Forze armate mondiali dal secondo dopoguerra al XXI secolo/Cuba: differenze tra le versioni

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Il 22 ottobre non successe nulla in termini militari, ma Kennedy parlò a reti unificate (sia radio che tv) per spiegare la minaccia a cui stava andando incontro il Paese e minacciando l’URSS di una rappresaglia in caso vi fosse stato un lancio di missili contro il proprio territorio. Un discorso breve, di 17 minuti in tutto. Per vie diplomatiche De Gaulle e McMillan (il premier britannico) assicurarono solidarietà all’azione di Kennedy. Si salì da DEFCON 4 a DEFCON 3, i bombardieri B-52 in volo erano un ottavo del totale, armati di armi termonucleari; 183 B-47 erano dispersi in 33 aeroporti e pronti all’uso di armi atomiche, già a bordo. 161 caccia dell’ADC (Air Defense Command) erano stati messi in allerta e dotati di armi nucleari aria-aria (erano razzi non guidati o missili Falcon), una follia da usare sopra il territorio nazionale, contro aerei sicuramente in volo a bassissime quote, ma all’epoca si era arrivato anche a questo punto. Per giunta, entro le 10 del 24 ottobre sarebbe scattata una quarantena attorno a Cuba, il che significava fermare le navi sovietiche dirette a Cuba. I Sovietici a quel punto si irrigidirono in una posizione che poteva comportare anche lo scontro termonucleare, con conseguenze apocalittiche. Scontro che con ogni probabilità avrebbe lasciato vincitori gli Stati Uniti, ma distruggendo sia l’URSS che l’Europa sarebbe stato davvero un magro risultato. Il 23 ottobre l’ambasciatore sovietico all’ONU venne sbugiardato dall’USAF che portò le prove della presenza dei missili SS-4 a Cuba, mentre Castro diede un discorso nelle TV cubane di ‘soli’ 90 minuti in cui ribadì la necessità di non piegarsi alla volontà americana ma negando che vi fossero missili sovietici a Cuba. Iniziarono i voli di RF-8 e RF-101 che compirono 158 missioni fino al 15 novembre successivo. L’amministrazione Kennedy, dopo il fallimento dell’Operazione Zapata (lo sbarco all’Isola dei Porci con gli anti-castristi), non voleva altri fallimenti. Nel frattempo le comunicazioni tra i leader delle superpotenze non erano sufficienti: la ‘Linea Rossa’ arrivò, proprio a scopo di parlarsi presto e rapidamente nella primavera del ’63, proprio a seguito di questa esperienza. I Sovietici stavano assemblando i MiG-21, ma pare più per attacchi negli USA che per la difesa aerea. La minaccia dei MiG era persino sopravvalutata, tanto che Kennedy addirittura ordinò di controllare le navi a 1.400 km di distanza dalle coste cubane per evitare attacchi (malamente eseguibili anche dagli Il-28), riducendo su pressione degli ammiragli americani poi la distanza a ‘soli’ 800 km, distanza ancora reputata eccessiva.
Nel frattempo gli americani portavano in azione i missili HAWK e i primi caccia Phantom dell’USN, per la difesa delle navi e delle installazioni terrestri.
 
 
Da quel momento iniziarono i guai più gravi. Delle navi sovietiche, almeno 19 in viaggio per Cuba, 16 si fermarono o invertirono la rotta, ma 3 andarono avanti. E se la petroliera Bucharest venne fatta passare, le altre due, tra cui la Gagarin, vennero intercettate da un gruppo di portaerei americane; tra le due unità navigava immerso un sottomarino sovietico, presumibilmente come scorta; alla fine le navi accettarono di fermarsi. Seguirono discussioni e trattative estenuanti con tutti i principali attori della politica internazionale, perché l’obiettivo era quello di scongiurare un attacco che i ‘Falchi’ di Washington e del Pentagono volevano a tutti i costi, anche calcolando il numero di vittime (18.500), anche se si fosse saputo che i sovietici avevano i FROG, la baldanza americana, almeno per un’eventuale invasione terrestre, si sarebbe presto chetata. La situazione si stava invece surriscaldando e c’era il pericolo che i nervi saltassero per qualche malinteso gesto delle opposte parti, del resto all’epoca Krushov e Kennedy si parlavano tramite lettere e questo dà l’idea di come fosse difficile reagire prontamente ad eventuali emergenze. Kennedy era nei guai perché se non avesse fatto nulla sarebbe finito quasi sicuramente sotto impeachment e magari accusato di avere tradito il suo mandato presidenziale (naturalmente i presidenti che all’opposto hanno ‘fatto troppo’ non hanno mai corso questo rischio), LeMay e altri alti ufficiali, con il piglio degno del film Dr Stranamore, discettavano su come distruggere