Forze armate mondiali dal secondo dopoguerra al XXI secolo/Italia: Marina 1: differenze tra le versioni

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===I 100 anni dell'aviazione navale===
L’Italia iniziò l’era aeronautica proprio con la Marina, quando Mario Caldelara, il 12 settembre 1909 ottenne il brevetto di pilota dai fratelli Wright, durante la loro visita a Brescia. Era così un ufficiale della Regia Marina ad ottenere il brevetto di volo N.1. In seguito, appena due anni dopo, una variopinta accozzaglia di aerei e dirigibili vennero inviati il Libia per quello che fu il loro primo impiego bellico, nonostante che l’Italia non fosse propriamente un Paese all’avanguardia nel settore. Ma la guerra con la Turchia fu un’occasione di mostrare la nuova risorsa della tecnologia, giusto come di lì a poco vennero usati aerei per azioni armate in Messico e in Romania. Nel 1914 vi fu la conversione dell’incrociatore protetto ELBA come rudimentale porta-idrovolanti con 3-4 Curtiss Flying Boat. Però nell’immediato non vi furono altri sviluppi, fino a che nel ’22 l’Italia chiese alla conferenza di Washington la possibilità di costruire 60.000 t di portaerei. Richiesta accettata, ma per realizzarla saranno necessari 85 anni! Già nel ’23 venne completata la nave porta-idrovolanti GIUSEPPE MIRAGLIA. Ma nel marzo di quell’anno venne costituita la Regia Aeronautica e tutto si bloccò. Anche la Francia non fece molti passi avanti, con la costruzione della C.nte TESTE, una grossa porta-idrovolanti dotata persino di squadriglie di idrosiluranti Laté 298 e la portaerei BEARN, piuttosto lenta e insoddisfacente. Solo nei tardi anni ’30 verranno impostate due nuove portaerei leggere, mai completate per l’attacco tedesco. In Italia questo passò piuttosto inosservato, nonostante la serrata competizione con i Francesi, dovuta al riconoscimento della ‘parità’ a Washington tra le due nazioni, che causò attriti a non finire piuttosto che una stabilizzazione pacifica, anche per via del fatto che all’epoca era in carica un aggressivo e poco rassicurante regime di destra, quello dell’allora giovane Mussolini. Fu proprio lui che disse la famosa affermazione che l’Italia è una portaerei naturale che si protende nel Mediterraneo. Il che è vero, ma forse non così vero all’epoca dei fatti, con una tecnologia e un addestramento che non consentivano alla Regia Aeronautica di operare bene sul mare come avrebbe dovuto. Proprio quell’aviazione che aveva fatto scalpore con le navigazioni in formazione sopra l’Atlantico, non si dimostrerà adatta a contrastare la Royal Navy a due ore di volo dalle proprie basi (o anche meno, come a Punta Stilo). Così in Italia, come in Germania, l’aviazione di marina venne schiacciata quasi totalmente a favore dell’aeronautica. Anche in Francia e persino in Gran Bretagna le cose andarono solo marginalmente meglio, e con la guerra alle porte, restava poco tempo per porre rimedio agli errori fatti. Nel ’41, dopo la disfatta di Matapan, si accelerarono molti programmi, per esempio i due fondamentali che facevano la differenza con la Royal Navy, non meglio armata ma equipaggiata con radar e portaerei, che da allora si cercò di realizzare anche in Italia con la massima sollecitudine. I risultati non furono particolarmente positivi. Mentre la Miraglia ebbe una carriera del tutto incolore e finì affondata dai bombardamenti aerei all’ormeggio, si procedette alla trasformazione in portaerei delle due motonavi Roma e Augustus, che diventarono rispettivamente AQUILA e SPARVIERO. La prima era una nave da 24.000 t, 216 m di lunghezza per 30 di larghezza (al ponte di volo), capace di portare alcune decine di aerei come i Reggiane 2001 navalizzati, e con un potente armamento di cannoni (inclusi quelli da 65 mm) che di fatto non divennero disponibili. L’espediente di trasformare navi passeggeri è più che comprensibile, tecnicamente parlando: la velocità e la capacità di carico sono sufficienti. Ma una nave passeggeri è pur sempre una costruzione leggera, con standard mercantili e non militari. Ovviamente anche la protezione era tutta da costruire: vennero fatte delle controcarene e posizionate protezioni leggere, pare anche piastre di cemento in assenza di qualcosa di meglio (i dati sono piuttosto confusi). La nave che ne venne fuori era simile esteticamente alla Ark Royal britannica, ma per l’appunto, era più che altro apparenza data la fragilità complessiva e i rischi enormi dati da colpi a bordo, in mancanza di sufficienti protezioni di depositi e motori. Anche i giapponesi del resto, iniziavano all’epoca a trasformare navi passeggeri in portaerei con discreti risultati, in questo caso per incrementare il numerosi portaerei e compensare le perdite subite. L’AQUILA era pronta al 90% per scafo e motore, 70% per l’allestimento, quando l’8 settembre 1943 arrivò l’Armistizio, almeno 6, forse 12 mesi prima che potesse entrare in servizio. La Sparviero era una nave molto più modesta e a più bassa priorità, e nonostante si trattasse di un progetto meno impegnativo, era in maggior ritardo. Ci si potrebbe chiedere come mai navi più grandi come il REX non siano state modificate, e forse la spiegazione molto semplice era che non si vollero ‘rovinare’ navi dal grande valore commerciale per il dopoguerra. Il Rex andò perduto comunque per un attacco aereo, mentre l’AQUILA fu affondata da incursori subacquei che la colpirono nella notte del 19-20 aprile 1945 prima che venisse usata per bloccare l’ingresso del porto di Genova.
 
