Forze armate mondiali dal secondo dopoguerra al XXI secolo/Italia: Marina 1: differenze tra le versioni

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===I 100 anni dell'aviazione navale===
L’Italia iniziò l’era aeronauticadel 'più pesante dell'aria' proprio con la Marina, quando l'ufficiale Mario Caldelara, il 12 settembre 1909, ottenne il brevetto di pilota (il N.1) direttamente dai fratelli Wright, durante la loro visita a Brescia. Era così un ufficiale della Regia Marina ad ottenere il brevetto di volo N.1. In seguito, appenaAppena due anni dopo, una variopinta accozzaglia di aerei e dirigibili vennero inviati il Libia per quello che fu il loro primo impiego bellico, nonostante che l’Italia non fosse propriamente un Paese all’avanguardia nel settore. Ma la guerra con la Turchia fu un’occasioneun'occasione di mostrare la nuova risorsa della tecnologia, giusto come di lì a poco vennero usati aerei per azioni armate in Messico e in Romania. Nel 1914 vi fu la conversione dell’incrociatore protetto ELBA comein rudimentale una porta-idrovolanti, con 3-4 Curtiss Flying Boat. Però nell’immediato non vi furono altri sviluppi, fino a che nel ’22'22 l’Italia chiese alla conferenza di Washington la possibilità di costruire 60.000 t di portaerei. Richiesta accettata, ma per realizzarla saranno necessari 85 anni! Già nel ’23'23 venne completata la nave porta-idrovolanti GIUSEPPE MIRAGLIA. Ma nel marzo di quell’anno venne costituita la Regia Aeronautica e tutto si bloccò. Anche la Francia non fece molti passi avanti, con la costruzione della C.nte TESTE, una grossa porta-idrovolanti dotata persino di squadriglie di idrosiluranti Laté 298, e la portaerei BEARN, piuttosto lenta e insoddisfacente. Solo nei tardi anni ’30'30 verranno impostate due nuove portaerei leggere, mai completate per l’attacco tedesco. In Italia questo passò piuttosto inosservato, nonostante la serrata competizione con i Francesi, dovuta al riconoscimento della ‘parità’ a Washington tra le due nazioni, che causò attriti a non finire piuttosto che una stabilizzazione pacifica, anche per via del fatto che all’epoca era in carica un aggressivo e poco rassicurante regime di destra, quello dell’allora giovane Mussolini. Fu proprio lui che dissefece la famosa affermazione che l’Italia è una portaerei naturale che si protende nel Mediterraneo. Il che è vero, ma forse non così vero all’epoca dei fatti, con una tecnologia e un addestramento che non consentivano alla Regia Aeronautica di operare bene sul mare come avrebbe dovuto. Proprio quell’aviazione che aveva fatto scalpore con le navigazioni in formazione sopra l’Atlantico, non si dimostrerà adatta a contrastare la Royal Navy a due ore di volo dalle proprie basi (oe anche meno, come a Punta Stilo). Così in Italia, come in Germania, l’aviazione di marina venne schiacciata quasi totalmente a favorepro dell’aeronautica. Anche in Francia, e persino in Gran Bretagna, le cose andarono solo marginalmente meglio, e con la guerra alle porte, restava poco tempo per porre rimedio agli errori fatti. Nel ’41, dopo la disfatta di Matapan, si accelerarono molti programmi, per esempiospecie i due fondamentali che facevano la differenza con la Royal Navy, non meglio armata ma equipaggiata con radar e portaerei, che da allora si cercò di realizzare anche in Italia con la massima sollecitudine. I risultati non furono particolarmente positivi. Mentre la Miraglia ebbe una carriera del tutto incolore e finì affondata dai bombardamenti aerei all’ormeggio, si procedette alla trasformazione in portaerei delle due motonavi Roma e Augustus, che diventarono rispettivamente AQUILA e SPARVIERO. La prima era una nave da 24.000 t, 216 m di lunghezza per 30 di larghezza (al ponte di volo), capace di portare alcune decine di aerei come i Reggiane 2001 navalizzati, e con un potente armamento di cannoni (inclusi quelli da 65 mm) che di fatto non divennero disponibili. L’espediente di trasformare navi passeggeri è più che comprensibile, tecnicamente parlando: la velocità e la capacità di carico sono sufficienti. Ma una nave passeggeri è pur sempre una costruzione leggera, con standard mercantili e non militari. Ovviamente anche la protezione era tutta da costruire: vennero fatte delle controcarene e posizionate protezioni leggere, pare anche piastre di cemento in assenza di qualcosa di meglio (i dati sono piuttosto confusi). La nave che ne venne fuori era simile esteticamente alla Ark Royal britannica, ma per l’appunto, era più che altro apparenza data la fragilità complessiva e i rischi enormi dati da colpi a bordo, in mancanza di sufficienti protezioni di depositi e motori. Anche i giapponesi del resto, iniziavano all’epoca a trasformare navi passeggeri in portaerei con discreti risultati, in questo caso per incrementare il numerosi portaerei e compensare le perdite subite. L’AQUILA era pronta al 90% per scafo e motore, 70% per l’allestimento, quando l’8 settembre 1943 arrivò l’Armistizio, almeno 6, forse 12 mesi prima che potesse entrare in servizio. La Sparviero era una nave molto più modesta e a più bassa priorità, e nonostante si trattasse di un progetto meno impegnativo, era in maggior ritardo. Ci si potrebbe chiedere come mai navi più grandi come il REX non siano state modificate, e forse la spiegazione molto semplice era che non si vollero ‘rovinare’ navi dal grande valore commerciale per il dopoguerra. Il Rex andò perduto comunque per un attacco aereo, mentre l’AQUILA fu affondata da incursori subacquei che la colpirono nella notte del 19-20 aprile 1945 prima che venisse usata per bloccare l’ingresso del porto di Genova.
 
