Caccia tattici in azione/Monoplani della Regia: differenze tra le versioni
Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
Nessun oggetto della modifica |
Nessun oggetto della modifica |
||
Riga 1:
{{Caccia tattici in azione}}
===Gli artigli dei caccia<ref>Ciampaglia, Giuseppe: ''Quando la R.A. adottò il cannoncino da 20 mm'', RID nov 2008</ref>===
Molti avranno sentito parlare delle mitragliatrici dei nostri caccia del periodo bellico, ma in genere non se ne parla molto in dettaglio: spesso vengono definite ottime, anche più spesso con 'ottimo munizionamento', qualche volta si dice 'derivate dalla Browning'. Ma non è certo molto per armi che hanno valorizzato (relativamente) intere generazioni di caccia. Vediamo di ricostruirne la storia. La Breda è attualmente ben nota per le armi automatiche, fino al 40 mm di calibro. Abbiamo i cannoni Breda-Bofors, le produzioni su licenza Rheinmetall, Mauser, i cannoni americani Vulcan. Fa impressione pensare che negli anni '20 le cose fossero molto diverse. La Breda entrò nel mercato delle armi automatiche adattando alle esigenze nazionali le ottime Browning americane, le migliori sul mercato. La sostituzione maggiore fu quella dei tipi di munizioni: le 12,7x99 mm americane, ben più potenti (oltre 16 kJ), vennero sostituite con le 12,7x81 mm inglesi (circa 10.000 kJ), forse perché erano economiche (tanto che si cercò di limitare la cadenza di tiro anche per via del costo delle munizioni), mentre le armi leggere da 7,62x63 vennero sostituite dalle meno potenti 7,7x56R. La Breda, ovviamente, non era la sola ad avere interesse per questo mercato, anche in Italia. C'erano da sostituire le vecchie armi come le Vickers, con quelle di maggiore cadenza di tiro ora disponibili e necessarie. La maggiore cadenza di tiro era necessaria per aerei molto più veloci, oltre 300 kmh, e più robusti. La rivale della Breda, in Italia, si chiamava Società Anonima Fabbricanti Armi di Torino, erede di lunghe tradizioni sabaude e diretta dal col. Revelli. Ma dietro questa società, nota in breve come SAFAT, c'era la Fiat di Giovanni Agnelli. La partita sembrava persa in partenza, ma l'avvocato Mattioli lavorò molto per evitare la lobbying e far scegliere la commissione in base a criteri tecnici non influenzati dalla già all'epoca fortissima influenza del gruppo torinese. Con le mitragliatrici da 12,7 che pesavano ben 5 kg in meno, e per altre ragioni ancora, vinse la Breda. Tanto era forte la convinzione di rinnovare i successi precedenti, che Giovanni Agnelli rimase per contrappasso enormemente seccato dall'insuccesso e decise di uscire per 20 anni dalla produzione di armi automatiche. Così cedette la SAFAT alla stessa Breda e finì l'era 'sabauda' per le armi da fuoco italiane, che da allora si sarebbero identificate come le 'Breda'.
Eppure la Breda non era un'arma eccezionale, sia quella leggera (da cira 800-900 cp.min), sia quella pesante. La prima delle due entrò in produzione molto in anticipo, è la Modello 1928. Il primo lotto di CR.32, aereo normalmente associato alle 12,7 mm, in realtà era dotato di due sole 7,7 mm, che certo lo avranno esaltato in termini di agilità. La produzione iniziò infatti nel 1934, quando il modello da 12,7 mm, il Mod.1935, non era ancora disponibile (nel '35 vennero davvero omologate un mucchio di armi italiane, inclusi i cannoni da 20 e 47 mm). Così il successivo CR.32bis, disponibile da poco tempo quando iniziò la guerra in Spagna (corsi e ricorsi della Storia, dopo avere subito per secoli il dominio spagnolo in Italia), aveva ben 4 armi. Due erano nel muso, c'erano sempre le 7,7 mm, ma non era la stessa cosa: infatti le due da 7,7 mm erano ora nelle ali inferiori, mentre nel muso c'erano le due potenti 12,7 mm. In pratica, quest'armamento era forse il più potente tra quello che un caccia della metà degli anni '30 possedesse, superato solo da modelli come gli Hurricane (che volavano dal '35, ma entrarono in servizio solo nel '37). Il CR.32bis era però appesantito, e così il tipo -ter e il -quater si limiteranno alle due da 12,7 mm nel muso, aumentando la velocità da 355 a 375 kmh e in generale le capacità di combattimento.
