Caccia tattici in azione/Lo Zero: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
Nessun oggetto della modifica
Nessun oggetto della modifica
Riga 1:
{{Caccia tattici in azione}}
 
==Lo Zero==
Il Mitsubishi Zero è un altro di quegli aerei che non potrebbe suscitare opinioni più contrastanti, ora ignorato, ora temuto, infine ridicolizzato, e poi ancora ripreso in considerazione, mitizzato, analizzato criticamente, sopravvalutato, sottovalutato, e così via senza soluzione di continuità.
 
Line 51 ⟶ 52:
Sakai abbatté un ultimo aereo americano l’ultimo giorno di guerra.
Dopo di che lo Zero diventò un testimone della storia. Ce n’erano 330 in servizio nel dicembre del ’41 e ne seguirono circa 10 mila altri, ma non bastarono per salvare il Giappone, prima portato in trionfo dalle loro gesta, poi trascinato nella disgrazia per l’incapacità di fronteggiare la potenza americana, che alla lunga ebbe la meglio e come disse Sakai ''Come per volere dello stesso Diavolo, il nostro Paese venne trascinato nella disgrazia''<ref>Enciclopedia Take Off: 'Zero: il Samurai Superiore'</ref>
 
 
==Il Kawasaki Hien e altri Giapponesi==
Hien significa 'Rondine' e ben si addice alla sagoma slanciata e all'ala di grande allungamento (7,2:1) di questo caccia dell'Esercito, potente ma non molto fortunato.
 
Il Ki-61 era un contraltare ben diverso dallo Zero e dal più diretto equivalente dell'Esercito, ovvero il Ki-43. La scelta di usare un motore raffreddato a liquido per ridurre la resistenza aerodinamica era una tendenza ben precisa nei tardi anni '30 e molte ditte e forze aeree volevano tali motori sui loro caccia; non nel caso dei bombardieri, dato che la velocità di questi ultimi è sempre stata inferiore e poco influenzabile dai motori in linea, sebbene poi vari tipi (Lancaster, Pe-2, Mosquito) li hanno ricevuti. Il Ki-61, senz'altro il più occidentale dei caccia giapponesi, era erede di una tradizione poco nota ma precedente e di un certo livello, per esempio con la costruzione dei caccia (anch’essi con motore in linea) del tipo Ki-10. Esso nacque dagli sforzi del capoprogettista Takeo Doi della Kawasaki, sulla base di un nuovo motore, che era il DB-601 prodotto su licenza. Purtroppo per i Giapponesi, questa non sarà una scelta felice. Infatti i progettisti giapponesi si produssero in uno sforzo di bravura nell'alleggerire i 670 kg originari, ottenendo un risparmio di circa 40 kg pur se con una potenza di 1.100 hp. Laddove gli stessi produttori italiani ebbero molte difficoltà con i DB, cosicché i motori dell'Alfa Romeo, nonostante l'esperienza, avevano qualche decina di hp in meno e circa 30-40 kg di peso in più per garantire la necessaria affidabilità, i motori giapponesi tirarono troppo la corda di un progetto già di per sé critico. Il risultato fu una serie di problemi che divennero poi apocalittici nel caso del motore per il Ki-61-II, l'equivalente del DB-605, ma totalmente inaffidabile e per giunta sfortunato: a dimostrazione che i B-29 non produssero solo distruzioni di poco conto, in una delle loro incursioni annientarono la fabbrica dove questi motori erano prodotti. Già ne erano stati realizzati solo un centinaio, e la metà presentò dei problemi tali da essere rimandata in ditta per essere rilavorati, e lì vennero sorpresi dalle bombe americane.
 