I risultati non furono particolarmente positivi. Mentre la Miraglia ebbe una carriera incolore e finì affondata all'ormeggio dai bombardamenti aerei, si procedette alla trasformazione in portaerei delle due motonavi ROMA e AUGUSTUS, che divennero rispettivamente AQUILA e SPARVIERO. La prima era una nave da 24.000 t, 216 m di lunghezza per 30 di larghezza (al ponte di volo), capace di portare alcune decine di aerei come i Reggiane 2001 navalizzati, e con un potente armamento di cannoni (inclusi quelli da 65 mm) che di fatto non divennero disponibili. L’espediente di trasformare navi passeggeri è più che comprensibile, tecnicamente parlando: la velocità e la capacità di carico sono sufficienti, e abbondante il bordo libero (l'altezza sopra la linea di galleggiamento). Ma una nave passeggeri è pur sempre di costruzione leggera, con standard mercantili. Ovviamente anche la protezione era tutta da costruire: vennero installate controcarene e posizionate protezioni leggere, pare anche piastre di cemento in assenza di qualcosa di meglio (i dati sono piuttosto confusi). La nave che ne venne fuori era simile esteticamente alla Ark Royal britannica, ma per l’appunto, era più che altro apparenza data la fragilità complessiva e i rischi enormi dati da colpi a bordo, in mancanza di sufficienti protezioni di depositi e motori. Anche i giapponesi del resto, iniziavano all’epoca a trasformare navi passeggeri in portaerei con discreti risultati, in questo caso per incrementare il numerosi portaerei e compensare le perdite subite. L’AQUILA era pronta al 90% per scafo e motore, 70% per l’allestimento, quando l’8 settembre 1943 arrivò l’Armistizio, almeno 6, forse 12 mesi prima che potesse entrare in servizio. La Sparviero era una nave molto più modesta e a più bassa priorità, e nonostante si trattasse di un progetto meno impegnativo, era in maggior ritardo. Ci si potrebbe chiedere come mai navi più grandi come il REX non siano state modificate, e forse la spiegazione molto semplice era che non si vollero ‘rovinare’ navi dal grande valore commerciale per il dopoguerra. Il Rex andò perduto comunque per un attacco aereo, mentre l’AQUILA fu affondata da incursori subacquei che la colpirono nella notte del 19-20 aprile 1945 prima che venisse usata per bloccare l’ingresso del porto di Genova.
Questo fu l’epilogo mesto delle portaerei italiane dell’epoca. Nel dopoguerra non vi furono possibilità concrete di ripartire, dato che il Trattato di Parigi del 1947 dichiarò senza mezzi termini che l’Italia aveva perso la guerra (nonostante l’impegno per valorizzare la Resistenza e soprattutto i ‘Cobelligeranti’ del Sud), dandole solo dei termini meno aspri di quelli subiti da Germania e Giappone e non tanto diversamente da quanto accaduto alla Finlandia, per esempio. La Marina non avrebbe potuto avere portaerei (due unità leggere erano messe a disposizione da parte americana per i Francesi e altrettante lo sarebbero state per gli italiani se le cose avessero avuto un altro esito). Furono soprattutto i Britannici che insistettero per ricordare che l’Italia aveva perso la guerra, e del resto era difficile dar torto a loro, che avevano combattuto in Mediterraneo per quasi 5 anni. Così le due corazzate ‘Littorio’ vennero demolite pezzo per pezzo (erano l’altro ‘piatto forte’ che la Marina sperava di salvare) come accadde anche agli scafi delle due portaerei, entro gli anni ’50. Il resto lo fecero le rivalità con l’Aeronautica (tanto per cambiare) che avocava a sé tutti i velivoli militari, inclusi quelli dell’Esercito, che era costretto inizialmente a volare con aerei dipinti di giallo, ufficialmente come mezzi civili. Poi le cose divennero meno rigide, perché c’erano delle difficoltà obiettive che andavano risolte nell’ambito delle singole Forze Armate. Così all’Esercito vennero presto concessi velivoli leggeri, e lo stesso accadde alla Marina, che anzi, nel dopoguerra ebbe anche aerei Helldiver americani, rimasti però in servizio per pochissimo tempo. Gli elicotteri cominciarono ad apparire con i tipi Agusta-Bell AB-47 (c’erano anche dei minuscoli progetti nazionali monoposto, interessanti ma rimasti prototipi), AB-204, AB-212. Le prime navi che ebbero capacità elicotteristiche erano le ‘Alpino’, fregate antisommergibili, ma presto seguirono i due ‘Doria’, incrociatori armati di un lanciamissili Terrier a lungo raggio a prua, una batteria di cannoni a mezzanave e 2-4 elicotteri a poppa. Questi apprestamenti, più che essere l’equivalente di quelli delle portaerei, erano i discendenti degli idrovolanti su corazzate e incrociatori dell’era bellica. In ogni caso, l’idea degli incrociatori portaelicotteri ‘Doria’ era già qualcosa di interessante e, nel suo piccolo (6.500 t) innovativo. Però erano troppo piccoli e allora venne costruito il V.VENETO da oltre 9.000 t e per il resto una copia pantografata dei precedenti, ma con un massimo di 8-9 elicotteri AB212 o un minor numero di SH-3. Detto questo, l’era delle portaerei non era ancora giunta, e cominciò a manifestarsi solo con la legge navale, la 57/1975, che per potenziare la Marina, negli anni ’70 in decadenza netta (nonostante dei settori di ‘eccellenza’ come i nuovi cacciatorpediniere, sottomarini e fregate classe Lupo), stanziò fondi che servirono tra le altre cose, a finanziare extra bilancio della difesa le 8 fregate 'Maestrale', i due caccia 'Audace migliorata' e la nave portaeromobili, definita tuttavia come incrociatore. La GARIBALDI venne autorizzata il 21 novembre 1977 ma il progetto venne completato solo nel febbraio 1980. Era una nave davvero controversa: abbandonato il sistema missilistico a lungo raggio di prua, estendendo il ponte di volo per tutto lo scafo (come nel caso delle ‘Invincible’ britanniche, che però erano più grandi e potevano permettersi anche i missili Sea Dart, peraltro quasi l’unico armamento previsto a bordo), si otteneva una nave che a tutti gli effetti era una portaelicotteri pura, ma armata anche con una batteria di missili antinave, sonar e lanciasiluri ASW e un robusto armamento di difesa ravvicinata. Era insomma una portaelicotteri, ma armata e definita come incrociatore (C 551). Lo Sky-jump di prua, aggiunto durante la progettazione, era però qualcosa che non aveva senso in nessuna delle due categorie. Era chiaro che si volessero anche degli aerei da caccia a bordo, pensando agli Harrier britannici. La nave venne varata il 4 giugno 1983 e consegnata il 30 settembre 1985. C’era stato tutto il tempo di valutare l’importanza dei velivoli di bordo alle Falklands e per questo il ponte di volo venne incurvato verso prua, sia pure in maniera modesta, onde valorizzare meglio la limitata lunghezza (circa180 m) della nave. Alla Dragon Hammer ’90 vi appontarono Harrier americani e spagnoli. Passato il tempo in cui si pensava soprattutto a combattere i sottomarini russi, era giunto il momento di concepire una Marina più offensiva e dopo avere lottato a lungo contro l’Aeronautica, ferocemente critica verso il programma Harrier, la MMI si sdoganò dal giogo imposto dall’Arma Azzurra. E sì che quest’ultima avrebbe avuto una carta pesante da giocare per impedirlo. Gli Atlantic, i 18 pattugliatori marittimi gestiti per conto della Marina. Per qualche ragione difficile da comprendere a fondo, sono sono stati passati definitivamente (con i relativi costi) alla Marina. L'idea era che se la Marina aveva la volontà di dotarsi di velivoli ad ala fissa, allora non avrebbe avuto senso 'privarla' della costosa gestione diretta degli aerei impiegati dall’Aeronautica per appoggiarla. Forse questo da solo avrebbe affondato letteralmente il programma Harrier, dato l’onere del mantenimento di una flotta di pattugliatori marittimi, e avrebbe liberato al contempo l’Aeronautica da compiti non suoi. Ma per qualche ragione, l’AMI ritenne di doversi tenere gli Atlantic e di lasciare la Marina libera di comprarsi (18, esattamente lo stesso numero) Harrier. Questi all’inizio erano molto meno definiti di quello che può sembrare adesso: si trattò di scegliere tra i veloci Sea Harrier e i più capaci AV-8B, e lo stesso accadde tra i radar Blue Vixen e APG-65 (interessante notare come apparentemente non ci sia stato interesse per il Grifo, che pure è un sistema nato proprio per quegli aerei così piccoli da non potersi permettere grossi radar di bordo). Come le cose siano andate è oramai storia nota, anche se l’APG-65 è stato adattato con un’antenna più piccola e con una certa difficoltà d’integrazione dei sistemi d’arma. La consegna dei primi Harrier è avvenuta il 23 agosto 1991, la fine delle stesse però è avvenuta solo dopo diversi anni. Nel mentre i primi aerei erano già stati urgentemente mandati con il Garibaldi in Somalia. 'Peppino', nomignolo dell’ammiraglia della MM ha tratto indubbiamente beneficio dalla presenza di questi nuovi aerei, normalmente presenti in 6-8 esemplari e un numero simile di SH-3. Per quando i missili AMRAAM, fondamentali per ottenere la difesa aerea della flotta (gli AV-8 sono piuttosto lenti per un'intercettazione 'in caccia'), sono stati integrati, ma non prima del 1999; di lì a poco la nave, che dispone di 200 aviatori ed avieri più 582 d’equipaggio, ha avuto importanti lavori di modifica. Nel 2003 ha aumentato infatti le sue capacità di comando e controllo con nuovi sistemi come il Link 16 di trasferimento dati (1 MB/sec) al posto del vecchio Link 11, sostituito il sonar, spostato il lanciarazzi SCLAR e rimossi i missili OTOMAT, liberando la zona di poppavia. L’imponente sagoma del Garibaldi è stata presente in molte operazioni, come le tre operazioni in Somalia nel 1992-1995 e la Allied Force nel ’99, Enduring Freedom (2001-02) e Libano (2006) . Nel caso dell’impegno post-11 settembre, la nave partì con la fregata ZEFFIRO e il pattugliatore AVIERE, più il rifornitore ETNA. Gli Harrier volarono 288 missioni per ben 860 ore, non poche per circa una mezza dozzina di macchine disponibili, pattugliando l’Oceano Indiano ma spingendosi anche ad attaccare obiettivi in Afghanistan. Si suppone che la GARIBALDI resti in servizio fino al 2020, come anche gli AV-8. Fino ad allora almeno la Marina avrà quindi due unità portaeromobili. Una nave sorella doveva essere pronta attorno al 1994, come Progetto 148, leggermente ingrandita rispetto alla prima e come tale, con un dislocamento passato da 13.850 t a 15.000 t e la possibilità di installare il SAAM-IT al posto dell’Aspide. Ma sebbene questo ritardo fosse già notevole (uno sfasamento di 9 anni almeno tra due navi della stessa classe, per quanto importanti siano, non è certo un buon modo di uniformarne le tecnologie e le capacità, visto che diventano due generazioni diverse, come la sostituzione dell’Albatross con il SAAM-IT dimostra).
 