La 12,7 Breda era un'arma affidabile ed efficiente, precisa e assai potente. Ma non eccezionale, così come il munizionamento, pur se assortito, non era così efficace. Il fatto è che il munizionamento Vickers era molto meno potente di quello Browning, così non ci si stupisce che le armi fossero precise e affidabili, data la differenza massa-potenza di fuoco.
Differentemente dalle successive Ho-103 giapponesi, che erano anch'esse di disegno Browning (ma più direttamente ispirate) con proiettili tipo Vickers, le Breda erano pesanti e lente. Le Ho-103 erano pesanti appena 24 kg e con 900 cp./min di cadenza. Le Breda avevano proiettili molto meno potenti delle Browning, eppure pesavano più o meno lo stesso: 28,9 o 30 kg (non è chiaro), per cui erano già al limite di quello che i velivoli italiani potessero permettersi (quindi figurarsi, se già una coppia di armi pesava 60 kg, con i tipi Fiat si sarebbe arrivati a 70). Le dimensioni erano importanti: ben 138,5 cm di lunghezza. Eppure la cadenza di tiro era di 700 o forse 750 c.min, la velocità iniziale di 760 m.sec per proiettili pesanti circa 35-36 gr, e oltretutto, molto più tozzi dei tipi americani, tant'é che avevano anche una punta piatta. Tutto questo non aiutava a conservare efficacemente l'energia cinetica di un corpo già leggero e tozzo per il suo calibro, con conseguente scadimento delle prestazioni a distanza. Non casualmente, le Vickers in versione contraerei avevano un raggio di tiro utile di circa 800 m contro i 1.500 delle Browning. In ambito aereo, si dava ottimisticamente un raggio di tiro efficace di 600-700 m alle Breda, ma era decisamente un valore teorico, le distanze pratiche si riducevano a molto meno.
Naturalmente, con così poca energia cinetica, e un proiettile corto e dal naso 'piatto' (che alle volte può anche essere una buona idea, ma in genere non è raccomandato), le capacità perforanti erano modeste (la densità di energia per superficie è appena migliore di una normale 7,7 mm), la perdita di velocità era rilevante (e quindi con la distanza, aumentava la differenza rispetto alle Browning). I proiettili HE erano molto pubblicizzati, ma anche costosi: la carica interna, di ben 0,8 grammi (sia pure di pentrite), era poco più che simbolica e pari ad un decimo di quella di un colpo calibro 20. Ai piloti italiani era concesso di usare i proiettili che volevano, ma i preferiti erano quelli incendiari, perché potevano spesso causare l'esplosione dei serbatoi, e anche se questi erano protetti, potevano 'trovare' nel loro percorso delle sacche di vapori di benzina formatisi per qualche perdita dentro la struttura dell'aereo. Incidentalmente, i britannici, che erano fissati con le Browning di piccolo calibro, trovarono 'ridicolous' i colpi proposti da 7,7 esplosivi e arrivarono alla conclusione che il calibro minimo per tale scopo era il 20 mm<ref>Trevisan, il cannone HS-404, RID 1995</ref>. Gli americani avevano provato i proiettili HE, ma nonostante che il loro 12,7 mm pesasse 46-48 gr e potesse contenere oltre 2 gr di esplosivo, ne produssero poche, preferendo i colpi API (perforante-incendiario), sopratutto dopo la metà della guerra. Con risultati, contro gli aerei giapponesi (pieni di carburante e senza protezione) tragicamente spettacolari. I Sovietici, Tedeschi e Giapponesi decisero invece che le mitragliatrici con colpi HE andavano bene, anche se gli ultimi due avevano armi per lo più con munizioni simili a quelle delle Breda, quindi leggere. Ma in quasi tutti i casi, le abbinavano ai cannoni da 20 mm. Le MG131 devono essere state un bello shock per gli italiani: più potenti (sia pure con proiettili marginalmente inferiori, malgrado il calibro superiore) delle Breda (900 c.min, 730 m.sec), pesavano appena 19 kg e avevano dimensioni eccezionalmente compatte. Con queste o con le Ho-103 si sarebbe potuto magari armare con tre armi anziché due i caccia italiani, o dotarli di mitragliatrici pesanti alari. Le Breda, invece, pesavano quanto le Browning ed erano persino più grosse, ma erogavano un output energetico (proiettili e cadenza di tiro) pari a poco più della metà. Considerando tutto, fino al '42 erano passabili, ma quando si cominciò a giocare 'duro', le due Breda non bastarono più.