Questo fu l’epilogo mesto delle portaerei italiane dell’epoca. Nel dopoguerra non vi furono possibilità concrete di ripartire, dato che il Trattato di Parigi del 1947 dichiarò senza mezzi termini che l’Italia aveva perso la guerra (nonostante l’impegno per valorizzare la Resistenza e soprattutto i ‘Cobelligeranti’ del Sud), dandole solo dei termini meno aspri di quelli subiti da Germania e Giappone e non tanto diversamente da quanto accaduto alla Finlandia, per esempio. La Marina non avrebbe potuto avere portaerei (due unità leggere erano messe a disposizione da parte americana per i Francesi e altrettante lo sarebbero state per gli italiani se le cose avessero avuto un altro esito). Furono soprattutto i Britannici che insistettero per ricordare che l’Italia aveva perso la guerra, e del resto era difficile dar torto a loro, che avevano combattuto in Mediterraneo per quasi 5 anni. Così le due corazzate ‘Littorio’ vennero demolite pezzo per pezzo (erano l’altro ‘piatto forte’ che la Marina sperava di salvare) come accadde anche agli scafi delle due portaerei, entro gli anni ’50. Il resto lo fecero le rivalità con l’Aeronautica (tanto per cambiare) che avocava a sé tutti i velivoli militari, inclusi quelli dell’Esercito, che era costretto inizialmente a volare con aerei dipinti di giallo, ufficialmente come mezzi civili. Poi le cose divennero meno rigide, perché c’erano delle difficoltà obiettive che andavano risolte nell’ambito delle singole Forze Armate. Così all’Esercito vennero presto concessi velivoli leggeri, e lo stesso accadde alla Marina, che anzi, nel dopoguerra ebbe anche aerei Helldiver americani, rimasti però in servizio per pochissimo tempo. Gli elicotteri cominciarono ad apparire con i tipi Agusta-Bell AB-47 (c’erano anche dei minuscoli progetti nazionali monoposto, interessanti ma rimasti prototipi), AB-204, AB-212. Le prime navi che ebbero capacità elicotteristiche erano le ‘Alpino’, fregate antisommergibili, ma presto seguirono i due ‘Doria’, incrociatori armati di un lanciamissili Terrier a lungo raggio a prua, una batteria di cannoni a mezzanave e 2-4 elicotteri a poppa. Questi apprestamenti, più che essere l’equivalente di quelli delle portaerei, erano i discendenti degli idrovolanti su corazzate e incrociatori dell’era bellica. In ogni caso, l’idea degli incrociatori portaelicotteri ‘Doria’ era già qualcosa di interessante e, nel suo piccolo (6.500 t) innovativo. Però erano troppo piccoli e allora venne costruito il V.VENETO da oltre 9.000 t e per il resto una copia pantografata dei precedenti, ma con un massimo di 8-9 elicotteri AB212 o un minor numero di SH-3. Detto questo, l’era delle portaerei non era ancora giunta, e cominciò a manifestarsi solo con la legge navale, la 57/1975, che per potenziare la Marina, negli anni ’70 in decadenza netta (nonostante dei settori di ‘eccellenza’ come i nuovi cacciatorpediniere, sottomarini e fregate classe Lupo), stanziò fondi che servirono tra le altre cose, a finanziare extra bilancio della difesa le 8 fregate ‘Maestrale’'Maestrale', i due caccia ‘Audace'Audace migliorata’migliorata' e la nave portaeromobili, definita tuttavia come incrociatore. La GARIBALDI venne autorizzata il 21 novembre 1977 ma il progetto venne completato solo nel febbraio 1980. Era una nave davvero controversa: abbandonato il sistema missilistico a lungo raggio di prua, estendendo il ponte di volo per tutto lo scafo (come nel caso delle ‘Invincible’ britanniche, che però erano più grandi e potevano permettersi anche i missili Sea Dart, peraltro quasi l’unico armamento previsto a bordo), si otteneva una nave che a tutti gli effetti era una portaelicotteri pura, ma armata anche con una batteria di missili antinave, sonar e lanciasiluri ASW e un robusto armamento di difesa ravvicinata. Era insomma una portaelicotteri, ma armata e definita come incrociatore (C 551). Lo Sky-jump di prua, aggiunto durante la progettazione, era però qualcosa che non aveva senso in nessuna delle due categorie. Era chiaro che si volessero anche degli aerei da caccia a bordo, pensando agli Harrier britannici. La nave venne varata il 4 giugno 1983 e consegnata il 30 settembre 1985. C’era stato tutto il tempo di valutare l’importanza dei velivoli di bordo alle Falklands e per questo il ponte di volo venne incurvato verso prua, sia pure in maniera modesta, onde valorizzare meglio la limitata lunghezza (circa180 m) della nave. Alla Dragon Hammer ’90 vi appontarono Harrier americani e spagnoli. Passato il tempo in cui si pensava soprattutto a combattere i sottomarini russi, era giunto il momento di concepire una Marina più offensiva e dopo avere lottato a lungo contro l’Aeronautica, ferocemente critica verso il programma Harrier, la MMI si sdoganò dal giogo imposto dall’Arma Azzurra. E sì che quest’ultima avrebbe avuto una carta pesante da giocare per impedirlo. Gli Atlantic, i 18 pattugliatori marittimi gestiti per conto della Marina. Per qualche ragione difficile da comprendere a fondo, sono sono stati passati definitivamente (con i relativi costi) alla Marina. L’ideaL'idea era che se la Marina aveva la volontà di dotarsi di velivoli ad ala fissa, allora non avrebbe avuto senso ‘privarla’'privarla' della costosa gestione diretta degli aerei impiegati dall’Aeronautica per appoggiarla. Forse questo da solo avrebbe affondato letteralmente il programma Harrier, dato l’onere del mantenimento di una flotta di pattugliatori marittimi, e avrebbe liberato al contempo l’Aeronautica da compiti non suoi. Ma per qualche ragione, l’AMI ritenne di doversi tenere gli Atlantic e di lasciare la Marina libera di comprarsi (18, esattamente lo stesso numero) Harrier. Questi all’inizio erano molto meno definiti di quello che può sembrare adesso: si trattò di scegliere tra i veloci Sea Harrier e i più capaci AV-8B, e lo stesso accadde tra i radar Blue Vixen e APG-65 (interessante notare come apparentemente non ci sia stato interesse per il Grifo, che pure è un sistema nato proprio per quegli aerei così piccoli da non potersi permettere grossi radar di bordo). Come le cose siano andate è oramai storia nota, anche se l’APG-65 è stato adattato con un’antenna più piccola e con una certa difficoltà d’integrazione dei sistemi d’arma. La consegna dei primi Harrier è avvenuta il 23 agosto 1991, la fine delle stesse però è avvenuta solo dopo diversi anni. Nel mentre i primi aerei erano già stati urgentemente mandati con il Garibaldi in Somalia. ‘Peppino’'Peppino', nomignolo dell’ammiraglia della MM ha tratto indubbiamente beneficio dalla presenza di questi nuovi aerei, normalmente presenti in 6-8 esemplari e un numero simile di SH-3. Per quando i missili AMRAAM, fondamentali per ottenere la difesa aerea della flotta (gli AV-8 sono piuttosto lenti per un’intercettazioneun'intercettazione ‘in'in caccia’caccia'), sono stati integrati sugli aerei, tuttavia,ma sinon eraprima già arrivati quantomeno aldel 1999, e; di lì a poco la nave, che dispone di 200 aviatori ed avieri più 582 d’equipaggio, ha avuto importanti lavori di modifica. Nel 2003 ha aumentato infatti le sue capacità di comando e controllo con nuovi sistemi come il Link 16 di trasferimento dati (1 MB/sec) al posto del vecchio Link 11, sostituito il sonar, spostato il lanciarazzi SCLAR e rimossi i missili OTOMAT, liberando la zona di poppavia. L’imponente sagoma del Garibaldi è stata presente in molte operazioni, come le tre operazioni in Somalia nel 1992-1995 e la Allied Force nel ’99, Enduring Freedom (2001-02) e Libano (2006) . Nel caso dell’impegno post-11 settembre, la nave partì con la fregata ZEFFIRO e il pattugliatore AVIERE, più il rifornitore ETNA. Gli Harrier volarono 288 missioni per ben 860 ore, non poche per circa una mezza dozzina di macchine disponibili, pattugliando l’Oceano Indiano ma spingendosi anche ad attaccare obiettivi in Afghanistan. Si suppone che la GARIBALDI resti in servizio fino al 2020, come anche gli AV-8. Fino ad allora almeno la Marina avrà quindi due unità portaeromobili. Una nave sorella doveva essere pronta attorno al 1994, come Progetto 148, leggermente ingrandita rispetto alla prima e come tale, con un dislocamento passato da 13.850 t a 15.000 t e la possibilità di installare il SAAM-IT al posto dell’Aspide. Ma sebbene questo ritardo fosse già notevole (uno sfasamento di 9 anni almeno tra due navi della stessa classe, per quanto importanti siano, non è certo un buon modo di uniformarne le tecnologie e le capacità, visto che diventano due generazioni diverse, come la sostituzione dell’Albatross con il SAAM-IT dimostra).
 
