegnamenti della B.o.B.). I combattimenti aerei a stento avranno visto una parità, tra questi due oppositori, in termini di perdite reali, e anzi, è ben più probabile che l'Hurricane se ne uscisse con la 'upper hand'. Con l'Mk II, più armato e veloce, la differenza diventava notevole.
 
Inoltre, un caccia non deve fare solo il 'caccia': il C.200 o il Ki-27 e 43 erano eccellenti dogfighters, ma questo non basta per farne dei velivoli completi. Altri lati della specialità sono: la caccia di scorta, l'attacco al suolo, pattugliamenti in volo, intercettazione di bombardieri, impiego notturno, impiego imbarcato, ricognizione, addestramento avanzato.
 
Il Macchi, come si è visto, era pericoloso, ma non superiore all'Hurricane I (specie se questo era ad alta quota e-o senza filtro antisabbia), per non dire dell'Mk.II; come intercettore, era più rapido in salita, ma saliva meno in alto, il pilota non aveva ausili decenti, inizialmente nemmeno la radio ricetrasmittente (o anche la sola ricevente), né corazze protettive; l'Hurricane poteva seguire in ritardo durante la salita, ma poi in orizzontale recuperava la distanza, e quando era a contatto del nemico, poteva 'spennarlo' a 10.000 colpi al minuto. Inoltre aveva una maggiore autonomia, specie con serbatoi ausiliari, per cui poteva anche semplicemente aspettare già in quota (ai tempi della B.o.B. ci si andava anche 4 volte al giorno, parlo di oltre 9.000 metri), senza bisogno di partire ogni volta da 'zero' per carenza di benzina.
 
Come intercettore, l'Hurricane Mk.I poteva contare su di un output di circa 1,7 kg/sec, contro circa 0,65 kg/s di un Macchi. Anche se le mitragliatrici di grosso calibro avevano una portata pratica maggiore e una superiore distruttività contro strutture robuste, era una differenza troppo grande. I successivi Hurricane Mk.II ebbero 12 (spesso ridotte a 10 per velocizzare il riarmo) Browning, e poi 4 cannoni da 20 mm (6 kg/s). L'autonomia di fuoco del Macchi era maggiore (circa 40 secondi), ma come sempre c'é un compromesso ideale. L'Hurricane, sia pure con un'autonomia di fuoco di meno di 20 secondi, era meglio armato. Del resto il Bf-109E aveva un output di 2,5 kg ma solo per sette secondi (così come lo Zero) dopo di che perdeva i 20 mm e doveva arrangiarsi con le sole due mitragliatrici, che avevano sì un'autonomia di 60 secondi, ma un output di appena 0,4 kg/s a far tanto: i loro 2.000 colpi, sparabili in non meno di 60 secondi, erano tirabili dall'Hurricane in appena 12-13 secondi, e questo faceva la differenze, sopratutto ora che i combattimenti erano sempre più rapidi e il tempo utile per sparare sempre minore. Così anche il Bf-109 o lo Zero, nonostante la ridotta autonomia di fuoco, erano pur sempre ben rispettati quanto ad armamento cannoniero, anche se era un 'jolly' da giocare con attenzione e prudenza. L'ideale fu poi il cannone da 20 mm con alimentazione a nastro anziché a tamburo, con 120-250 cp per arma. Benché il Macchi 200 e gli altri caccia analoghi avessero una buona dotazione di proiettili (e un contacolpi elettrico), armi affidabili e capaci di erogare costantemente un certo volume di fuoco, e con proiettili tutti dotati della stessa balistica, il loro armaemnto era insufficiente. Spesso bombardieri leggeri come i Blenheim riuscivano a sfuggirgli anche se ripetutamente colpiti, mentre gli Hurricane potevano inchiodare i bombardieri medi come gli S.79 e BR.20 con un singolo passaggio. Non c'era partita, insomma.
 
La maggiore autonomia giovava anche come missioni di caccia di scorta, sia questa che l'armamento base erano superiori nell'attacco al suolo, per giunta l'Hurricane divenne presto capace di portare 500 kg di armi, contro non più di 200-300 del Macchi quando trasformato in cacciabombardiere. La capacità degli Hurricane di volare dietro le linee nemiche, con i serbatoi ausiliari, fu uno degli elementi che contribuirono a sconfiggere i francesi in Siria, per esempio. Quanto all'impiego come caccia notturno, il Macchi non pare nemmeno sia stato considerato, mentre l'Hurricane era non solo abile, ma usato con successo. Come caccia ricognitore, l'Hurricane era in grado di volare, appositamente modificato, ben 5 ore a 10.000 metri, una prestazione che il Macchi 200 nemmeno si poteva sognare. Come caccia imbarcato si considerò il G.50 e il Re.2001, ma non il Macchi; come caccia imbarcato, il Sea Hurricane era un valido apparecchio, molto importante per la RN tra il 1941 e il 1943. Infine, un compito non meno valido, quello dell'addestramento avanzato: il Macchi 200 era un tipo pittosto 'nervoso' e anche qui non pare avesse particolare successo, mentre l'Hurricane era 'buono' e 'pigro', un padre di famiglia che non faceva scherzi di sorta e preparava così il pilota a 'domare' i vari Mustang, Tempest e Spitfire, certamente macchine più critiche nel pilotaggio.
 