Questo fu l’epilogo mesto delle portaerei italiane dell’epoca. Nel dopoguerra non vi furono possibilità concrete di ripartire, dato che il Trattato di Parigi del 1947 dichiarò senza mezzi termini che l’Italia aveva perso la guerra (nonostante l’impegno per valorizzare la Resistenza e soprattutto i ‘Cobelligeranti’ del Sud), dandole solo dei termini meno aspri di quelli subiti da Germania e Giappone e non tanto diversamente da quanto accaduto alla Finlandia, per esempio. La Marina non avrebbe potuto avere portaerei (due unità leggere erano messe a disposizione da parte americana per i Francesi e altrettante lo sarebbero state per gli italiani se le cose avessero avuto un altro esito). Furono soprattutto i Britannici che insistettero per ricordare che l’Italia aveva perso la guerra, e del resto era difficile dar torto a loro, che avevano combattuto in Mediterraneo per quasi 5 anni. Così le due corazzate ‘Littorio’ vennero demolite pezzo per pezzo (erano l’altro ‘piatto forte’ che la Marina sperava di salvare) come accadde anche agli scafi delle due portaerei, entro gli anni ’50. Il resto lo fecero le rivalità con l’Aeronautica (tanto per cambiare) che avocava a sé tutti i velivoli militari, inclusi quelli dell’Esercito, che era costretto inizialmente a volare con aerei dipinti di giallo, ufficialmente come mezzi civili. Poi le cose divennero meno rigide, perché c’erano delle difficoltà obiettive che andavano risolte nell’ambito delle singole Forze Armate. Così all’Esercito vennero presto concessi velivoli leggeri, e lo stesso accadde alla Marina, che anzi, nel dopoguerra ebbe anche aerei Helldiver americani, rimasti però in servizio per pochissimo tempo. Gli elicotteri cominciarono ad apparire con i tipi Agusta-Bell AB-47 (c’erano anche dei minuscoli progetti nazionali monoposto, interessanti ma rimasti prototipi), AB-204, AB-212. Le prime navi che ebbero capacità elicotteristiche erano le ‘Alpino’, fregate antisommergibili, ma presto seguirono i due ‘Doria’, incrociatori armati di un lanciamissili Terrier a lungo raggio a prua, una batteria di cannoni a mezzanave e 2-4 elicotteri a poppa. Questi apprestamenti, più che essere l’equivalente di quelli delle portaerei, erano i discendenti degli idrovolanti su corazzate e incrociatori dell’era bellica. In ogni caso, l’idea degli incrociatori portaelicotteri ‘Doria’ era già qualcosa di interessante e, nel suo piccolo (6.500 t) innovativo. Però erano troppo piccoli e allora venne costruito il V.VENETO da oltre 9.000 t e per il resto una copia pantografata dei precedenti, ma con un massimo di 8-9 elicotteri AB212 o un minor numero di SH-3. Detto questo, l’era delle portaerei non era ancora giunta, e cominciò a manifestarsi solo con la legge navale, la 57/1975, che per potenziare la Marina, negli anni ’70 in decadenza netta (nonostante dei settori di ‘eccellenza’ come i nuovi cacciatorpediniere, sottomarini e fregate classe Lupo), stanziò fondi che servirono tra le altre cose, a finanziare extra bilancio della difesa le 8 fregate 'Maestrale', i due caccia 'Audace migliorata' e la nave portaeromobili, definita tuttavia come incrociatore. La GARIBALDI venne autorizzata il 21 novembre 1977 ma il progetto venne completato solo nel febbraio 1980. Era una nave davvero controversa: abbandonato il sistema missilistico a lungo raggio di prua, estendendo il ponte di volo per tutto lo scafo (come nel caso delle ‘Invincible’ britanniche, che però erano più grandi e potevano permettersi anche i missili Sea Dart, peraltro quasi l’unico armamento previsto a bordo), si otteneva una nave che a tutti gli effetti era una portaelicotteri pura, ma armata anche con una batteria di missili antinave, sonar e lanciasiluri ASW e un robusto armamento di difesa ravvicinata. Era insomma una portaelicotteri, ma armata e definita come incrociatore (C 551). Lo Sky-jump di prua, aggiunto durante la progettazione, era però qualcosa che non aveva senso in nessuna delle due categorie. Era chiaro che si volessero anche degli aerei da caccia a bordo, pensando agli Harrier britannici. La nave venne varata il 4 giugno 1983 e consegnata il 30 settembre 1985. C’era stato tutto il tempo di valutare l’importanza dei velivoli di bordo alle Falklands e per questo il ponte di volo venne incurvato verso prua, sia pure in maniera modesta, onde valorizzare meglio la limitata lunghezza (circa180 m) della nave. Alla Dragon Hammer ’90 vi appontarono Harrier americani e spagnoli. Passato il tempo in cui si pensava soprattutto a combattere i sottomarini russi, era giunto il momento di concepire una Marina più offensiva e dopo avere lottato a lungo contro l’Aeronautica, ferocemente critica verso il programma Harrier, la MMI si sdoganò dal giogo imposto dall’Arma Azzurra. E sì che quest’ultima avrebbe avuto una carta pesante da giocare per impedirlo. Gli Atlantic, i 18 pattugliatori marittimi gestiti per conto della Marina. Per qualche ragione difficile da comprendere a fondo, sono sono stati passati definitivamente (con i relativi costi) alla Marina. L'idea era che se la Marina aveva la volontà di dotarsi di velivoli ad ala fissa, allora non avrebbe avuto senso 'privarla' della costosa gestione diretta degli aerei impiegati dall’Aeronautica per appoggiarla. Forse questo da solo avrebbe affondato letteralmente il programma Harrier, dato l’onere del mantenimento di una flotta di pattugliatori marittimi, e avrebbe liberato al contempo l’Aeronautica da compiti non suoi. Ma per qualche ragione, l’AMI ritennedecise di doversinon tenereprivarsi glidegli Atlantic e di lasciare la Marina libera di comprarsi (18, Harrier (esattamente lo stesso numero) Harrier. Questi all’inizio erano molto meno definiti di quello che può sembrare adesso: si trattò di scegliere tra i veloci Sea Harrier e i più capaci AV-8B, e lo stesso accadde tra i radar 'Blue Vixen' e APG-65 (interessante notare come apparentemente non ci sia stato interesse per il Grifo, che pure è un sistema nato proprio per quegli aerei così piccoli da non potersi permettere grossi radar di bordo). Come le cose siano andate è oramai storia nota, anche se l’APG-65 è stato adattato con un’antenna più piccola e con una certa difficoltà d’integrazione dei sistemi d’arma. La consegna dei primi Harrier è avvenuta il 23 agosto 1991, la fine delle stesse però è avvenuta solo dopo diversi anni. Nel mentre i primi aerei erano già stati urgentemente mandati con il Garibaldi in Somalia. 'Peppino', nomignolo dell’ammiraglia della MM ha tratto indubbiamente beneficio dalla presenza di questi nuovi aerei, normalmente presenti in 6-8 esemplari e un numero simile di SH-3. Per quando i missili AMRAAM, fondamentali per ottenere la difesa aerea della flotta (gli AV-8 sono piuttosto lenti per un'intercettazione 'in caccia'), sono stati integrati, ma non prima del 1999; di lì a poco la nave, che dispone di 200 aviatori ed avieri più 582 d’equipaggio, ha avuto importanti lavori di modifica. Nel 2003 ha aumentato infatti le sue capacità di comando e controllo con nuovi sistemi come il Link 16 di trasferimento dati (1 MB/sec) al posto del vecchio Link 11, sostituito il sonar, spostato il lanciarazzi SCLAR e rimossi i missili OTOMAT, liberando la zona di poppavia. L’imponente sagoma del Garibaldi è stata presente in molte operazioni, come le tre operazioni in Somalia nel 1992-1995 e la Allied Force nel ’99, Enduring Freedom (2001-02) e Libano (2006) . Nel caso dell’impegno post-11 settembre, la nave partì con la fregata ZEFFIRO e il pattugliatore AVIERE, più il rifornitore ETNA. Gli Harrier volarono 288 missioni per ben 860 ore, non poche per circa una mezza dozzina di macchine disponibili, pattugliando l’Oceano Indiano ma spingendosi anche ad attaccare obiettivi in Afghanistan. Si suppone che la GARIBALDI resti in servizio fino al 2020, come anche gli AV-8. Fino ad allora almeno la Marina avrà quindi due unità portaeromobili. Una nave sorella doveva essere pronta attorno al 1994, come Progetto 148, leggermente ingrandita rispetto alla prima e come tale, con un dislocamento passato da 13.850 t a 15.000 t e la possibilità di installare il SAAM-IT al posto dell’Aspide. Ma sebbene questo ritardo fosse già notevole (uno sfasamento di 9 anni almeno tra due navi della stessa classe, per quanto importanti siano, non è certo un buon modo di uniformarne le tecnologie e le capacità, visto che diventano due generazioni diverse, come la sostituzione dell’Albatross con il SAAM-IT dimostra).
 