Il Ki-61 venne progettato con una notevole somiglianza ai caccia europei dotati di DB-601, ma più che al Macchi 202, che seguiva di circa un anno, era affine con il Bf-109, come si vede dalla sezione posteriore della fusoliera, assai lunga rispetto al muso (esattamente al contrario del Macchi). Al contrario, il muso era affilato e basso, ma non in maniera direttamente confrontabile con i tipi europei, perché esso era molto liscio, differentemente dal Bf-109E (ma similmente all'F), mentre l'abitacolo era piuttosto basso sopra di esso, a differenza del Macchi. L'ala, invece, non aveva equivalenti essendo di ben 12 m di apertura e 20 m2 di superficie. L'unico tipo che si avvicinava a questi valori era il Bf-109T, e poi il Bf-109H. Ma nella produzione di grande serie il Ki-61 rimase senz'altro un aereo dall'ala ad alto allungamento, più dei tipi europei equivalenti (i Bf-109T e H vennero prodotti in pochissimi esemplari). La macchina era dotata di un largo carrello piuttosto confortevole, anche se i freni erano piuttosto deboli. La sensazione dei collaudatori americani che testarono i l velivolo fu di un mezzo piuttosto angusto, forse anche più del Bf-109 (senz'altro era così per gli americani, di statura e taglia ben più robusta della media giapponese); la visuale era scarsa, a sua volta, più che altro nel settore anteriore (forse anche qui il Bf-109 era meglio, ma se sì non di molto); sui lati era accettabile, mentre non c'era uno specchio retrovisore, che data la natura incassata dell'abitacolo, sarebbe stato senz'altro preferibile. Se le dimensioni dell'abitacolo e la visibilità erano poco attraenti, così non era per il pannello strumenti, completo e disposto razionalmente per il loro impiego; non che i caccia dell'epoca fossero particolarmente pieni di orologi e indicatori, ma era senz'altro utile la loro disposizione razionale.
 
Il Ki-61 aveva vari punti di forza: spesso, forse non sempre, di parabrezza blindato; più interessante ancora, le due piastre protettive per la testa e il corpo del pilota, spesse entrambe 12,7 mm e pertanto a prova dei proiettili di piccolo calibro, ma almeno oltre una certa distanza, anche di grosso -grazie anche alla protezione extra della fusoliera posteriore. Ma c'era di più: l'aereo aveva serbatoi protetti, altro punto avanzato del nuovo progetto. La loro capacità totale era ben 550 litri, laddove il Bf-109 arrivava a 400 e il MC.202 a 430. Oltre ad essere autostagnanti, erano anche dotati di un sistema di pressurizzazione con gas inerte tratto dai tubi di scarico, per ridurre il rischio di esplosione o incendio dei serbatoi. Questi erano uno da 46 galloni dietro il pilota e due da ben 50 galloni nell'ala. La presenza di questo sistema di pressurizzazione più i serbatoi autostagnanti aiuta a capire come il Ki-61 non avesse nessuna particolare inclinazione a prendere fuoco quando colpito, anche mortalmente, e questo pur avendo appena meno carburante dei 630 l di uno Zero. La corazzatura protettiva e una struttura ragionevolmente robusta consentivano al pilota di non perdere la speranza laddove fosse stato centrato dalle 12,7 mm americane. I caccia italiani, per esempio, avevano piastre da 11 mm che proteggevano dai colpi da 12,7 mm (non è però chiaro se italiani o dei tipi americani o russi, ben più potenti). In ogni caso, per esempio, il FW-190 e il Bf-109 avevano in genere corazze da appena 8 mm con poggiatesta da 12 mm, quindi -a parte la qualità delle corazze usate- non c'era ragione di lamentarsi. Non è chiaro quanto le piastre fossero estese, ma rispetto al nulla dei primi Ki-43 e al poco dei successivi, come anche dei Ki-44, il Ki-61 era un aereo ben protetto.
 
La sua analisi ci è pervenuta da poche fonti. Anzitutto parliamo del suo comportamento in volo delle origini: l'aereo venne testato contro il Ki-43, il Ki-44, un P-40E catturato e un LaGG-3 volato da un disertore (un vulnus senz'altro grave, dato che era un aereo nuovissimo; la cosa si sarebbe ripetuta nel 1975 con il famoso caso del MiG-25 Foxbat), che forse ispirò anche la soluzione -tipicamente sovietica- dei serbatoi riempiti con gas inerte (che peraltro, nel caso sovietico deterioravano la gommatura della protezione, tanto che si trovò il modo di far convivere entrambe le soluzioni limitando l'azionamento del sistema a gas solo durante le missioni di combattimento). Nonostante la presenza di tanti e tali caccia avanzati (almeno per il 1941), il prototipo del Ki-61 batté tutti gli avversari in ogni aspetto, eccetto nella capacità di manovrare stretto, dove il Ki-43 si dimostrò superiore. Quest'ultimo era davvero un caccia eccezionalmente agile, fattore molto importante per i Giapponesi, dato che il prototipo del Ki-61 era pesante appena 2.260 kg a pieno carico (con i soli pesi interni alla struttura), mentre il motore era lo stesso dei tipi successivi. Questo sarà poi un problema: gli ultimi Ki-61 pesavano fino a 3.400 kg a pieno carico. Il Ki-61 ovviamente peggiorò le proprie doti di volo, inclusa la velocità massima, scesa dai 592 kmh del prototipo a 590 del Ki-Ia e ai 580 kmh del Ki-61-Ib armato di cannoni. Nel frattempo, la non entusiasmante velocità di salita, 6 minuti per 5 km, venne aumentata per la stessa quota di un minuto. La tangenza pratica era di circa 10 mila metri.
 
