Forze armate mondiali dal secondo dopoguerra al XXI secolo/Italia: esercito 2: differenze tra le versioni

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Molte delle trazioni artiglieresche risalgono al Rinascimento, ma sopratutto, alla Prima guerra mondiale, in cui l'Esercito entrò con un parco d'artiglierie deficitario (come quasi tutti i belligeranti) ma riuscendo a porvi rimedio in pochi anni con un massiccio investimento, importazioni, produzioni su licenza e un gran numero di pezzi austro-ungarici. Ancora nel 1990 gli accordi CFE conteggiavano un totale di ben 2.153 pezzi d'artiglieria. Ma questo totale era semplicemente falso. Bisogna dire in merito, che il trattato considerava pezzi d'artiglieria che fossero contemporaneamente sia di calibro superiore al 100 mm, che con canna rigata. Dunque nessuno degli 800 e passa mortai da 120 mm come nessuno degli oltre 250 cannoni da 40 mm antiaerei, poteva essere conteggiato nel totale, e lo stesso vale per i cannoni SR da 106 mm del tipo M40 che forse hanno contribuito al 'trucco' contabile, essendo sia di oltre 100 mm che con canna rigata. Ma non sono artiglierie convenzionali, sono attrezzate solo per il tiro diretto, e non sono assolutamente assegnate ad alcun reparto d'artiglieria. Con questi criteri si potrebbe considerare artiglieria da 'CFE' anche i cannoni da 105 mm dei carri armati, essendo questi sia rigati che oltre i 100 mm (e oltretutto non del tipo 'senza rinculo', ma armi relativamente convenzionali).
 
Quello che realmente esisteva all'epoca, attorno al 1990, nelle batterie dell'Esercito (depositi inclusi) era un totale di 10901.090 pezzi d'artiglieria: 320 obici M56 someggiabili, per le 5 brigate alpine, calibro 105/14 mm, con gittata di 10,6 km; a salire s'incontravano 70 M114 americani da 155 mm, ben 164 cannoni-obici FH-70 da 155/39 mm con gittata di 24 km, 42 vecchi cannoni M59 (americani come gli M114) da 155 mm, 36 M115 da 203 mm (idem); come semoventi vi erano un totale di ben 360 M109G e (pochi) già aggiornati allo standard L (con cannone.obice da 155/39 mm anziché 155/23 e gittata di 24 km anziché 18); 18 M107 da 175 mm, 36 M110A2 da 203 mm, 108 M-44 e 36 M55. Sono tutte armi americane, eccetto gli obici someggiabili M56 italiani, e gli FH-70 tri-nazionali, come anticipazione del consorsio dei Tornado: ovvero, 72 armi per la Gran Bretagna (che nondimeno aveva la leadership per la versione trainata), 164 per l'Italia, e ben 212 per la Germania Ovest (che ebbe la leadership per la versione semovente SP-70, poi cancellata nel 1987). Era un'artiglieria potente e rappresentava un'arma di nuova generazione, al cui livello avrebbero dovuto essere convertiti gli M109 GM109G con una bocca da fuoco del tutto equivalente. Gli M107 erano in predicato di essere aggiornati, come in effetti sarà, trasformandoli in M110A2, dato che questi avevano quasi la stessa gittata ma con una granata ben più pesante: ma in realtà, la maggiore ragione si trovava forse nel fatto che si trattava di artiglierie con capacità nucleare: gli israeliani, al contrario, apprezzano la maggior gittata degli M107 e li hanno mantenuti con tanto di proiettile a gittata prolungata del tipo a 'sabot', da 40 km di raggio. In concreto, non hanno cambiato la loro linea di pensiero, che prima dell'avvento dell'M110A2 con cannone prolungato vedeva decisamente in rovina l'M110. La trasformazione era facile, visto che lo chassis era lo stesso e quindi bisognava sostituire solo la b.d.f, cosa semplice dato che non era in torretta, ma in un affusto scoperto, come se fosse un'artiglieria trainata (dato che lo scafo non era assolutamente in grando di ospitare una torretta adatta alla necessità).
 