In tutto, quindi: come caccia, un bel match e dipende dalle condizioni e versioni, ma l'Hurricane è quanto meno pari e in molti casi superiore, quindi in media vincente, sia pure di poco; come intercettore, è superiore per armamento, dotazioni, autonomia ecc; come cacciabombardiere vince ancora l'Hurricane per autonomia, protezione e armi; come caccia notturno e imbarcato il Macchi nemmeno è stato considerato, quindi vittoria piena per l'Hurricane; come ricognitore, anche qui netta superiorità, specie in quota; come addestratore, l'Hurricane è senz'altro più adatto di un caccia piccolo, nervoso e un pò troppo propenso a stallare e all'autorotazione. Quindi, su sette specialità della pagella (caccia+, intercettore++, cacciabombardiere++, ricognitore++, addestratore+, aereo imbarcato, caccia notturno e ricognitore praticamente senza concorrenza) l'Hurricane è quanto meno paragonabile in due o tre, e superiore o totalmente senza comparazione per le altre.
 
Tutto questo vale anche per il P-40, a parte le prestazioni in quota, assai mediocri, ma come velocità è superiore anche all'Hurricane, così come in autonomia (ma non è stato particolarmente usato come ricognitore, caccia notturno e tanto meno imbarcato).
 
Di fronte a tutto questo il macchi può esibire la sua famosa virata stretta, sempre che non vada in autorotazione (non è chiaro se il problema venne risolto al 100% da Stefanutti), ma questo, come già per i vari Ki-27 e 43, non è indicazione di netta superiorità come caccia, e tanto meno come macchina bellica in generale, fermo restando che P-40 ed Hurricane erano piuttosto mediocri e che a differenza dell'MC.200 non consentivano margini di crescita apprezzabili; mentre dal canto loro, alla Hawker dovettero affrontare il problema radicalmente, con nuovi aerei dalla tribolata (sopratutto causa motore) messa a punto. Ma questa, al solito, è un'altra storia.
 
Tra le esperienze, quella di un pilota, tale Ten De Giorgi. Il 25 luglio, 2 anni esatti prima della caduta di Mussolini, era decollato assieme a circa 30 compagni per scortare un unico Z.1007, un ricognitore a lungo raggio di notevole valore per la velocità e la quota maggiori di quelle degli altri bombardieri italiani. Il Saetta aveva ancora all'epoca spesso carenze tecniche notevoli, ovvero la mancanza di una radio ricetrasmittente. Mentre stava volando assieme al ricognitore, all'improvviso vide delle sagome alle sue spalle. Pensava che fossero i caccia della scorta indiretta, ma questi in realtà avevano perso il contatto con il CANT, nonostante che il quell'assolato giorno di sole non vi fossero nuvole. Così restavano solo i caccia della scorta diretta, circa 15 aerei. Mentre De Giorgi pensava che fossero gli altri cacciatori che stavano ricongiungendosi, sotto i suoi occhi vide il suo bombardiere investito da un fiume di traccianti e incendiato. Erano gli Hurricane! Anche il suo aereo venne colpito da alcune pallottole e lui ferito. Vide ad un certo punto di essere solo, tranne un paio di compari che alle loro spalle avevano un incomodo, la sagoma minacciosa di un Hurricane. Avrebbe voluto avvisarli, perché non si rendevano conto di essere sotto attacco, ma non poteva farlo; allora cercò di avvisarli sparando con le mitragliatrici grazie alle traccianti. La cosa però attirò anche l'attenzione dell'inglese, che annullò l'attacco ai due 'polli', per cambiare bersaglio: il Saetta di De Giorgi, che venne colpito più duramente di prima e prese fuoco. De Giorgi saltò giù a tale velocità da fratturarsi 4 costole per lo strattone con l'imbracatura del paracadute, e quando si aprì il paracadute, la decelerazione fu sufficiente ad accecarlo temporaneamente, perché si erano rotti alcuni vasi sanguigni degli occhi. Era una situazione terribile, e per giunta, il liquido repellente antisqualo era andato perduto nel lancio. Venne recuperato da un idrovolante inglese e operato a Malta, per cercare di salvargli la gamba ferita dalle pallottole. Ci riuscirono. In seguito ebbe la visita del pilota che l'aveva abbattuto e notò che la gente di Malta non sembrava rancorosa contro di lui, malgrado i continui bombardamenti subiti dall'Asse. Venne trasferito in vari campi di prigionia e finirà addirittura in India, a Bhopal (oggi tristemente nota). Tornò nel maggio 1945, con la gamba riabilitata da un successivo intervento chirurgico per togliere le stampelle; in seguito alla fine della guerra tornò nella Regia Aeronautica già a luglio, e avrà poi una carriera arrivata al grado di Generale di Squadra aerea.
 
 
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Una notazione sul Re.2001: Longhi ha detto che esso nacque come intercettore, ma che venne rovinato dalle continue modifiche chieste per fargli fare 'quasi tutto'. Così si spiega una cosa interessante, ovvero che il Re.2005, a differenza degli altri '5', nacque già con un pilone ventrale da ben 1.000 kg e due alari da 160, proprio lui che aveva il carrello meno solido di tutti i contendenti.
 
 
 
 
<references/>
 
[[Categoria:Caccia tattici in azione]]