La consegna dei primi Harrier è avvenuta il 23 agosto 1991, la fine però è avvenuta solo 6 anni dopo. Nel mentre i primi aerei erano già stati urgentemente mandati con il Garibaldi in Somalia. 'Peppino', nomignolo dell’ammiraglia della MM ha tratto indubbiamente beneficio dalla presenza di questi nuovi aerei, normalmente presenti in 6-8 esemplari e un numero simile di SH-3. Per quando i missili AMRAAM, fondamentali per ottenere la difesa aerea della flotta (gli AV-8 sono piuttosto lenti per un'intercettazione 'in caccia'), sono stati integrati, ma non prima del 1999; di lì a poco la nave, che dispone di 200 aviatori ed avieri più 582 d’equipaggio, ha avuto importanti lavori di modifica. Nel 2003 ha aumentato infatti le sue capacità di comando e controllo con nuovi sistemi come il Link 16 di trasferimento dati (1 MB/sec) al posto del vecchio Link 11, sostituito il sonar, spostato il lanciarazzi SCLAR e rimossi i missili OTOMAT, liberando la zona di poppavia. L’imponente sagoma del Garibaldi è stata presente in molte operazioni, come le tre operazioni in Somalia nel 1992-1995 e la Allied Force nel ’99, Enduring Freedom (2001-02) e Libano (2006) . Nel caso dell’impegno post-11 settembre, la nave partì con la fregata ZEFFIRO e il pattugliatore AVIERE, più il rifornitore ETNA. Gli Harrier volarono 288 missioni per ben 860 ore, non poche per circa una mezza dozzina di macchine disponibili, pattugliando l’Oceano Indiano ma spingendosi anche ad attaccare obiettivi in Afghanistan. Si suppone che la GARIBALDI resti in servizio fino al 2020, come anche gli AV-8. Fino ad allora almeno la Marina avrà quindi due unità portaeromobili. Una nave sorella doveva essere pronta attorno al 1994, come Progetto 148, leggermente ingrandita rispetto alla prima e come tale, con un dislocamento passato da 13.850 t a 15.000 t e la possibilità di installare il SAAM-IT al posto dell’Aspide. Ma sebbene questo ritardo fosse già notevole (uno sfasamento di 9 anni almeno tra due navi della stessa classe, per quanto importanti siano, non è certo un buon modo di uniformarne le tecnologie e le capacità, visto che diventano due generazioni diverse, come la sostituzione dell’Albatross con il SAAM-IT dimostra).
 