Il Ki-61 si era quindi dimostrato veloce e manovriero, surclassando il Bf-109E che aveva praticamente lo stesso motore. Si fosse accettato di installare un motore più pesante ma più affidabile, molte cose sarebbero state senz'altro migliori, anche perché il caccia comunque aumentò di peso. L'affidabilità nei reparti di prima linea, specie quelli lontani dalla patria, con carburanti, lubrificanti e manutenzione sub-standard, fu molto labile e al contrario, in teatri come la Nuova Guinea il Ki-61 si dimostrò di fatto meno efficace di un Ki-43-II, che però in aria era surclassato dai caccia Alleati.
 
Questi ebbero finalmente modo di incontrare l'avversario, che spesso aveva dato loro molto filo da torcere. Gli americani sopratutto avevano la tendenza ad evitare saggiamente il combattimento manovrato per disimpegnarsi ad alta velocità: funzionava con il Ki-43, che invece era pressoché imbattibile in manovrabilità e accelerazione tra i 250 e i 400 kmh: nemmeno lo Zero poteva superarlo in manovrabilità, e dire che il Ki-43 inizialmente era stato male accolto dai piloti, che lamentavano la ridotta agilità rispetto al Ki-27! In effetti, nonostante un motore da 950 hp e il carrello retrattile, il Ki-43 era solo 25 kmh più rapido del Ki-27, di cui condivideva l'armamento, pressoché inefficace contro aerei corazzati. Il Ki-61 invece fu prescelto tra vari progetti della Kawasaki relativi a caccia con motore in linea, alcuni anche molto avanzati, per esempio il Ki-64 con due motori, uno posteriore e uno anteriore all'abitacolo. In effetti, le prestazioni dei caccia giapponesi, nonostante la loro leggerezza, non furono particolarmente elevate, anche ricorrendo a motori alquanto potenti. Il primo tipo che doveva essere prodotto era l'intercettore Ki-60, con ala ridotta e specificatamente pensato per arrivare a 600 kmh. Solo che di fatto, nonostante gli sforzi fatti, era capace di circa 550 kmh, troppo poco. Dall'altro canto il piccolo aereo aveva caratteristiche di volo mediocri, alta velocità di stallo, lunga corsa di decollo, e in manovra, i collaudatori avevano affermato di avere pilotato bombardieri più agili. Così, senza sorprese, andò avanti solo il Ki-61, che era quasi altrettanto veloce di quanto previsto per il Ki-60, ma nonostante questo, come si è detto, aveva una grande ala dalla superficie e apertura paragonabile a quella degli Zero, ma più sottile e con maggiore corda. Esso si dimostrò superiore in tutto e per tutto ai suoi oppositori, e passò agevolmente in produzione.
 