Quanto ai pezzi d'artiglieria obsoleti, il 155/55 M59 'Long Tom' (designazione bellica: M1 Long Tom), era un potente cannone d'artiglieria a lunga gittata, derivato dal GPF francese della Prima guerra mondiale, da 18 km di gittata, e di cui l'esercito USA aveva ancora oltre 800 pezzi nel 1940. Dato che era un cannone eccellente, gli americani ebbero premura di comprarlo già nel 1917, quando entrarono in guerra, chiamando i pezzi ricevuti dai francesi M1917. La produzione americana, differente per minimi particolari, era chiamata M1918. La presenza in Europa degli M1917 fu limitata, e ancora di più lo fu quella degli M1918 che ovviamente necessitavano di un certo tempo per entrare in servizio: comunque, assieme ai numerosi cannoni da 75 mm M1897 questi pezzi furono il cardine dell'artiglieria americana della Prima Guerra Mondiale, visto che per il resto il corpo di spedizione statunitense non aveva quasi nessun equipaggiamento pesante, e non vi fu il tempo materiale per fare molto prima dell'armistizio dell'autunno del 1918. Questo anche per le difficoltà del trasporto in mare attraverso l'Atlantico, con navi spesso di tipo obsoleto anche per l'epoca, per i sottomarini tedeschi e per la vera 'arma segreta' che gli americani portarono (purtroppo) con loro, l'influenza spagnola, che fu un flagello per il genere umano peggiore di tutta la guerra messa insieme. Nonostante tutte queste difficoltà gli americani trovarono che l'M1918, ovvero il GPF (Grand Puissance de Feu) Filloux (nome del progettista) era un'arma pregevole: poteva sparare una granata da circa 43 kg ad oltre 18 km di gittata, e restava ancora rapido da movimentare e da mettere in batteria, grazie anche all'affusto. Ma come gittata, per quanto pienamente soddisfacente, si poteva fare di più e una commissione per l'artiglieria avrebbe raccomandato l'adozione di un suo derivato, appena più recente, l'M1920 studiato negli USA. Quest'arma 'cadde male' essendo arrivata nel dopoguerra, quando non v'erano soldi per queste 'innovazioni'. Quest'artiglieria rimase così nel cassetto, con uno sviluppo molto lento ed esitante, fino ai tardi anni '30. Nel mentre i cannoni da 75 mm vennero più rapidamente sostituiti dagli obici da 105 mm di pari gittata ma molto più distruttivi. Nel giugno 1940, quando l'Italia entrò in guerra e la Francia cadde, i primi cannoni a lungo raggio stavano entrando in servizio, con la loro portata aumentata ad oltre 23 km, ma non c 'era molto bisogno di loro perché in tutto v'erano non meno di 973 cannoni da 155 mm, quasi tutti M1918, in servizio. Essendo allora artiglieria di corpo d'armata, questi cannoni a lungo raggio erano addirittura in esubero numerico. Molti vennero installati in speciali postazioni in calcestruzzo, chiamati Panama Mounts, che erano capaci di far fuoco sui 360 gradi. Altri videro l'azione ma vennero ben presto superati dagli M1 'Long Tom' dalla maggiore gittata e dall'affusto più moderno. Questo poderoso cannone venne montato anche su scafo di carri dando origine a soluzioni come l'M40 su scafo M4 Sherman, un'ottimo semovente pesante.
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Nel frattempo giunse anche un altro pezzo d'artiglieria, l'obice da 155 mm, altra ottima arma, che avrebbe avuto una lunga carriera posbellica, più forse di qualunque altra. Non mancarono infine gli obici M1 da 105/23 mm, altre ottime armi divisionali.
 
Il dopoguerra vide un'invasione di artiglieria surplus americane: tra queste vi erano gli obici da montagna da 75 mm, anche in versione semovente su scafo di carro leggero; l'M114, come si chiamava l'obice da 155 mm; l'M59 'Long Tom'; l'M115, ovvero l'ultimo modello dell'arma da 203 mm.
 
In Italia v'erano armi analoghe, come anche in altre nazioni (per esempio, Germania e URSS), dato che v'erano necessità analoghe e buone capacità di progettazione. Anche qui i programmi dell'artiglieria languirono fino alla metà degli anni '30 dato il surplus di cannoni, spesso di preda bellica, di cui si disponeva. Le artiglierie, differentemente dai veicoli, aerei e anche navi, non si logorano facilmente, non bruciano e in genere non esplodono. Quindi, nella loro essenza di 'pezzi di ferro' sono beni durevoli. Ora le prede belliche austro-ungariche furono una autentica iattura: erano superiori come prestazioni e qualità alle armi italiane (che risultavano carenti ben più delle mere prestazioni teoriche, specie per i proiettili di tipo mediocre disponibili), e vennero adottate in un gran numero di esemplari. Però, con queste consistenti riserve di armi e munizioni disponibili sia di provenienza nazionale che austro-ungarica, e con le prestazioni belliche più che oneste di quest'ultime artiglierie, anche all'inizio della Seconda guerra mondiale, il problema del rinnovo dell'artiglieria scivolò molto addietro nelle priorità. Casomai le artiglierie avevano priorità per le navi da guerra e per l'antiaerea, ma molto meno per le batteria da campagna.
 