Le armi potevano essere settate per incrociarsi a una certa distanza, o per altre configurazioni di dispersione, ma con due sole armi non c'era certo da scegliere molto, e tanto meno da sperare in tiri 'al volo' contro bersagli che venissero ingaggiati mentre volavano al traverso della rotta: anche per questo era richiesta tanta acrobazia ai piloti italiani, oltre che per un certo modo di intendere il volo (rimasto persino nell'era dell'F-104, che acrobatico non era proprio), c'era da mettersi in coda ad un avversario per riuscire a colpirlo con abbastanza proiettili. Le Breda da 12,7 mm, sincronizzate con l'elica, arrivavano a circa 600 c.min quando c'era la bipala, a poco più di 500 con la tripala, così il Macchi 202 aveva un volume di fuoco inferiore a quello del CR.32. La cadenza di tiro non era costante: variava tra 380 e 750 c.min, con una media di circa 540-550. Questo significava non 12- 12,5, ma appena 9 colpi al secondo per arma. Non c'é da stupirsi che i piloti che videro il Macchi 202 mossero come rilievo fondamentale, che le mitragliatrici 'erano rimaste sempre due' mentre loro se ne sarebbero aspettate sei. Ma era troppo per la potenza installata (o forse no, se si accettava una sorta di P-40E).
Le acrobazie aeree continuavano ad entusiasmare piloti e pubblico, ma ufficialmente manovre come il looping erano sconsigliate: meglio una virata in cabrata per sfuggire ad un caccia. Di fatto, gli italiani continuarono ad allenarsi così per anni, e combatterono così per anni, lasciando spesso sprotetti i bombardieri perché manovrando acrobaticamente, restavano anche indietro (solo i C.202 e successivi potevano ricomporre le distanze, sempre che riuscissero ancora a vedere i bombardieri).In ogni caso, i caccia italiani ebbero solo queste armi per molto tempo: malgrado la raccomandazione di prendere in considerazione un cannone da 20 o più mm, non si fece nulla e il meglio che si seppe ottenere fu la coppia i SAFAT da 7,7 aggiuntive, ovvero si ritornò con il RE.2001/2 e il Macchi 202 Sr VII, all'armamento del CR.32bis del '36 (ovvero di sei anni prima).
Molto cambierà con l'adozione dei cannoni da 20 mm, il cui primo esemplare fu il HS-404 di preda bellica, sugli MS.406 e D.520 ex-francesi, arrivati nel '43. Poi sarà la volta dei tanti MG-151 installati sui Bf-109, MC.205, G.55 e RE.2005 (e anche altri tipi, come i RE.2001CN). I cannoni da 20 mm, però, non furono mai sufficienti per rimpiazzarle totalmente. I caccia Serie 5 avevano inizialmente 4 Breda e un cannone da 20, poi cambiarono due armi alari con altri cannoni, e infine, al termine dell'evoluzione, il G.56 ebbe solo tre cannoni da 20 e il C.206-207 avrebbero avuto 4 cannoni da 20 tutti alari. Ovvero, nel '45 si sarebbe realizzato quello che i britannici avevano fatto già nel '41.
Anche la Breda ebbe una rivale, la Scotti-I.F., le cui armi ad 12,7 e 7,7 erano più leggere e più veloci. Tuttavia, erano anche tragicamente infaffidabili per via delle numerose parti in movimento. Magari sulla carta potevano competere quasi con le equivalenti giapponesi, ma non era così in pratica. Tant'é che, nonostante il disperato bisogno di aumentare il carico utile degli aerei italiani, non vennero mai sistemate nei caccia, ma solo sui bombardieri CANT e S.84, più altri tipi minori, ma sempre in posizioni accessibili in volo, data la loro seccante attitudine ad incepparsi dopo poche raffiche.