Il programma subì numerosi rimaneggiamenti, diventando poi Progetto 156, 156 A e 160, una nave arrivata a 20.000 t e dall’aspetto simile alla spagnola Asturias. Poi, però, dalla metà degli anni ’90 si arrivò ad una nave mista portaereomobili-LHD, una specie di piccola ‘Tarawa’, dato che, nonostante le 3 recenti navi da sbarco, venne considerata necessaria. Evidentemente non c’era fiducia in questo concetto, se la nuova portaerei avrebbe dovuto sacrificare una parte delle sue capacità aeree. Questo era dato dal fatto che la quarta nave anfibia da 13.000 t e con mezzi tipo EH-101 (6 di cui 5 in un hangar) e bacino per gli LCU a poppa, era stata cancellata per mancanza di fondi. Così era nato il Progetto 163 chiamato NUM, Nuova Unità Maggiore, o NUMA, che aggiungeva 'Anfibia’. Aveva secondo quanto previsto 20.000 t e bacino poppiero di 50 m con due LCAC, 4 AV-8 e 6-8 EH101. Non ha convinto e alla fine il bacino è stato abolito ed aumentata la capacità aerea. Alcune caratteristiche delle navi anfibie sono però rimaste, in particolare le rampe di carico e scarico sotto l’isola e a poppa. La costruzione è iniziata il 17 luglio 2001 e il varo dello scafo incompleto è avvenuto il 20 luglio 2004 a Riva Trigoso, senza la parte prodiera, implementata al Muggiano dopo avere rimorchiato lo scafo fino là. Il 18 dicembre 2006 sono iniziate le prove in mare e la consegna alla MM è avvenuta il 27 marzo 2008. E’ una nave molto più grande, a dire il vero la più grande nave militare italiana, essendo di 236 m per 39 di larghezza massima, 27.100 t e altre 2.500 potenziali, con sky-jump aumentato da 6,5 a 12°, e stavolta, senza ipocrisie, la si è definita da subito CVH, ovvero portaerei. La prima della Marina Militare. E certo lo resterà per molti anni. Berlusconi si è lamentato a suo tempo della ‘Portarei dell’Ulivo, che ci è costata 13 miliardi’. E’ stato necessario predisporre la nave per accogliere non solo gli Harrier, ma anche i loro successori, che potevano essere solo gli F-35B. Per il resto vi sono 32 missili ASTER-15 dei lanciatori A43, più 2 OTO SR e 3 KBB da 25 mm, 2 SCLAR-H e due SLAT. Questa grossa nave ha un equipaggio molto ridotto per le sue dimensioni e ruolo, appena 451 uomini (e donne), 203 per il gruppo di volo e quindi meno di quelli del Garibaldi, che pure stazza la metà. Vi è la predisposizione per 416 elementi della futura Brigata Anfibia (di cui si parla da un indicibile numero di anni, stavolta con la rivalità dell’Esercito). Ha il ponte hangar abbastanza robusto per tenere 24 carri Ariete o 50 Centauro/Dardo. I velivoli sono una ventina tra AV-8 e EH-101 e un elevatore esterno allo scafo consente di collegare il ponte di volo a quello hangar. Dall’evoluzione si possono anche capire quanto rilevanti fossero i limiti del Garibaldi, troppo piccolo per operare con gli aerei in guerre ad alta intensità.
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===Dagli incrociatori alle portaerei===
====Garibaldi (1936)====
Oramai dimenticato dalle generazioni più giovani, ma pur sempre una vera un'istituzione della Marina Militare, il 'Giuseppe Garibaldi' non è stato solo un incrociatore ben costruito, ma anche un simbolo del cambiamento e della rinascita della flotta nel dopoguerra. Nella sua carriera è passato dai siluri ai missili Polaris balistici Polaris, e ha visto finire l'Asse e iniziare la Guerra Fredda, fino alla sua radiazione finale. Il varo avvenne il 21 aprile 1936 e la consegna alla Regia Marina l'1 dicembre 1937. La bandiera di combattimento venne consegnata il 13 giugno 1938 dalla città di Palermo e dalla Federazione Nazionale Volontari Garibaldini.
 