Il programma subì numerosi rimaneggiamenti, diventando poi Progetto 156, 156 A e 160, una nave arrivata a 20.000 t e dall’aspetto simile alla spagnola Asturias. Poi, però, dalla metà degli anni ’90 si arrivò ad una nave mista portaereomobili-LHD, una specie di piccola ‘Tarawa’, dato che, nonostante le 3 recenti navi da sbarco, venne considerata necessaria. Evidentemente non c’era fiducia nellein capacitàquesto di queste naviconcetto, se la nuova portaerei avrebbe dovuto sacrificare una parte delle sue capacità aeree. Questo era dato dal fatto che la quarta nave anfibia da 13.000 t e con mezzi tipo EH-101 (6 di cui 5 in un hangar) e bacino per gli LCU a poppa, era stata cancellata per mancanza di fondi. Così era nato il Progetto 163 chiamato NUM, Nuova Unità Maggiore, o NUMA, che aggiungeva ‘Anfibia’'Anfibia’. Aveva secondo quanto previsto 20.000 t e bacino poppiero di 50 m con due LCAC, 4 AV-8 e 6-8 EH101. Non ha convinto e alla fine il bacino è stato abolito ed aumentata la capacità aerea. Alcune caratteristiche delle navi anfibie sono però rimaste, in particolare le rampe di carico e scarico sotto l’isola e a poppa. La costruzione è iniziata il 17 luglio 2001 e il varo dello scafo incompleto è avvenuto il 20 luglio 2004 a Riva Trigoso, senza la parte prodiera, implementata al Muggiano dopo avere rimorchiato lo scafo fino là. Il 18 dicembre 2006 sono iniziate le prove in mare e la consegna alla MM è avvenuta il 27 marzo 2008. E’ una nave molto più grande, a dire il vero la più grande nave militare italiana, essendo di 236 m per 39 di larghezza massima, 27.100 t e altre 2.500 potenziali, con sky-jump aumentato da 6,5 a 12°, e stavolta, senza ipocrisie, la si è definita da subito CVH, ovvero portaerei. La prima della Marina Militare. E certo lo resterà per molti anni. Berlusconi si è lamentato a suo tempo della ‘Portarei dell’Ulivo, che ci è costata 13 miliardi’. E’ stato necessario predisporre la nave per accogliere non solo gli Harrier, ma anche i loro successori, che potevano essere solo gli F-35B. Per il resto vi sono 32 missili ASTER-15 dei lanciatori A43, più 2 OTO SR e 3 KBB da 25 mm, 2 SCLAR-H e due SLAT. Questa grossa nave ha un equipaggio molto ridotto per le sue dimensioni e ruolo, appena 451 uomini (e donne), 203 per il gruppo di volo e quindi meno di quelli del Garibaldi, che pure stazza la metà. Vi è la predisposizione per 416 elementi della futura Brigata Anfibia (di cui si parla da un indicibile numero di anni, stavolta con la rivalità dell’Esercito). Ha il ponte hangar abbastanza robusto per tenere 24 carri Ariete o 50 Centauro/Dardo. I velivoli sono una ventina tra AV-8 e EH-101 e un elevatore esterno allo scafo consente di collegare il ponte di volo a quello hangar. Dall’evoluzione si possono anche capire quanto rilevanti fossero i limiti del Garibaldi, troppo piccolo per operare con gli aerei in guerre ad alta intensità.
 