===Il servizio dei caccia italiani: i Serie 0===
I monoplani italiani iniziarono la loro carriera in Spagna, dove pochi esemplari si impegnarono in una sorta di risposta ai Bf-109 e agli I-16, ma senza successi particolari, almeno a quanto se ne sa. I G.50 nascevano dal concorso per un nuovo caccia che venne esposto nel luglio 1936 dal Ministero: prima si pensava addirittura di chiedere due mitragliatrici da 12,7 e un cannone da 20 mm più una spezzoniera interna, ma all'inizio di quell'anno ci si ridusse ad appena una 12,7 mm e circa un'ora di autonomia; in seguito si ritornò a chiedere due 12,7 ma a scapito della spezzoniera. In effetti si volevano più tipi di caccia, tra cui intercettori, scorta e combattimento. Quest'ultimo ruolo lo avrebbe fatto sopratutto il Breda Ba.65, decisamente troppo pesante per essere impiegato come caccia, ma ben armato e robusto (seppure non altrettanto affidabile). Vi furono molte proposte, tra cui alcune furono totalmente fallimentari, come l'AUT.18 e il Ro.51, ma sopratutto i vari G.50, MC.200, Re.2000 e il Caproni F.5, un caccia che se prodotto avrebbe senz'altro rappresentato un notevole vantaggio per varie ragioni, che poi si elencheranno. Il G.50 era all'epoca inteso come un velivolo con una 12,7 mm nel muso e un 20 mm Oerlikon nell'ala destra, ma per diventare poi l'intercettore definitivo, quest'aereo, la cui progettazione iniziò nel settembre del '35, subirà altre variazioni. La costruzione iniziò nell'estate del '36 e il primo volo avvenne il 26 febbraio 1937. Strano a dirsi, divenne il Freccia, senza nemmeno un 'II' davanti, nonostante che questo fosse anche il nome del CR.32, all'epoca ancora in produzione, e disegnato dal predecessore del nuovo progettista Fiat, Celestino Rosatelli, che forse non fu tanto entusiasta dell'idea. Nato un anno dopo lo Spitfire e due dopo Hurricane e Bf-109, il G.50 era un velivolo pesante per quello che offriva, robusto, abbastanza veloce per la ridotta potenza motrice, ma nell'insieme mediocre 'Un aereo strano, che ha ammazzato un sacco di piloti' come lo ricordava Gorrini, e inferiore al MC.200 Saetta, nonché surclassato in combattimento aereo manovrato dall'F.5. Quest'ultimo era un velivolo pregevole, con struttura mista e costo decisamente inferiore agli altri, e nondimeno, velocità di salita e in generale superiori, seppure con una visibilità e autonomia scarse. Era un velivolo privo dei problemi di autorotazione degli altri monoplani italiani grazie alle ali a profilo variabile. Ma alla fine, vinsero i progetti Fiat e Macchi; il primo ebbe 45 aerei di preserie e poi 200 macchine di serie. Il vano portabombe originale venne chiuso senza riprogettare la fusoliera, che sarebbe stato un compito notevolmente gravoso. L'abitacolo chiuso venne abolito e sostituito con una 'gobba'. Vagamente simile al successivo G.55 in pianta alare, dalla superficie notevole (18,25 m2) esso, come prototipo N.2 era un aereo da 1.900 kg a vuoto, 2.330 kg carico; il motore A.74, affidabile ma non molto potente, dava 740 hp al decollo e 840 a 3.800 m, massimo 870 hp in superpotenza (con 100 giri in più per il motore, forse arrivava in tal caso a 2.500 al minuto). Arrivava a 400 kmh s.l.m, 483 a 4.500 m, 451 a 6.000 m, la velocità di crociera era indicata in 474 kmh a 5.400 m (ma questa valutazione sembra riportata in maniera erronea, a quella quota caso mai questa era la velocità massima, visti gli altri valori), velocità minima di 120 kmh, decollo in appena 200 metri e atterraggio in 323 m. L'autonomia a massima potenza di crociera era di 560 km, con 241 kg di carburante (in due serbatoi alari e uno dietro il motore), la salita a 4.500 m in 6,9 minuti e a 6.000 in 11,7 minuti, fino a arrivare a 10.700 m. Le due da 12,7 mm avevano 600 cp totali.