Gli incrociatori tipo 'Abruzzi', ultima e più evoluta edizione del progetto primigenio degli incrociatori veloci postbelliciprebellici italiani, erano solo due navi, ma rispetto alle altre meglio equilibrate tra velocità (minore), protezione e armamento (maggiori). Al posto degli 'incrociatori di carta' come erano noti i primi 'Da Barbiano' e 'Da Giussano', era statavenne adottata una robusta struttura che portava il dislocamento da circa 5.000 a 10.000 t, con la differenza basata sopratutto sulla corazzatura, dato che la cintura corazzata aumentava adesso,a su100+30 più(paratia strati, a 130interna) mm contro 25., Dain notarelega chead lealta corazze eranoresistenza in nickel-cromo. Per qualche motivi difficile da capire, la Regia Marina, nonostante l'embargo internazionale, aveva ricevuto acciai di alta qualità e non solo per i cannoni (il che poteva essere anche comprensibile) ma anche per le corazze, cosa meno ragionevole. Con la sola corazzatura di una 'Littorio' (circa 14.000 t) si potevano corazzareproteggere tutti i carri armati italiani del tipo 'M' (circa 2.000 Maper questi14 sit dovetterol'uno), che accontentareinvece, sopratutto per i primi due anni, diebbero corazze al manganese e silicio, chemeno manifestavanoresistenti unadi resistenzaquanto strutturaleil emero unaspessore protezione ben inferiori a quelle prevedibili se rapportate al loro spessoreassicurasse, come in effetti si verificò anchein neiazione. fatti durante la guerra.Così, Mentrementr i carristi in Africa subivano grandinate di proiettili di tutti i tipi, le navi italiane ebbero pochissimi scontri a fuoco e molto raramente dovettero mettere alla prova le loro corazzature. I motori erano a turbina, abbastanza potenti da consentire ancora una velocità elevata, grazie a 100.000 hp disponibili nel loro insieme, anche se, (al solito per le navi italiane) con un'autonomia tutt'altro che eccezionale, ad una velocità media 13 nodi era di 4.125 miglia, a 31 nodi era di 1.900 miglia. Insomma, era molto difficile attraversare l'Atlantico anche con una velocità economica e con il pieno di carburante.
 
I motori erano a turbina, abbastanza potenti da consentire ancora una velocità elevata, grazie a 100.000 hp totalmente disponibili, anche se, (al solito per le navi italiane) con un'autonomia tutt'altro che eccezionale: ad una velocità media 13 nodi 4.125 miglia, a 31 nodi appena 1.900. Era molto difficile attraversare l'Atlantico anche con una velocità economica e con il pieno di carburante.
L'armamento era potente, con due torri binate e due trinate di cannoni da 152 mm ultimo modello (gli stessi delle 'Littorio') da oltre 24 km di gittata, 4 torrette da 100 mm binate antiaeree, varie mitragliere da 13 e 27 mm, siluri e alcuni idrovolanti. In seguito sarebbero arrivate le mitragliere da 20 mm, molto migliori contro gli attacchi aerei sempre più pericolosi degli inglesi.
 
L'armamento era potente, con due torri binate e due trinate di cannoni da 152 mm ultimo modello (gli stessi delle 'Littorio') dae oltre 24 km di gittata, 4 torrette da 100 mm binate antiaeree, varie mitragliere da 13 e 27 mm, siluri e alcuni idrovolanti. In seguito sarebbero arrivate le mitragliere da 20 mm, molto migliori contro gli attacchi aerei sempre più pericolosi degli inglesi.
[[Immagine:RN Garibaldi original.jpg|300px|right|thumb|Il 'Garibaldi'in guerra]]
Nel corso del conflitto il "Garibaldi" prese parte a 15 missioni, per un totale di 14.047 miglia, incassando anche due siluri dal sottomarino HMS Upholder, che tuttavia per un caso fortunato, non gli causarono danni gravi (mentre il gemello 'Abruzzi' rischiò grosso dopo che un siluro leggero, aerolanciato, gli colpì la zona poppiera). Dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943 raggiunse Malta con il resto della squadra navale, consegnandosi agli alleati e durante la cobelligeranza venne schierato nel Mediterraneo e in Atlantico, dove prese parte insieme al "Duca d'Aosta" ad azioni di pattugliamento contro le navi corsare tedesche.
 
Insieme alad gemelloaltri Duca3 degli Abruzzi, al Cadorna e al Montecuccoli,incrociatori costituì la dotazioneforza degli incrociatori concessi alla Marina Militare Italiana dalle clausole del trattato di pace, con il 'Cadorna' messo però quasi subito in disarmo e il 'Montecuccoli' trasformato in nave scuola per gli allievi dell'Accademia Navale di Livorno. Così rimase solo il 'Garibaldi' e il gemello 'Abruzzi'.
 
Nel dopoguerra venne installato un radar, un quinto impianto da 100 mm, alcune mitragliere da 20 mm, e sopratutto una piattaforma per elicotteri leggeri AB.47G, uno dei quali nell'estate del 1953 effettuò una serie di prove di appontaggio e decollo. L'esito positivo delle prove aprì una nuova era, in quanto indusse la Marina Militare a dotarsi di unità navali polivalenti equipaggiate di elicotteri antisommergibile, reputati necessari dato che i sovietici all'epoca avevano basi anche in Albania, in particolare a Valona (prima della rottura diplomatica tra i due Paesi).
DaDi lì a poco arrivarono le fregate elicotteristiche classe 'Bergamini', le prime unità portaelicotteri al mondo, e gli incrociatori classe 'Doria' (non tanto soddisfacenti, in verità, date le dimensioni insufficienti, per questo il terzo della classe divenne poi il V.Veneto, del 50% più grande).
Il Garibaldi venne posto in riserva nel 1953 e nel 1954 iniziarono i lavori di parziale demolizione,; ma quasi a sorpresa, a partire dal 1957, iniziaronosi inveceiniziò ia lavorifarne di ricostruzione/trasformazione dell'unità comeun incrociatore lanciamissili. In questo periodo con il 'Cadorna' già andato in disarmo e con il 'Montecuccoli' che svolgeva attività prevalentemente addestrativa, il 'Duca degli Abruzzi' rimase il solo incrociatore a svolgere attività di squadra, e a ricoprire il ruolo dicome ammiraglia della flotta.
[[Immagine:Lancio di simulacro inerte di missile Polaris.jpg|300px|right|thumb|Il 'Garibaldi'lancia un mock-up del Polaris]]
'''Giuseppe Garibaldi''' (551)
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La ricostruzione riguardò parzialmente lo scafo che conservò le dimensioni originarie e totalmente le sovrastrutture con la radicale trasformazione della struttura della plancia e del complesso plancia/torrione e l'eliminazione di uno dei due fumaioli.
 