A parte questo il Ki-61, battezzato Hien (rondine), era un bell'aereo, dalla sagoma proporzionata e ben avviata. Il motore era solidale con la fusoliera, un pò tipo l'He-100V, con i pannelli d'ispezione solo superiori e inferiori, ma non laterali. Questo per rendere più piccola e leggera la struttura del muso, anche se a scapito della manutenibilità. Anche la Nakajima (l'altra fornitrice di caccia dell'Esercito, mentre la Mitsubishi aveva il monopolio di quelli della Marina) aveva proceduto in una strada di questo tipo: il Ki-43 era il tipo 'leggero', il Ki-44 quello pesante, o meglio, l'intercettore perché di pesante c'era davvero poco in quest'aereo, una sorta di racer con una fusoliera e ali minuscole rispetto al motore. Questo doveva dargli velocità di salita e massima entro la specifica, che però non fu attesta, semplicemente non c'era abbastanza potenza per tale compito e nemmeno gli affinamenti successivi ebbero successo. Tuttavia, si decise che il Ki-44 bastava anche così com'era e, dopo avere fatto tutto il possibile, ci si ritrovò con un caccia che sfruttava bene i 1.200 hp del motore radiale, con velocità massima, di salita e di picchiata notevoli, e un buon armamento. Se i Giapponesi fossero stati maggiormente convinti delle tattiche di combattimento moderne, quest'aereo, poco maneggevole e con una visuale piuttosto limitata per l'abitacolo angusto -ma pur sempre con un tettuccio integrale- sarebbe stato ben più apprezzato. L'ultima versione, con un motore da 1.500 hp era capace di 604 kmh e di salire a 5.000 m in poco oltre 4 minuti, ovvero forse la migliore prestazione di salita dei caccia giapponesi. Solo la Marina aveva un qualcosa di simile, un altro 'racer' con l'aspetto più affusolato per il motore disposto in maniera diversa: era il J2M, il fratello 'veloce' dello Zero, dotato di un abitacolo senza tettuccio a bolla e con una visuale decisamente limitata. Venne relegato -causa la velocità d'atterraggio elevata- ai soli servizi a terra e siccome ne vennero prodotti solo 576 non stupisce che esso è rimasto poco noto se paragonato allo Zero (oltre 10 mila). Il Ki-44 era in realtà una risposta vincente e bene o male ne erano in servizio alcuni già quasi in contemporanea dei Ki-43. Questi ultimi erano non solo inferiori nell'insieme agli Zero (in particolare, più lenti, meno autonomia, meno robustezza e niente cannoni), ma erano anche disponibili in meno esemplari -appena 40 all'inizio delle ostilità contro 330. I Ki-44 Shoki (demonio) ebbero una produzione di 1.225 esemplari complessivi, e i prototipi senza armamento passavano i 620 kmh (ma scendevano sotto la specifica quando armati, circa 580 kmh), pochi ma non pochissimi se comparati ai 5.443 Ki-43. Sarebbero tornati utili contro i B-29, essendo forse i migliori caccia intercettori giapponesi, con prestazioni in quota eccellenti, e maggiore affidabilità rispetto ai J2M. Inoltre, degli ultimi caccia giapponesi, né il Ki-100 né lo Shiden ebbero potenze sufficienti per le alte quote, mentre il Ki-84 era buono, ma non eccezionale e solo di poco più veloce del Ki-44. Il Ki-84 era molto prone a problemi meccanici che di fatto ridussero notevolmente l'apporto dato da questo eccellente caccia, entrato in servizio negli ultimi 18 mesi di guerra e prodotto in oltre 3.000 esemplari, ma con materiali sempre più scadenti. Differentemente dal Ki-44, esso era molto più agile con ali più grandi, maggiore autonomia e armamento, ma era anche più pesante, sopratutto i sistemi idraulici e meccanici lasciavano a desiderare in affidabilità.
 