Line 17 ⟶ 40:
===Re.2000===
Roberto Longhi era stato in America e come per la Piaggio, questa si dimostrerà un'esperienza importante
I Reggiane RE.2000 erano i primi caccia metallici del gruppo Caproni, ma volarono solo il 24 maggio 1939, quando gli ordini per i Macchi e i G.50 erano già in essere. Questi primi caccia erano afflitti da problemi di autorotazione dati da profili alari troppo semplici. Nel caso dei Macchi almeno, vennero risolti, ma di fatto non venne trovato lo spazio per i successivi RE.2000 e F.5, che invece nascevano con ali semiellittiche. La velocità massima del prototipo del RE.2000 Falco era di 515 kmh a 5.000, e mostrò di essere un aereo molto agile, ma il motore Piaggio, per quanto più potente, non piaceva per la scarsa affidabilità, e i serbatoi integrali alari, per quanto molto validi in termini di capacità di carburante, non erano graditi in quanto ritenuti vulnerabili: la RA all'epoca era una delle poche aviazioni che si preoccupava di costruire dei serbatoi autostagnanti, o meglio 'semapizzati'. Alla RA vennero consegnati 5 aerei, incluso il prototipo, che servirono nella 74ima Sq in Sicilia, poi ribattezzata 377a Sq Autonoma Caccia Terrestre, ricevendo successivamente 9 Serie III. L'aereo ebbe un certo impiego, ma di sicuro questi pochi velivoli, che tra l'altro erano piuttosto bisognosi di messa a punto, non lasciarono molta traccia di sé, pur operando su Malta e Pantelleria. La Regia Marina pensò bene di usare i Reggiane per sostituire i vecchi Romeo Ro.43 o 44, come caccia catapultabili (come stavano anche pensando i britannici per gli Hurricane e le navi CAM), e alcuni entrarono davvero in servizio, tanto che le corazzate italiane l'8 settembre avevano a bordo alcuni di questi aerei. Le Sr. II e III ebbero la radio a bordo, cosa che la prima non aveva. Il Reggiane fu molto importante per l'uso da parte degli Ungheresi e della Svezia. In tutto ben 70 aerei raggiunsero i Magiari, e 60 la Fligvapnet. Non solo, ma fino al '40 vi fu il concreto interesse di altre nazioni, in particolare la Gran Bretagna, disperatamente in cerca di qualsiasi aereo utilizzabile, stabilì contatti anche con l'Italia. Si parlava di 300 (alcune fonti addirittura 1.000) caccia, così come si volevano centinaia di bimotori Caproni da addestramento (Ca.313). Del resto anche i Francesi ebbero la stessa necessità, tanto che al momento della guerra tra le due nazioni erano stati consegnati i primi 5 dei 300 Ca.313F ordinati. Il servizio in Svezia ebbe luogo nominando l'aereo come J20 (erano dei Serie I), consegnati tra il 1941 e il 1943. Servirono con l'F10 di Bulltofta (Malmo), ed ebbero molto da fare per mantenere la neutralità svedese dalle incursioni aeree di entrambe le parti. Un J20 venne abbattuto il 3 aprile 1945 dalla Luftwaffe, che del resto abbatté anche altri aerei italiani in servizio con i colori svedesi, i Ca.313. Il Reggiane era discretamente considerato, ma bisognoso di troppa manutenzione e non molto affidabile. Alal fine della guerra i 37 J20 rimasti in servizio, oramai logori, vennero tolti rapidamente dal servizio, già nel luglio 1945. Uno è sopravvissuto, praticamente l'unico Re.2000 di cui si abbia notizia, almeno tra quelli in condizioni discrete di conservazione.
Gli Ungheresi ebbero una vita più breve e movimentata. Noti come Falcone, o meglio, Héja, erano in due lotti, il I e il II con mtore e mitragliatrici ungheresi. I motori erano in entrambi i casi derivati dallo stesso tipo francese, ma la mitragliatrice ungherese era un'arma da 12,7 mm bicanna, un tipo davvero raro all'epoca. Forse per il cambiamento dei pesi, forse per l'aggiunta di corazzature protettive, il Falco ungherese era sì efficiente come macchina da combattimento, ma anche molto prone allo stallo e alla vite, con incidenti anche mortali assai frequenti. La squadriglia dislocata sul fronte orientale ebbe tutti i suoi 24 aerei incidentati almeno una volta ed entro il primo mese di guerra. Gli Ungheresi erano abituati ai CR.32, molto meno critici in termini di agilità, e molto più solidi quanto a carrello d'atterraggio. Uno dei peggiori episodi fu quello che vide Istvan Horthy, pilota di lustro (figlio del reggente d'Ungheria) precipitare con il suo apparecchio, nel 1942.
|