Le modifiche allo scafo riguardarono la ricostruzione della poppa che divenne del tipo a specchio (inaugurata con i francesi 'La Galissonniere' prebellici, grossomodo equivalenti ma più piccoli rispetto alle navi italiane), castello a prua lungo circa 90 m, e la chiusura delle aperture a murata per consentire l'installazione di un impianto di ventilazione/condizionamento e di un sistema di difesa NBC, mentre uno dei due fumaioli venne abolito per fare posto all'elettronica, vera rivoluzione della II Guerra mondiale per le navi militari, e per la potenza necessaria fu necessario installare ex-novo quattro turboalternatori Tosi-Brown Boveri e due diesel-alternatori Fiat-Brown Boveri.
[[Immagine:IT Giuseppe-Garibaldi.jpg|450px|left|thumb|La nave ricostruita con il lanciamissili poppiero, al posto di 5 cannoni da 152 mm]]
La parte più consistente di lavori allo scafo riguardò l'estremità della tuga, dove erano stati allestiti i pozzi di lancio per quattro missili balistici statunitensi 'Polaris' dotati di testata H, per fornire alla Marina Militare Italiana una capacità di deterrenza strategica. Ma mentre i Polaris installati nei sottomarini venivano lanciati "a freddo" cioè espellendo il missile dal silo mediante aria compressa prima dell'accensione del motore, sul "Garibaldi" i missili avrebbero dovuto essere lanciati "a caldo", utilizzando cioè una carica esplosiva, per cui occorreva uno spazio in cui fare sfogarne i gas. I pozzi di lancio erano lunghi circa 8 metri, con un diametro di 2 ed portelli apribili di protezione, il tutto entro l'altezza della coperta e in una zona precedentemente occupata da depositi e cale di varia destinazione, in una zona lunga protetta lunga 14 metri. Il progetto, curato dal capitano Glicerio Azzoni richiese circa 6 mesi di realizzazione.
 
Da ottobre 1961 furono collaudati i pozzi, tra dicembre 1961 e gennaio 1962 avvennero lanci di simulacri inerti, fino ad agosto 1962, si continuò con simulacri autopropulsi, sia a nave ferma che in navigazione. Una parte dei test venne effettuata nel corso del 1962 anche negli Stati Uniti, durante la prima crociera del Garibaldi. L'esito positivo aveva spintospinse gli USA a progettare la NATO MLF (multy lateral force), costituita da 25 mercantili da 18.000 tonnellate con una velocità di 20 e più nodi e un'autonomia di oltre 100 giorni, capaci di trasportare ben 200 missili Polaris. Questo programma non venne poi sviluppato in quanto superato dagli SSBN, i sottomarini balistici nucleari, che stavano entrando in servizio proprio inda quegli anni e che risultarono, malgrado il costo e il rischio tecnico, ben riusciti. Diversamente sarebbe stato inevitabile usare navi di superficie per tale compito. Il primo lancio in immersione di un Polaris venne infatti effettuato dal sottomarino ''George Washington'' il 20 luglio 1960. All'epoca però sull'uso dei sottomarini per il lancio di tali missili si addensavano molti dubbi, mentre il "Garibaldi" con le sue strutture rappresentava già una soluzione tecnica affidabile.
 
Sebbene le prove avessero dato tutte esito positivo, i missili non vennero però mai forniti dagli Stati Uniti, poiché motivazioni di natura politica ne impedirono la prevista acquisizione, ed i pozzi alla fine vennero utilizzati diversamente. Successe infatti che in seguito alla crisi di Cuba dell'ottobre 1962 il Presidente degli Stati Uniti Kennedy concesse al Premier sovietico Krusciov il ritiro dei missili Jupiter dall'Italia e dalla Turchia in cambio del ritiro dei missili sovietici da Cuba. La riduzione dell'arsenale missilistico di terra venne compensata, a quel punto, dai sottomarini lanciamissili, che potevano stare fuori dal trattato essendo di base negli USA. In ogni caso, si sarebbero dimostrati di gran lunga la migliore piattaforma (quanto ad invulnerabilità, non certo ad economia), e adesso le navi lanciamissili balistici sono relegate alle opzioni perdute nella memoria delle possibilità decadute.
 
Radicalmente cambiato l'armamento 'convenzionale', che con l'installazione, nella tuga, del sistema missilistico 'Terrier' fece del Garibaldi il primo incrociatore lanciamissili ad essere entrato in servizio in una marina europeaeuropeo (ma senza considerare i 'County' inglesi, ufficialmente cacciatorpediniere). Del resto, non faceva che seguire l'indirizzo dell'USN (e anche della AV-MF) di ricostruire le grandi navi classiche con i nuovi sistemi missilistici. Ecco come venne modificato il layout della nave:
 
La sommità della tuga ospitava i radar di illuminazione e guida Sperry-RCA AN/SPG-55 asserviti alla rampa di lancio binata Mk 9 Mod.1 del sistema Terrier, e completavano la dotazione elettronica dell'unità cinque radar di tiro delle artiglierie, di cui quello asservito ai cannoni da 135/45 mm posto sulla sommità della plancia, e quelli asservitiper aii cannoni da 76/62 mm in due coppie sul torrione ai lati della stessa plancia. I missili RIM-2 Terrier erano all'epoca quanto di meglio esistesse nella categoria dei missili antiaerei per piattaforme navali, con gittata di 37-74 km e guida radar, capacità secondaria antinave e testata da circa 100 kg, recapitabile a velocità di circa mach 3, grazie ad un motore a propellente solido bistadio e ad un'aerodinamica ideale per le lunghe gittate, con lunghe alette di ridotta resistenza aerodinamica ma di grande superficie complessiva per la portanza, e alette di manovra cruciformi verso coda. L'affidabilità, però, era inizialmente molto bassa e ci vollero anni per rimediare a molteplici inconvenienti.
 
Le antenne elettroniche principali trovarono posto principalmente in due grandi tralicci quadripodi. Sul primo dei due tralicci, posto alla sommità del complesso plancia-torrione v'erano il radar di tridimensionale AN/SPS-39 Frescan, adottato su tutte le prime unità lanciamissili della NATO, il radar di sorveglianza aeronavale AN/SPS-6 ed il radar di navigazione/sorveglianza di superficie MM/SPQ-2, mentre sul secondo traliccio, posto a poppavia del fumaiolo, trovava posto il radar di scoperta aerea bidimensionale Argos 5000 di fabbricazione nazionale (primo apparato importante di concezione italiana) che in condizioni (molto)favorevoliideali consentiva di individuare bersagli fino ad una distanza di 500 km.
[[Immagine:Garibaldi alla fonda a venezia.jpg|300px|right|thumb]]
L'armamento artiglieresco nella nuova configurazione (molto alleggerita) era limitato all'autodifesa, ed era costituito da quattro cannoni da 135/45 mm in 2 torrette binate e 8 cannoni OTO Melara da 76/62 mm tipo MMI, in impianti singoli, 4 per ogni fiancata.
Le torrette dei calibri principali trovarono posto nella sovrastruttura di prora andando a sostituire le due torrette da 152/55 precedenti, mentre i cannoni da 76/62 trovarono posto, quattro per ogni lato, ai due lati del complesso torrione-fumaiolo.
 