La produzione dei caccia della Marina ebbe un cambiamento netto con la Kawanishi, che dagli idrovolanti passò ai caccia tramite l'N1, poi diventato N1K: un caccia idrovolante, poi trasformato in caccia terrestre. Il progetto era nato per rimpiazzare il Rufe, la versione idro dello Zero, ma capace solo di 440 kmh. La Kawanishi, autrice di eccellenti idrovolanti a lungo raggio, si cimentò con il N1K Kyofu, da 489 kmh e molto più potente. Ne vennero prodotti relativamente pochi, poi si passò al tipo terrestre con carrello retrattile, ma che conservava il difetto originale dell'ala in posizione media, dovuta alla presenza di galleggianti. La cosa era indirettamente problematica perché il carrello diventava insolitamente lungo e complesso, con problemi ed incidenti. Ma l'aereo era ben armato, veloce e corazzato, con 4 cannoni da 20 mm Tipo 99 e due armi da 7,7 nel muso (originariamente c'erano solo due cannoni e due mtg). Anche il motore Homare era inaffidabile, ma in aria l'aereo era capace, seppur meno veloce, di affrontare l'Hellcat e anche il Corsair. La situazione, dopo oltre un migliaio di aerei prodotti, venne migliorata con l'N1K2 che era una riprogettazione integrale: il motore restava sempre quello, ma l'ala era bassa e il carrello semplificato, e nell'insieme era possibile ridurre il peso a vuoto di 250 preziosi kg, alleggerendo un aereo piuttosto pesante di suo. Il risultato fu una macchina più affidabile e veloce sia in aria che a terra, il cui unico limite era la scarsa potenza in quota, che gli impediva di intercettare facilmente i B-29, ma che in combattimento, specie a media quota, era capace di affrontare i caccia USA ad armi pari. L'episodio più famoso è forse quello di un pilota giapponese, tale Kensuke Muto, che venne attaccato da 12 Hellcat e riuscì ad abbatterne 4 costringendo al ritiro gli altri. La cosa fa il paio con un altro caso, i caccia Ki-100 che, affrontati gli Hellcat, ne abbatterono 14. O almeno, questo è quello che si disse all'epoca. Invece le cose, come al solito in queste battaglie tra caccia, stavano in maniera diversa. Da quello che ha ricostruito lo storico Joe Brennan, nel primo caso K.Muto partecipò ad un combattimento in cui vennero abbattuti 4 Hellcat, ma non era solo e non si sa quanti aerei americani, se ve ne furono, vennero distrutti dal sui N1K-2. Nel secondo caso i Giapponesi comunicarono inizialmente che avevano abbattuto 12 aerei con due loro perdite, ma pare che la notizia sia stata fusa e tutti gli aerei abbattuti divennero americani, portando così il risultato a 14. In realtà gli USA persero solo 2 Hellcat, il che al di là delle cattive ricostruzioni del momento, dà comunque un dignitoso risultato di parità, piuttosto raro all'epoca. Così avvenne, ma con numeri ben maggiori, con il 343 stormo della Marina, armato di N1K-1 e -2, sopratutto questi ultimi. Nella primavera del '43 ebbe il giorno da Leoni contro i caccia dell'USN, allorché dichiarò una cinquantina di caccia abbattuti. In realtà le perdite americane furono di circa 15 aerei, più o meno quelli persi dai Giapponesi. La cosa più curiosa, è che i Corsair emularono le presunte gesta del cap. Muto, allorché due di essi vennero a trovarsi inseguiti dagli Shiden, ma coprendosi a vicenda, abbatterono ben 4 caccia e poi tornarono alla portaerei salvi. Ma la giornata dimostrò che i piloti giapponesi avevano ancora stoffa, e che gli Hellcat erano abbastanza alla portata degli Shiden, specialmente l'ultimo tipo (Shiden-KAI). I Corsair erano più difficili da abbattere, ma in ogni caso riportarono a loro volta perdite non indifferenti. Data la sproporzione numerica, con 12.000 Corsair in produzione rispetto a circa 500 Shiden-KAI, l'esito era comunque scontato sul lungo termine. Sakai non volò spesso con lo Shiden, nonostante tutto, a quanto pare non gli garbava il carrello, sicuramente riferendosi al primo modello. Lo Shiden doveva molta della sua capacità combattiva alla presenza di ipersostentatori di combattimento, che consentivano di stringere molto le virate nonostante il peso non indifferente. In tal senso, se gli Hellcat e i Corsair finivano a duellare a breve distanza erano in grave pericolo. Entrambi i contendenti avevano un armamento più che sufficiente per abbattersi a vicenda, ma questo non impedirà quel giorno delle battaglie semplicemente furibonde, in cui i caccia duellarono anche per mezz'ora consecutiva, senza tutto sommato subire molte perdite.
 