Ancora più piccole sono le 3 ‘San Giorgio’ da circa 8.000 t e capaci di operare con 4 elicotteri, ma prive di un hangar capace di ospitarli. Forse potrebbero ospitare mezzi tipo A-129, A-109 e AB-206, ma non Sea King ed EH-101, dato che né l’elevatore né l’hangar hanno dimensioni sufficienti. Anche le navi di questo tipo hanno avuto diverse modifiche, come la rimozione del cannone di prua da 76 mm. Si presuppone che verranno sostituite dopo il 2018, e forse per rimpiazzarle vi sarà una nave tipo la BPE spagnola, la J.Carlos I, un tipo LHD. Ma è ancora presto per dirlo.
 
 
===Dagli incrociatori alle portaerei===
====Garibaldi (1936)====
Oramai dimenticato dalle generazioni più giovani, ma pur sempre una vera istituzione della Marina Militare, il 'Giuseppe Garibaldi' non è stato solo un incrociatore ben costruito, ma anche un simbolo del cambiamento e della rinascita della flotta nel dopoguerra. Nella sua carriera è passato dai siluri ai missili Polaris balistici, e ha visto finire l'Asse e iniziare la Guerra Fredda, fino alla sua radiazione finale. Il varo avvenne il 21 aprile 1936 e la consegna alla Regia Marina l'1 dicembre 1937. La bandiera di combattimento venne consegnata il 13 giugno 1938 dalla città di Palermo e dalla Federazione Nazionale Volontari Garibaldini.
 
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L'apparato di propulsione è del tipo COGAG con 4 turbine a gas costruite dalla Fiat su licenza della General Electric, che forniscono una potenza, a regime, di 82.000 HP (60 MW) ai due alberi motore e consentono una velocità massima di 30 nodi. La nave ha inolte un'autonomia di circa 7.000 miglia (13.000 km) ad una velocità media di 20 nodi.
 
Al momento del varo era il 'Garibaldi' era la portaerei in servizio più piccola al mondo, e tale è rimasta anche dopo: le dimensioni sono adeguate per far operare gli elicotteri, ma certo molto meno quando c'é una operazione continuativa con aerei da combattimento. La linea tipica è di 6-8 Harrier e 4-6 elicotteri Sea King o EH101. L'hangar in cui sono ospitabili, almeno in parte, questi apparecchi, è di dimensioni pari ad appena 110 x15 x 6 (altezza)m. Il ponte di volo è di 173,8x308 x30,4 m. Lo sky-jump è angolato a 6 gradi, mentre esistono due elevatori a prua e a poppa, capaci di imbarcare anche gli elicotteri pesanti CH-47, che possono essere ospitati nell'hangar. Questo può contenere un massimo di 10 Harrier e 1 SH-3, oppure 12 SH-3 Sea King. Sul ponte di volo esistono 6 piazzole per il parcheggio, per cui la capacità non è difficile da calcolare: visto che di fatto in hangar, per rendere i movimenti pratici con gli elevatori, esiste spazio per 8 aerei o 10 elicotteri, il totale complessivo tra le macchine imbarcate è di circa 12-16. Inizialmente si parlava di trasferire a bordo di questa nave 16 Sea King, cosa probabilmente mai avvenuta, anche se questi elicotteri sono rimasti per anni gli unici a bordo: il debutto degli Harrier è avvenuto solo nel '93, con la missione in Somalia (erano solo 3-5 velivoli, il completamento del GRUPAER era ancora lungi dal compiersi).
 