Nel frattempo molti nuovi progetti venivano messi faticosamente a punto, spesso l'industria li approntava e poi, data la mancanza di ordini nazionali, le vendeva all'estero (anche obici da 210 mm all'Ungheria, per esempio). Per quando l'Esercito italiano si decise a fare sul serio come artiglierie e ad ordinare cannoni a lunga gittata da 155 mm, obici da 210 mm, artiglierie divisionali (ancora essenzialmente da 75 mm) etc. si era arrivati allo scoppio della nuova guerra mondiale. Ma se le condizioni di partenza non erano molto dissimili, gli americani fecero leva sulle loro capacità produttive e il risultato fu nettissimo: la loro artiglieria campale era la cosa che forse funzionava meglio di tutto il loro esercito, specie nel '42-43, superbamente equipaggiata, presto anche con le versioni semoventi, che sposavano le valide artiglierie a veicoli di per se non tanto impressionanti (scafi di carri leggeri e medi) ma affidabili, capaci di essere delle piattaforme efficienti e durevoli data l'ottima meccanica di base.
 
Nel dopoguerra l'artiglieria italiana ricominciò con quello che aveva ancora disponibile. Tra l'altro riuscì a mettere a punto o ricostruire 8 potenti obici da 210 mm, che poi sarebbero stati rimpiazzati, anche per la standardizzazione del munizionamento (il 210 mm non aveva più mercato), con gli eccellenti M115. Le artiglierie da 155/25 mm vennero rimpiazzate dagli M114, grossomodo di simili caratteristiche ma molto più rapidi da mettere in batteria. I cannoni da 90/53 mm antiaerei rimasero al loro posto per anni e si sperimentò addirittura una versione con la canna da 73 calibri, ma in definitiva non rimasero in servizio per molti anni essendo oramai concettualmente superati nell'era dei missili.
 