i sovietici e invadere Cuba, cadendo a tratti nel comico. Infatti erano proprio gli americani che per l’ottobre 1962 avevano intenzione, secondo i piani di Moongose, di intervenire a Cuba supportando la resistenza interna per rovesciare il regime. Invece erano arrivati i sovietici a supportare il regime di Castro contro le ingerenze americane. La situazione era oramai così grave che le postazioni contraeree avevano il grilletto facile, mentre i ricognitori avevano ora l’ordine di eseguire missioni ogni due anziché 12 ore. Un aereo-spia U-2 era in missione su Cuba il 27 ottobre, apparentemente non c’erano minacce incombenti e ai comandi v’era il magg. Anderson Jr, veterano di altre missioni su Cuba. Si sapeva già che gli U-2, per quanto volassero alti, non erano invulnerabili alle intercettazioni dei missili SA-2 (vedi il caso Powers del 1960), per cui il rischio potenzialmente, c’era. E così avvenne che un missile (nel film Thirteen Days sono diversi, ma non è chiaro se sia una ricostruzione plausibile o solo più spettacolare) venne tirato contro l’aereo e lo distrusse, uccidendone anche il pilota. Castro aveva ordinato di sparare contro gli aerei americani sul suo territorio (cosa del resto più che legittima, cosa avrebbero fatto gli USA se fossero stati i Cubani a sorvolare le proprie installazioni?), anche se in volo solitario (e quindi, presumibilmente solo ricognitori), mentre prima era stato detto che solo formazioni numerose fossero oggetto di tali misure. La decisione di attaccare l’U-2 venne presa da due generali sovietici, poi rimproverati dal Ministro della Difesa in persona, ma all’epoca sembrava che fosse un deliberato tentativo di provocare un’escalation verso il conflitto, una specie di ‘casus belli’ (che degli aerei spia sorvolassero uno Stato sovrano invece sembrava lasciare indifferenti). Per giunta, un altro U-2, in volo sempre quel giorno, sorvolò ‘per errore’ (così si disse ufficialmente, ma al solito queste spiegazioni non risultavano molto convincenti) il territorio sovietico e dei MiG si levarono in volo per inseguirlo. Dall’Alaska decollarono dei caccia americani dell’ADC per proteggere il ricognitore e questi aerei erano armati di testate nucleari: un conflitto atomico avrebbe potuto nascere persino da qui, dal folle utilizzo di missili per intercettori a carica nucleare (cosa che per fortuna, negli anni successivi decadde e sparì dalla dottrina dell’USAF: si pensi ai soli problemi di sicurezza che persino in tempo di pace poteva dare mandare in volo un caccia monomotore con un arsenale atomico a bordo, magari per schiantarsi in un incidente di volo sopra un quartiere residenziale).
 
Detto questo, nonostante le pressioni per l’abbattimento dell’U-2 e il danneggiamento di un RF-8 da parte della contraerea leggera, Kennedy non cedette ai generali che volevano una rappresaglia e ordinò al più di colpire le postazioni contraeree se vi fossero state altre azioni ostili. Nel frattempo continuavano le discussioni e le trattative. Il livello di allerta nucleare era salito a DEFCON 2, che non era ancora il massimo (quello era il DEFCON 1), ma questa fu la prima e l’unica volta che durante la Guerra fredda si arrivò a tale livello. E ci si arrivò senza nemmeno avvertire Kennedy, che infatti si infuriò letteralmente quando lo venne a sapere, visto che non era affatto d’accordo con tale misura. Anche se i Sovietici avevano solo una cinquantina di bombardieri a lungo raggio attivi all’epoca, l’ultima cosa che serviva in quel momento era provocare reciprocamente le proprie risorse strategiche e avvicinarsi ad una guerra totale quasi senza accorgersene. Infine arrivò la soluzione: Kennedy e Krushov si accordarono in maniera molto pragmatica. L’Americano chiedeva che i missili SS-4 venissero ritirati, ma il russo voleva che lo stesso avvenisse per i missili Jupiter turchi e italiani. La Turchia, a diretto contatto con l’URSS, non era affatto d’accordo. A dire il vero però, in quel periodo i progressi della tecnica erano tali che questi missili erano già considerati obsoleti e di fatto, all’epoca gli americani erano orientati agli ICBM e agli SLBM. I missili sovietici erano simili agli Jupiter, ma meno precisi e potenti. Nondimeno per i sovietici si trattava di validi armamenti, adatti alle necessità della propria difesa, più arretrata di quella americana. Ritirarli dagli USA, dopo avergli dato scacco con la loro apparizione lungo le loro coste, dopo che i siti erano diventati