'''Giuseppe Garibaldi''' (551)
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Poi i sensori e i sistemi d'arma: radar di navigazione GEM Elettronica SPN-753G(V), radar per scoperta a bassa quota RASS RAN-30X, sistema SASS, per la sorveglianza passiva IR (Silent Acquisition Sub-System), radar di scoperta 3D Selex RAN-40L a poppa, e EMPAR sulla cupola di prua, sotto le solite (come sugli Orizzonte) due corone di sistemi ECM e ESM, che serve per scoprire bersagli vari e guidarvi contro gli Aster SAAM-IT; poi vi è la ESM ECM di Elettronica che sono gli stessi delle 'Orizzonte', coppia di lanciatori SCLAR-H di nuovo tipo a 20 canne ma modulari, sistema IFF Selex-SIR-R/S; poi vi è un TACAN Thales Italia, radar Selex Galileo SPN-720, sistema d'avvicinamento strumentale ognitempo Telephonics SPN-41 e EODS/DAPS per gli Harrier. Infine i due sistemi di sorveglianza elettro-ottica GEM ELettronica EOSS, e non manca nemmeno un sonar a scafo WASS SNA-2000 con predisposizione per il sistema di inganno siluri SLAT.
 
L'armamento vero e proprio a confronto non è molto, specie considerando il Garibaldi: 4 complessi a 8 celle Sylver A43 sui lati del ponte di volo per gli Aster 15, e 3 mitragliere Oto KBA da 25 mm, per la protezione tutt'intorno, ma non mancano nemmeno due posizioni per ospitare due potenti Super Rapido da 76 mm che in caso sarebbero serviti da due sistemi di ingaggio bersagli radar-ottici Selex NA-25X.
 
Di tutto questo sistema d'arma, in realtà è stato consegnato uno standard minimo, mentre tra il 7 e il 9 novembre del 2007, dopo le varie prove fatte con i sistemi di bordo come i motori e la generazione di energia e le tracciature acustiche, sono stati fatti i test di volo con elicotteri AB-212 e AW-101 del 5° e 1° Gruppo e uno AV-8.
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*Motto: "In arduis servare mentem"
 
 
 