===Artiglieria nel dopoguerra in Italia Sgarlato N: ''L'artiglieria pesante c.a. nel 1950'', Eserciti nella Storia N.44 Ferrari, Giorgio: ''La ripresa del Servizio tecnico d'artiglieria nel dopoguerra'', RID marzo 1994===
Le artiglierie da montagna, per lo più residuati bellici preesistenti al 1945, vennero rimpiazzate con l'obice OTO da 105/14 mm, che presentava la caratteristica di essere molto leggero (1360 km, ma spesso lo scudo veniva rimosso) e fu un successo internazionale dai tardi anni '50, anche e sopratutto perché, al di là della bontà dell'arma, non c'era nessun rimpiazzo da parte americana per l'efficace ma oramai superato pezzo da 75 mm (specie per il calibro, inizialmente l'unico fattibile per un obice leggero someggiabile, ma oltre 10 anni dopo si poteva fare di meglio). Lo stesso, inspiegabilmente, avvenne per i cannoni da 76 mm americani, inizialmente gli unici automatici in tale calibro, ma poi rimasti senza validi successori a lasciare il successo commerciale ai pezzi OTO da 76 mm, adottati persino dagli americani come Mk 75. Da notare che, apparentemente nessun obice trainato da 105 mm americano venne preso in carico dall'artiglieria italiana. Successe invece per quella semovente, con diversi tipi di veicoli.
La ripresa postbellica del servizio tecnico d'artiglieria fu molto intensa e ricca di insegnamenti, oltre che della constatazione di come poche artiglierie italiane dei tipi più moderni erano all'altezza della produzione estera, cosicché i reparti di prima linea si ritrovarono a combattere con armi obsolete. In effetti, per quanto possa sembrare assurdo, la vera maledizione furono le armi ex-austroungariche: non perché fossero mediocri, al contrario. Esse risultavano così palesemente superiori rispetto al grosso delle artiglierie che l'Esercito mise in campo nella Prima guerra mondiale, specie quando si trattava di prodotti su licenza esteri (in genere francesi), che le si adottò in gran numero. Ma esse, per quanto buone fossero, rimasero poi inevitabilmente obsolete 22 anni dopo, senza che ve ne fossero in approvvigionamento un numero sufficiente dei nuovi modelli. Non che fosse un problema di numeri: al giugno 1940 c'erano non meno di 12.000 pezzi di oltre i 47 mm nel solo Regio Esercito, e questo non comprendeva le armi della Marina e dei tipi più leggeri. Sia l'una che gli altri erano di tipo moderno, per esempio i cannoni Breda da 20 e 37 mm, e i Bolher da 47 mm (di progetto austriaco). Ma sopra tali calibri, c'erano solo circa 116 pezzi moderni, per lo più i 75 mm contraerei Mod 34 e alcune artiglierie da montagna da 75/18 mm, oltre ai primissimi, ma non ancora in servizio, obici da 210 mm. La produzione bellica per rimpiazzare quello che all'epoca era uno dei più grandi parchi d'artiglieria del mondo, non fu mai pari alle aspettative e solo le armi pesanti c.a. da 90 mm, e quelle di corpo d'Armata da 149 mm, entrarono in servizio in quantità apprezzabili, ma specie nel secondo caso, troppo tardi. I cannoni d'armata da 149/40 mm e gli obici da 210 vennero mandati per lo più un URSS con il Corpo di Spedizione italiano, e andarono conseguentemente perduti. Nel dopoguerra i 210 mm rimasero in servizio per diversi anni con 8 esemplari, fino ad essere rimpiazzati dagli M115 americani calibro 203 mm, leggermente meno potenti ma anche più moderni e mobili (e da loro partirà poi l'M110). I cannoni a lunga gittata diverranno gli M59 Long Tom, di gittata impercettibilmente inferiore rispetto ai 149/40 ma ottime armi d'artiglieria a loro volta, per poi passare ai pezzi M107 e FH-70.
 
Tra gli esperimenti postbellici c'era un grosso interesse per ottimizzare quello che c'era con le munizioni e gli standard NATO. Come fucili mitragliatori, cominciando dal basso, si dovette passare per vari livelli, assai discontinui: prima il Breda 30, molto prodotto come arma di squadra, tra i meno soddisfacenti e armoniosi (anche in senso estetico, cosa che non è trascurabile come si può pensare: tradiva una scarsa linearità di funzionamento e di affidabilità in azione), al Bren britannico che era il meglio. Ma siccome si doveva adottare la 7,7 americana, il Bren da 7,7 mm non andava bene e così bisognava passare al vecchi M1918 BAR (Browning Automatic Rifle), un'arma tra le più eleganti e ben costruite della storia delle armi automatiche, usata dall'US Army per circa 40 anni. Si provò ad adattarlo alle munizioni americane per renderlo compatibile con i Garand, e in alternativa al BAR; ma non se ne fece nulla, essendo la munizione americana troppo diversa e lunga quasi 7 mm di più. In seguito, invece, gli Inglesi riuscirono a ricalibrarlo per la più corta 7,62x51 mm NATO. Così si ebbe il BAR e, come armi del fante, l'M1 Garand, di cui la Beretta avrebbe fatto una versione automatica, il FAL BM59 (simile all'M14 americano). Per le pistole e moschetti non c'era problema, con le armi Beretta 34 e MAB. Il Bren trasformato non interessò l'Esercito, ma qualche esemplare è finito negli arsenali della Polizia di Stato, in cui pare fosse in servizio anche negli anni '90.
 