operativi entro il 28 ottobre, era quindi un passo difficile, mentre i missili americani avrebbero dovuto essere ritirati già la primavera del ’62 e quindi ‘vivevano a prestito’ all’epoca. La soluzione fu quindi questa: i sovietici accettarono la necessità americana di ritirare i missili da Cuba per non sentirsi sotto minaccia ‘a casa loro’, in cambio della promessa americana di non attaccare Cuba; sotto traccia però c’era anche un accordo segreto, tenuto tale per non innervosire gli Alleati della NATO, per togliere di mezzo anche gli Jupiter dall’Europa. La proposta di Kennedy del 27 ottobre venne recepita dal leader sovietico che annunciò il ritiro il 28 ottobre dei missili. Nemmeno questo fermò gente come LeMay che diffidava dal comportamento sovietico e insisteva per bombardare a tutti i costi. Kennedy però non si fece convincere, anche perché a quel punto gli USA sarebbero figurati come aggressori a pieno titolo: non basta schierare armi dalle potenzialità offensive per dare inizio ad una guerra, specie se le si considera sistemi difensivi o di deterrenza (esattamente il ragionamento fatto dagli Americani in Europa con i loro missili balistici e ‘cruise’ quali i Mace e Matador, tutte armi che Mosca vedeva legittimamente come minacce dirette e non semplici strumenti difensivi). Le infrastrutture sovietiche vennero smantellate i giorni successivi e Castro si arrabbiò molto quando i Sovietici riportarono in patria anche i bombardieri Il-28, che lui vedeva giustamente come un valido deterrente per la difesa di Cuba. Le stesse navi che avevano portato ben nascosti i missili, adesso li riportavano in patria esposti sopra i loro ponti. La crisi era finita. Ma in realtà le cose non cambiarono molto. Entro l’estate del ’63 vennero ritirati i missili Jupiter dall’Europa. Gli americani avevano agito secondo gli accordi, ma se l’erano indubbiamente presa molto comoda per smantellare un numero di armi analogo a quello che i sovietici avevano fatto sparire in qualche settimana. Ma c’era una ragione, che gli accordi non contemplavano. Sopra si è parlato di ICBM e SLBM. Bene, nel primo caso i missili Minuteman, i più diffusi e importanti ordigni americani della categoria, erano entrati in servizio proprio in quel periodo. Quanto ai secondi, pur possedendo una gittata simile, i Polaris erano armi mobili, installate su navi della marina. Si era pensato anche a navi di superficie e addirittura in Italia erano state installate delle predisposizioni di progettazione nazionale sull’incrociatore Garibaldi (e pare ve ne fossero anche per le navi missilistiche più recenti, ma mai usate in alcun modo); tuttavia il mezzo migliore per eseguire i pattugliamenti con tali missili erano i sottomarini, specie se nucleari. E in Mediterraneo il primo SSBN entrò in aprile, di fatto rimpiazzando molto efficacemente i vecchi Jupiter. Anche se con armi da oltre 2.700 km v’era tutta la tranquillità di lanciarli verso il territorio nemico, specie da mari sotto il proprio controllo come il Mediterraneo, e una nave di superficie sia meno critica e meno costosa di un battello nucleare, gli SLBM da allora sono stati ospitati dai soli sottomarini, reputati più sicuri contro eventuali difese sovietiche e in particolare contro altri sottomarini. A dire il vero, non si vede perché la Marina americana con concepisse navi lanciamissili balistici, quando per eseguire attacchi nucleari sul territorio sovietico avrebbe dovuto usare degli aerei convenzionali, molto più lenti e vulnerabili, e avvicinarsi molto di più per il loro impiego. Detta così in effetti l’idea di lanciare ordigni balistici da parte della flotta di superficie era tutt’altro che irragionevole, anche perché le navi di superficie, in era pre-GPS, avevano più capacità di conoscere la propria posizione con precisione e questo era fondamentale per il sistema inerziale di guida dei missili. Ma sta di fatto che tale soluzione non venne praticata. Così come che i numerosi SSBN costituirono una molto più discreta e letale copertura dell’Europa senza dover ricorrere all’uso degli ICBM da parte del territorio americano. Presto anche i sovietici ottennero analoghi missili e sottomarini (nel loro caso una necessità visto il dominio degli oceani avversario) e così la minaccia nucleare incrociata, con armi a media gittata, riprese come e più di prima, mentre gli ICBM aumentavano (a scapito dei più costosi e vulnerabili bombardieri).
 
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