L’Italia iniziò l’era aeronautica proprio con la Marina, quando Mario Caldelara, il 12 settembre 1909 ottenne il brevetto di pilota dai fratelli Wright, durante la loro visita a Brescia. Era così un ufficiale della Regia Marina ad ottenere il brevetto di volo N.1. In seguito, appena due anni dopo, una variopinta accozzaglia di aerei e dirigibili vennero inviati il Libia per quello che fu il loro primo impiego bellico, nonostante che l’Italia non fosse propriamente un Paese all’avanguardia nel settore. Ma la guerra con la Turchia fu un’occasione di mostrare la nuova risorsa della tecnologia, giusto come di lì a poco vennero usati aerei per azioni armate in Messico e in Romania. Nel 1914 vi fu la conversione dell’incrociatore protetto ELBA come rudimentale porta-idrovolanti con 3-4 Curtiss Flying Boat. Però nell’immediato non vi furono altri sviluppi, fino a che nel ’22 l’Italia chiese alla conferenza di Washington la possibilità di costruire 60.000 t di portaerei. Richiesta accettata, ma per realizzarla saranno necessari 85 anni! Già nel ’23 venne completata la nave porta-idrovolanti GIUSEPPE MIRAGLIA. Ma nel marzo di quell’anno venne costituita la Regia Aeronautica e tutto si bloccò. Anche la Francia non fece molti passi avanti, con la costruzione della C.nte TESTE, una grossa porta-idrovolanti dotata persino di squadriglie di idrosiluranti Laté 298 e la portaerei BEARN, piuttosto lenta e insoddisfacente. Solo nei tardi anni ’30 verranno impostate due nuove portaerei leggere, mai completate per l’attacco tedesco. In Italia questo passò piuttosto inosservato, nonostante la serrata competizione con i Francesi, dovuta al riconoscimento della ‘parità’ a Washington tra le due nazioni, che causò attriti a non finire piuttosto che una stabilizzazione pacifica, anche per via del fatto che all’epoca era in carica un aggressivo e poco rassicurante regime di destra, quello dell’allora giovane Mussolini. Fu proprio lui che disse la famosa affermazione che l’Italia è una portaerei naturale che si protende nel Mediterraneo. Il che è vero, ma forse non così vero all’epoca dei fatti, con una tecnologia e un addestramento che non consentivano alla Regia Aeronautica di operare bene sul mare come avrebbe dovuto. Proprio quell’aviazione che aveva fatto scalpore con le navigazioni in formazione sopra l’Atlantico, non si dimostrerà adatta a contrastare la Royal Navy a due ore di volo dalle proprie basi (o anche meno, come a Punta Stilo). Così in Italia, come in Germania, l’aviazione di marina venne schiacciata quasi totalmente a favore dell’aeronautica. Anche in Francia e persino in Gran Bretagna le cose andarono solo marginalmente meglio, e con la guerra alle porte, restava poco tempo per porre rimedio agli errori fatti. Nel ’41, dopo la disfatta di Matapan, si accelerarono molti programmi, per esempio i due fondamentali che facevano la differenza con la Royal Navy, non meglio armata ma equipaggiata con radar e portaerei, che da allora si cercò di realizzare anche in Italia con la massima sollecitudine. I risultati non furono particolarmente positivi. Mentre la Miraglia ebbe una carriera del tutto incolore e finì affondata dai bombardamenti aerei all’ormeggio, si procedette alla trasformazione in portaerei delle due motonavi Roma e Augustus, che diventarono rispettivamente AQUILA e SPARVIERO. La prima era una nave da 24.000 t, 216 m di lunghezza per 30 di larghezza (al ponte di volo), capace di portare alcune decine di aerei come i Reggiane 2001 navalizzati, e con un potente armamento di cannoni (inclusi quelli da 65 mm) che di fatto non divennero disponibili. L’espediente di trasformare navi passeggeri è più che comprensibile, tecnicamente parlando: la velocità e la capacità di carico sono sufficienti. Ma una nave passeggeri è pur sempre una costruzione leggera, con standard mercantili e non militari. Ovviamente anche la protezione era tutta da costruire: vennero fatte delle controcarene e posizionate protezioni leggere, pare anche piastre di cemento in assenza di qualcosa di meglio (i dati sono piuttosto confusi). La nave che ne venne fuori era simile esteticamente alla Ark Royal britannica, ma per l’appunto, era più che altro apparenza data la fragilità complessiva e i rischi enormi dati da colpi a bordo, in mancanza di sufficienti protezioni di depositi e motori. Anche i giapponesi del resto, iniziavano all’epoca a trasformare navi passeggeri in portaerei con discreti risultati, in questo caso per incrementare il numerosi portaerei e compensare le perdite subite. L’AQUILA era pronta al 90% per scafo e motore, 70% per l’allestimento, quando l’8 settembre 1943 arrivò l’Armistizio, almeno 6, forse 12 mesi prima che potesse entrare in servizio. La Sparviero era una nave molto più modesta e a più bassa priorità, e nonostante si trattasse di un progetto meno impegnativo, era in maggior ritardo. Ci si potrebbe chiedere come mai navi più grandi come il REX non siano state modificate, e forse la spiegazione molto semplice era che non si vollero ‘rovinare’ navi dal grande valore commerciale per il dopoguerra. Il Rex andò perduto comunque per un attacco aereo, mentre l’AQUILA fu affondata da incursori subacquei che la colpirono nella notte del 19-20 aprile 1945 prima che venisse usata per bloccare l’ingresso del porto di Genova.
 