Quanto ai Ki-61, nel loro piccolo, essi erano diventati piuttosto superati nel 1944. Quest'aereo era apparso circa un anno dopo il Macchi 202 e circa 2 anni dopo il Me-109E, così la sua validità era marginalizzata. Nel '42 ne vennero prodotti poche decine, pertanto si può considerare coevo dell'Hellcat e anche del Corsair; nel 1943 ne vennero prodotti oltre 700, ma oramai il disegno base cominciava ad essere superato anche in Estremo Oriente, così come del resto in Europa (dove i caccia, essendo macchine terrestri, erano in genere di prestazioni migliori) non erano più competiviti all'epoca i vari Bf-109E, F e MC.202. In tutto vennero prodotti oltre 3.000 aerei. Ben presto vennero equipaggiati di cannoni: oltre 700 MG151/20 giunsero dalla Germania con un grosso sottomarino, poi divennero finalmente disponibili i locali Ho-3, derivazione della mitragliatrice pesante Ho-103. Da notare che quest'ultima era praticamente una Browning adattata al meno potente munizionamento da 12,7x81 mm Vickers. Anche le Breda erano abbastanza simili in tal riguardo, anche se maggiormenet originali rispetto alle M2. Ma non riuscivano a ridurre in maniera apprezzabile i pesi e per giunta, erano dimensionalmente ancora più grosse. La cadenza di tiro delle armi italiane era piuttosto bassa: circa 700 c.min, 750 max, ma con la sincronizzazione calava del 25% in media. Questo era necessario per garantire un'elevata affidabilità. I Giapponesi invece, riuscirono ad ottenere delle armi affidabili pur se pesanti solo 25 kg anziché 29-30, e con una cadenza di tiro di circa 900 c.min. I problemi di meccanica incontrati dalle industrie italiane, al riguardo, si esemplificano bene con le rivali delle Breda, le Scotti, che erano più leggere e di qualcosa più rapide in termini di cadenza di tiro: sulla carta, un equivalente delle Ho-103, in pratica dei sistemi inaffidabili con troppe parti meccaniche in movimento e una gittata pratica insufficiente: sebbene spesso usate come armi difensive dei bombardieri, non ebbero mai impiego per i caccia, essendo il muso e le ali irraggiungibili dal pilota per riparare le armi inceppate o danneggiate. Questo fu un peccato per gli Italiani, i cui caccia, fino alla Serie 5, erano in genere limitati a due sole 12,7 mm, troppo poco specie contro i bombardieri. Avessero avuto le Ho-103, forse i progettisti avrebbero tentato anche l'impiego di altre due armi nelle ali. Sta di fatto che con 3.600 c.min di cadenza di tiro teorica, vs 1.400, il Ki-61 era nettamente più potente dei Macchi e anche dei Bf-109E, la cui leggera superiorità di fuoco si esauriva dopo i primi 7 secondi di tiro, quelli necessari per svuotare i caricatori da 60 colpi degli MG FF. Dopo di ché restavano con due sole MG 17.
 
In ogni caso anche i Ki-61 ebbero bisogno di miglioramenti nell'armamento di base: se il prototipo era armato come i Macchi 202 ultime serie (2 x 12,7 e 2,x77), e se le prime serie in produzione avevano sia questo che l'armamento di 4x12,7 mm, l'esigenza di cannoni da 20 mm si palesava tutta, e così vennero sia comprati gli MG151, che poi dato il via ai locali Ho-3. Se la Mitsubishi e la Marina non ebbero così alcune cose della Nakajima e dell'Esercito, come le corazzature e i tettucci semplificati, con poche montature, i caccia dell'Esercito stranamente non adottarono subito i superati ma leggeri Tipo 99 (Oerlikon) degli Zero. La crescita delle Ho-103 come armi da 20 risultò molto positiva, si trattava di cannoni da 800 c.min e gittata utile da 900 m circa; tant'é che -sempre con il meccanismo base delle M2, si arriverà addirittura a costruire un certo numero di cannoni da 30 mm, gli Ho-5.
 
I Ki-61 erano dei validi aerei, ma perseguitati da problemi di motore e di affidabilità meccanica in generale, tranne in teatri come la Cina e il Giappone, dove la manutenzione era adeguata e carbulubrificanti disponibili nelle qualità previste, e non roba di scarso livello che causava problemi meccanici notevoli. La difesa del Giappone vide spesso i Ki-61 in azione contro i B-29 ad alta quota, un compito non facile date le prestazioni dei nuovi aerei americani. Alle votle vennero anche usati per azioni semi-suicide, con collisioni in volo dirette. Non erano ufficialmente missioni kamikaze, ma comunque era pericoloso: nel migliore dei casi ci si doveva lanciare, magari da un aereo in avvitamento dopo che aveva perso un'ala nell'impatto. Ma vi furono persino dei piloti che riuscirono a ritornare alla base con gli aerei che portavano i segni dell'incontro con il B-29, magari con quest'ultimo abbattuto nell'azione diretta. Era senz'altro un merito per un aereo rientrare così gravemente danneggiato, anche se spesso si fracassavano all'atterraggio. I piloti, per quanto in grave pericolo, a loro volta non erano condannati senza appello come i kamikaze. Da notare che l'Esercito giapponese, a differenza della Marina, non era tanto disperato nemmeno nel 1944, da concepire le missioni suicide su vasta scala, per cui fu molto difficile convincere i piloti a sacrificarsi. Parte del merito era nel fatto che fin'allora i giapponesi non avevano incontrato nemici tali da esserne totalmente travolti, sul continente asiatico dove per lo più operava l'Esercito. Uno dei meriti era senz'altro la presenza dei Ki-61, che fecero sentire più volte i reparti su P-40 surclassati, e diedero filo da torcere anche ai P-38.
 
 
 
 
==Bibliografia==