Il valido cannone da 135/45 mm avevaera un'elevazionearma di 45°valida, una gittata di 19,6 km e una cadenza di fuoco di 6 tiri al minuto-min, ede assaimolto preciso,; ma l'affusto, con un alzo ridottomax di 45°, era limitato al tiro anti-superficie, lento nei movimenti e pensato ancora come sistema essenzialmente antinave, nondato davache lo studio per una soddisfacentevariante capacitàDP antiaereanon ebbe esiti e dato il calibro elevato, seforse non diera realizzabile (specie nel dopoguerra, con l'avvento dei sbarramentojet). Non casualmente sui 'Capitani Romani' superstiti vennero installati i6 cannoni da 127/38 mm americani, per quanto meno potenti degli 8 da 135 mm.
 
Il cannone da 76/62 tipo MMI "Allargato" conaveva canna raffreddata ad acqua, manovra elettro-idraulica con sistema di emergenza manuale. La gittata massima, con proiettili di 6,296 kg era di 18,4 km, all'elevazione massima di 85° scendeva a 4 km, la velocità di brandeggio era di 70°/s e quella di elevazione di 40°/s; la torretta accoglieva un cannoniere. Questo nuovo cannone era l'evoluzione del modello SMP 3 che era stato imbarcato sulle corvette 'Alcione'. Una versione binata del modello SMP 3, con canne sovrapposte, era stata imbarcata negli anni cinquanta sulle fregate della classe 'Centauro', ma tale versione non ha datodiede i risultati sperati e non è stata imbarcata su nessun altra unità della Marina Militare (decenni dopo, per ottenere i 120 c.min, siin riusciràun adaffusto utilizzaresolo, unsi solouserà un cannone singolo, il Super Rapido).
 
Il 'Garibaldi' (C551) prestò servizio per altri 7 anni come unità sede comando della Squadra Navale, partecipando ad attività addestrative di vario tipo e di rappresentanza in Mediterraneo e oltreoceano, divenendo nave ammiraglia della Marina Militare al posto del gemello 'Duca degli Abruzzi'. La bandiera di combattimento venne consegnata a Napoli il 10 giugno 1964, donata dal (solito) gruppo ANMI di Roma, che, con un'autocolonna di quasi mille aderenti.
 
Nel febbraio 1970, fu proprio in una conferenza stampa a bordo del 'Garibaldi' che in una conferenza stampa l'allora Comandante in Capo della Squadra Navale, ammiraglio Gino Birindelli, denunciò la crisi in cui versava la Marina Militare e lo stato di profondo malessere morale e materiale in cui si trovava il personale che vi operava. Le dichiarazioni di Birindelli scatenarono reazioni e prese di posizione a tutti i livelli e portarono prima alla pubblicazione di un documento noto come "Libro Bianco della Marina" e di lì a qualche anno alla Legge Navale del 1975 che fu il presupposto di un sostanziale ammodernamento della flotta della Marina Militare. A dire il vero, anche allora la MMI aveva avuto 4 sottomarini e ben 3 incrociatori portaelicotteri, più due caccia e altrettanti in costruzione. Forse l'ammiraglio esagerò le lamentazioni, o forse la realtà era peggiore di quello che si potrebbe immaginare. In ogni caso la protesta pubblica di una F.A. notoriamente molto riservata come la Marina ebbe un effetto notevole e un risultato positivo: 1 incrociatore (il nuovo 'Garibaldi'), 4 sottomarini, 2 caccia e 8 fregate.
 
Il 'Garibaldi' venne ritirato dal servizio nel 1971, cedendo il ruolo di nave ammiraglia della flotta all'incrociatore portaelicotteri 'Vittorio Veneto'. Messo inIn disarmo nel 1972, venne ufficialmente radiato il 16 novembre 1976 e successivamente demolito.
 
La sua ricostruzione, considerando che dopo gli ammodernamenti rimase in servizio solo per un decennio e alla luce del mancato utilizzo dei Polaris, si rivelò inutile e costosa e le risorse che vennero impiegate per il suo ammodernamento potevano essere utilizzate per la costruzione di un'altra unità più moderna. Proprio per il suo breve servizio seguito alla ricostruzione, la sua demolizione appare insensata e sarebbe stato più opportunaopportuno laalmeno suafarne utilizzazione comeuna nave museo. Questa era un'unità con una grandelunga storia, che oltre ad averaveva partecipato alla seconda guerra mondiale, era stato il primo incrociatore lanciamissili europeo, la prima unità di superficie al mondo ad essere predisposta per il lancio di missili balistici e la primaprincipale grande unitànave italiana del dopoguerra. UnDegno similedi ragionamentoconservazione andrebbesarebbe fattostato anche per il quasi gemello "Montecuccoli", che nel dopoguerra fu la prima unità italiana ad effettuare il periplo del globo.
 
Il 'Garibaldi' venne ritirato dal servizio nel 1971, cedendo il ruolo di nave ammiraglia della flotta all'incrociatore portaelicotteri 'Vittorio Veneto'. Messo in disarmo nel 1972 venne ufficialmente radiato il 16 novembre 1976 e successivamente demolito.
 
La sua ricostruzione, considerando che dopo gli ammodernamenti rimase in servizio solo per un decennio e alla luce del mancato utilizzo dei Polaris, si rivelò inutile e costosa e le risorse che vennero impiegate per il suo ammodernamento potevano essere utilizzate per la costruzione di un'altra unità più moderna. Proprio per il suo breve servizio seguito alla ricostruzione, la sua demolizione appare insensata e sarebbe stato più opportuna la sua utilizzazione come nave museo. Questa era un'unità con una grande storia, che oltre ad aver partecipato alla seconda guerra mondiale era stato il primo incrociatore lanciamissili europeo, la prima unità di superficie al mondo ad essere predisposta per il lancio di missili balistici e la prima grande unità italiana del dopoguerra. Un simile ragionamento andrebbe fatto anche per il quasi gemello "Montecuccoli" che nel dopoguerra fu la prima unità italiana ad effettuare il periplo del globo.
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====Doria====
[[Immagine:Incrociatore Giuseppe Garibaldi tra gli incrociatori Andrea Doria e Caio Duilio.jpg|400px|right|thumb|Bellissimo trittico di incrociatori, con i due 'Doria' che scortano a distanza ravvicinata il 'Garibaldi']]