Questo fu l’epilogo mesto delle portaerei italiane dell’epoca. Nel dopoguerra non vi furono possibilità concrete di ripartire, dato che il Trattato di Parigi del 1947 dichiarò senza mezzi termini che l’Italia aveva perso la guerra (nonostante l’impegno per valorizzare la Resistenza e soprattutto i ‘Cobelligeranti’ del Sud), dandole solo dei termini meno aspri di quelli subiti da Germania e Giappone e non tanto diversamente da quanto accaduto alla Finlandia, per esempio. La Marina non avrebbe potuto avere portaerei (due unità leggere erano messe a disposizione da parte americana per i Francesi e altrettante lo sarebbero state per gli italiani se le cose avessero avuto un altro esito). Furono soprattutto i Britannici che insistettero per ricordare che l’Italia aveva perso la guerra, e del resto era difficile dar torto a loro, che avevano combattuto in Mediterraneo per quasi 5 anni. Così le due corazzate ‘Littorio’ vennero demolite pezzo per pezzo (erano l’altro ‘piatto forte’ che la Marina sperava di salvare) come accadde anche agli scafi delle due portaerei, entro gli anni ’50. Il resto lo fecero le rivalità con l’Aeronautica (tanto per cambiare) che avocava a sé tutti i velivoli militari, inclusi quelli dell’Esercito, che era costretto inizialmente a volare con aerei dipinti di giallo, ufficialmente come mezzi civili. Poi le cose divennero meno rigide, perché c’erano delle difficoltà obiettive che andavano risolte nell’ambito delle singole Forze Armate. Così all’Esercito vennero presto concessi velivoli leggeri, e lo stesso accadde alla Marina, che anzi, nel dopoguerra ebbe anche aerei Helldiver americani, rimasti però in servizio per pochissimo tempo. Gli elicotteri cominciarono ad apparire con i tipi Agusta-Bell AB-47 (c’erano anche dei minuscoli progetti nazionali monoposto, interessanti ma rimasti prototipi), AB-204, AB-212. Le prime navi che ebbero capacità elicotteristiche erano le ‘Alpino’, fregate antisommergibili, ma presto seguirono i due ‘Doria’, incrociatori armati di un lanciamissili Terrier a lungo raggio a prua, una batteria di cannoni a mezzanave e 2-4 elicotteri a poppa. Questi apprestamenti, più che essere l’equivalente di quelli delle portaerei, erano i discendenti degli idrovolanti su corazzate e incrociatori dell’era bellica. In ogni caso, l’idea degli incrociatori portaelicotteri ‘Doria’ era già qualcosa di interessante e, nel suo piccolo (6.500 t) innovativo. Però erano troppo piccoli e allora venne costruito il V.VENETO da oltre 9.000 t e per il resto una copia pantografata dei precedenti, ma con un massimo di 8-9 elicotteri AB212 o un minor numero di SH-3. Detto questo, l’era delle portaerei non era ancora giunta, e cominciò a manifestarsi solo con la legge navale, la 57/1975, che per potenziare la Marina, negli anni ’70 in decadenza netta (nonostante dei settori di ‘eccellenza’ come i nuovi cacciatorpediniere, sottomarini e fregate classe Lupo), stanziò fondi che servirono tra le altre cose, a finanziare extra bilancio della difesa le 8 fregate ‘Maestrale’, i due caccia ‘Audace migliorata’ e la nave portaeromobili, definita tuttavia come incrociatore. La GARIBALDI venne autorizzata il 21 novembre 1977 ma il progetto venne completato solo nel febbraio 1980. Era una nave davvero controversa: abbandonato il sistema missilistico a lungo raggio di prua, estendendo il ponte di volo per tutto lo scafo (come nel caso delle ‘Invincible’ britanniche, che però erano più grandi e potevano permettersi anche i missili Sea Dart, peraltro quasi l’unico armamento previsto a bordo), si otteneva una nave che a tutti gli effetti era una portaelicotteri pura, ma armata anche con una batteria di missili antinave, sonar e lanciasiluri ASW e un robusto armamento di difesa ravvicinata. Era insomma una portaelicotteri, ma armata e definita come incrociatore (C 551). Lo Sky-jump di prua, aggiunto durante la progettazione, era però qualcosa che non aveva senso in nessuna delle due categorie. Era chiaro che si volessero anche degli aerei da caccia a bordo, pensando agli Harrier britannici. La nave venne varata il 4 giugno 1983 e consegnata il 30 settembre 1985. C’era stato tutto il tempo di valutare l’importanza dei velivoli di bordo alle Falklands e per questo il ponte di volo venne incurvato verso prua, sia pure in maniera modesta, onde valorizzare meglio la limitata lunghezza (circa180 m) della nave. Alla Dragon Hammer ’90 vi appontarono Harrier americani e spagnoli. Passato il tempo in cui si pensava soprattutto a combattere i sottomarini russi, era giunto il momento di concepire una Marina più offensiva e dopo avere lottato a lungo contro l’Aeronautica, ferocemente critica verso il programma Harrier, la MMI si sdoganò dal giogo imposto dall’Arma Azzurra. E sì che quest’ultima avrebbe avuto una carta pesante da giocare per impedirlo. Gli Atlantic, i 18 pattugliatori marittimi gestiti per conto della Marina. Per qualche ragione difficile da comprendere a fondo, sono sono stati passati definitivamente (con i relativi costi) alla Marina. L’idea era che se la Marina aveva la volontà di dotarsi di velivoli ad ala fissa, allora non avrebbe avuto senso ‘privarla’ della costosa gestione diretta degli aerei impiegati dall’Aeronautica per appoggiarla. Forse questo da solo avrebbe affondato letteralmente il programma Harrier, dato l’onere del mantenimento di una flotta di pattugliatori marittimi, e avrebbe liberato al contempo l’Aeronautica da compiti non suoi. Ma per qualche ragione, l’AMI ritenne di doversi tenere gli Atlantic e di lasciare la Marina libera di comprarsi (18, esattamente lo stesso numero) Harrier. Questi all’inizio erano molto meno definiti di quello che può sembrare adesso: si trattò di scegliere tra i veloci Sea Harrier e i più capaci AV-8B, e lo stesso accadde tra i radar Blue Vixen e APG-65 (interessante notare come apparentemente non ci sia stato interesse per il Grifo, che pure è un sistema nato proprio per quegli aerei così piccoli da non potersi permettere grossi radar di bordo). Come le cose siano andate è oramai storia nota, anche se l’APG-65 è stato adattato con un’antenna più piccola e con una certa difficoltà d’integrazione dei sistemi d’arma. La consegna dei primi Harrier è avvenuta il 23 agosto 1991, la fine delle stesse però è avvenuta solo dopo diversi anni. Nel mentre i primi aerei erano già stati urgentemente mandati con il Garibaldi in Somalia. ‘Peppino’, nomignolo dell’ammiraglia della MM ha tratto indubbiamente beneficio dalla presenza di questi nuovi aerei, normalmente presenti in 6-8 esemplari e un numero simile di SH-3. Per quando i missili AMRAAM, fondamentali per ottenere la difesa aerea della flotta (gli AV-8 sono piuttosto lenti per un’intercettazione ‘in caccia’), sono stati integrati sugli aerei, tuttavia, si era già arrivati quantomeno al 1999, e di lì a poco la nave, che dispone di 200 aviatori ed avieri più 582 d’equipaggio, ha avuto importanti lavori di modifica. Nel 2003 ha aumentato infatti le sue capacità di comando e controllo con nuovi sistemi come il Link 16 di trasferimento dati (1 MB/sec) al posto del vecchio Link 11, sostituito il sonar, spostato il lanciarazzi SCLAR e rimossi i missili OTOMAT, liberando la zona di poppavia. L’imponente sagoma del Garibaldi è stata presente in molte operazioni, come le tre operazioni in Somalia nel 1992-1995 e la Allied Force nel ’99, Enduring Freedom (2001-02) e Libano (2006) . Nel caso dell’impegno post-11 settembre, la nave partì con la fregata ZEFFIRO e il pattugliatore AVIERE, più il rifornitore ETNA. Gli Harrier volarono 288 missioni per ben 860 ore, non poche per circa una mezza dozzina di macchine disponibili, pattugliando l’Oceano Indiano ma spingendosi anche ad attaccare obiettivi in Afghanistan. Si suppone che la GARIBALDI resti in servizio fino al 2020, come anche gli AV-8. Fino ad allora almeno la Marina avrà quindi due unità portaeromobili. Una nave sorella doveva essere pronta attorno al 1994, come Progetto 148, leggermente ingrandita rispetto alla prima e come tale, con un dislocamento passato da 13.850 t a 15.000 t e la possibilità di installare il SAAM-IT al posto dell’Aspide. Ma sebbene questo ritardo fosse già notevole (uno sfasamento di 9 anni almeno tra due navi della stessa classe, per quanto importanti siano, non è certo un buon modo di uniformarne le tecnologie e le capacità, visto che diventano due generazioni diverse, come la sostituzione dell’Albatross con il SAAM-IT dimostra).
 
Il programma subì numerosi rimaneggiamenti, diventando poi Progetto 156, 156 A e 160, una nave arrivata a 20.000 t e dall’aspetto simile alla spagnola Asturias. Poi, però, dalla metà degli anni ’90 si arrivò ad una nave mista portaereomobili-LHD, una specie di piccola ‘Tarawa’, dato che, nonostante le 3 recenti navi da sbarco, venne considerata necessaria. Evidentemente non c’era fiducia nelle capacità di queste navi se la nuova portaerei avrebbe dovuto sacrificare una parte delle sue capacità. Questo era dato dal fatto che la quarta nave anfibia da 13.000 t e con mezzi tipo EH-101 (6 di cui 5 in un hangar) e bacino per gli LCU a poppa, era stata cancellata per mancanza di fondi. Così era nato il Progetto 163 chiamato NUM, Nuova Unità Maggiore, o NUMA, che aggiungeva ‘Anfibia’. Aveva secondo quanto previsto 20.000 t e bacino poppiero di 50 m con due LCAC, 4 AV-8 e 6-8 EH101. Non ha convinto e alla fine il bacino è stato abolito ed aumentata la capacità aerea. Alcune caratteristiche delle navi anfibie sono però rimaste, in particolare le rampe di carico e scarico sotto l’isola e a poppa. La costruzione è iniziata il 17 luglio 2001 e il varo dello scafo incompleto è avvenuto il 20 luglio 2004 a Riva Trigoso, senza la parte prodiera, implementata al Muggiano dopo avere rimorchiato lo scafo fino là. Il 18 dicembre 2006 sono iniziate le prove in mare e la consegna alla MM è avvenuta il 27 marzo 2008. E’ una nave molto più grande, a dire il vero la più grande nave militare italiana, essendo di 236 m per 39 di larghezza massima, 27.100 t e altre 2.500 potenziali, con sky-jump aumentato da 6,5 a 12°, e stavolta, senza ipocrisie, la si è definita da subito CVH, ovvero portaerei. La prima della Marina Militare. E certo lo resterà per molti anni. Berlusconi si è lamentato a suo tempo della ‘Portarei dell’Ulivo, che ci è costata 13 miliardi’. E’ stato necessario predisporre la nave per accogliere non solo gli Harrier, ma anche i loro successori, che potevano essere solo gli F-35B. Per il resto vi sono 32 missili ASTER-15 dei lanciatori A43, più 2 OTO SR e 3 KBB da 25 mm, 2 SCLAR-H e due SLAT. Questa grossa nave ha un equipaggio molto ridotto per le sue dimensioni e ruolo, appena 451 uomini (e donne), 203 per il gruppo di volo e quindi meno di quelli del Garibaldi, che pure stazza la metà. Vi è la predisposizione per 416 elementi della futura Brigata Anfibia (di cui si parla da un indicibile numero di anni, stavolta con la rivalità dell’Esercito). Ha il ponte hangar abbastanza robusto per tenere 24 carri Ariete o 50 Centauro/Dardo. I velivoli sono una ventina tra AV-8 e EH-101 e un elevatore esterno allo scafo consente di collegare il ponte di volo a quello hangar. Dall’evoluzione si possono anche capire quanto rilevanti fossero i limiti del Garibaldi, troppo piccolo per operare con gli aerei in guerre ad alta intensità.
 
Ancora più piccole sono le 3 ‘San Giorgio’ da circa 8.000 t e capaci di operare con 4 elicotteri, ma prive di un hangar capace di ospitarli. Forse potrebbero ospitare mezzi tipo A-129, A-109 e AB-206, ma non Sea King ed EH-101, dato che né l’elevatore né l’hangar hanno dimensioni sufficienti. Anche le navi di questo tipo hanno avuto diverse modifiche, come la rimozione del cannone di prua da 76 mm. Si presuppone che verranno sostituite dopo il 2018, e forse per rimpiazzarle vi sarà una nave tipo la BPE spagnola, la J.Carlos I, un tipo LHD. Ma è presto per dirlo.
 
===Sottomarini===