Per le mitragliatrici resistette la Breda da 8 mm, la Mod 37, che era considerata un'arma 'seria' data l'affidabilità di funzionamento. La Breda Mod 37 era figlia di precedenti esperienze, ma sopratutto considerando che da sostituire erano armi come le Fiat 1914, non c'é da stupirsi che la nuova mitragliatrice fosse molto apprezzata, paragonata alla mediocrità delle armi che la precedettero. La Breda spesso all'epoca si 'ispirava' parecchio, quando non copiava direttamente o costruiva su licenza, armi straniere (ha continuato, del resto, con la produzione su licenza delle armi come le Bofors, dal dopoguerra finalmente prodotte anche in Italia nel tipo L70). La meccanica era fin troppo simile, comunque, a quella della Hotchkis 1914 francese, ottima arma che costituì una fonte d'inspirazione per quella italiana che praticamente la copiava anche nell'estetica; il trippiede era invece un 'clone' delle mitragliatrici austricache. L'arma nel suo insieme era efficiente, ma alimentata da lastrine da 20 colpi che richiedevano per forza due serventi per funzionare (e l'armiera doveva essere anche svelto nel sostituire le lastrine, anche se non c'era una grande cadenza di tiro). Il peso era un problema: con il treppiede arrivava a 40 kg, per cui non si può certo definirla un'arma bivalente, come le MG 42. Nell'Esercito italiano era considerata migliore delle Vickers inglesi e delle Browning americane, ma non c'era molto da scegliere in efficienza, e comunque non deve stupire dato che i tipi angloamericani in parola sono più vecchi di quasi 20 anni. Si tentò di ricamerare anche quest'arma, come il Bren, con la 7,62 mm americana, ma non se ne fece niente, nonostante il miglioramento in potenza e precisione rispetto alle cartuccie italiane da 8 mm (a 500 m era stimato un rettangolo di dispersione di circa 15x39 cm), forse però costoso e pagato con una minore affidabilità. In ogni caso, la Breda si fece da parte definitivamente con la MG-42/59, l'arma tedesca della Rheinmetall-Borsig ricalibrata col 7,62 mm NATO.
 
Altre artiglierie erano pure state sperimentate come il 75/21 mm, che erano il pratica il vcchio pezzo da 47/32 mm controcarri con il nuovo cannone, a bassa velocità iniziale (248 m.sec) che tirava una granata a pareti sottili per contenere oltre 600 gr di esplosivo oppure una HEAT, rispettivamente da 5,2 e 3,65 kg, su una gittata massima (con 72 gr di carica) di 4.200 m circa. Non ebbe successo data la fornitura del Bazooka e del cannone c.c. da 57/50 mm controcarri. I cannoni d'appoggio fanteria vennero per il momento abbandonati, ma poi la cosa ritornerà in auge con i pezzi SR. Da notare che il peso del pezzo da 75 era di 287 kg, non molto di più del cannone SR da 106 mm (210).
 
Il cannone da 90/53 contraerei era un'ottima arma per la sua categoria. Si pensò di costruirne e si sperimentò, una canna da ben 75 calibri, che consentiva di ottenere prestazioni eccezionali per il suo calibro. Forse era valido come armamento per carri armati. Come arma contraerei, invece, era piuttosto discutibile, anche perché era a brandeggio manuale e con un freno di bocca che smorzava il rinculo, ma assordava i serventi al pezzo (già il 90/53 aveva questo problema). Anche se balisticamente era attraente usare tale arma che sparava ben 5,5 kg di propellente ma non superava le 3.000 atmosfere di pressione interna, sarebbe stato meglio usare piuttosto il cannone M1A3 americano da 120 mm se si voleva una tale gittata senza pagare prezzi eccessivi.
 
Il cannone ebbe anche una granata speciale, un proiettile da 450 mm di lunghezza che espelleva 6 proiettili da 20 mm da una sorta di alveoli che facevano anche da 'cannoncini' lunghi 10 calibri (20 cm) di un tipo a grande capacità di esplosivo e spoletta semplificata. Questa soluzione, però, avrebbe significato tirare un proiettile da 10 kg per un carico utile di 750 grammi complessivi e poi, se già le schegge del 90 mm erano abbastanza pesanti da rompere le tegole dei tetti quando ricadevano (e nondimeno, erano accusate di essere troppo piccole contro i quadrimotori americani), figurarsi un monoblocco metallico di 9 kg. Il peso dell'arma sperimentale era di 6.250 kg, di cui 1.550 della sola canna con otturatore, il proiettile completo, di cui la munizione pesava 10.1 kg, arrivava a ben 22,5 kg, come i colpi da 100-105 mm. L'idea balisticamente era interessante, ma non ebbe mai seguito e il cannone da 90 allungato (come del resto lo era il Flak e il Pak 43 tedeschi da 88/71 mm) non lasciò tracce di sé. Altri pezzi interessanti furono l'obice da 100/17 mod-14-50, ovvero un obice da 88 inglese con la canna del 100/17 mm già esistente, pesando in tutto 1.500 kg, tirando munizionmi da 13,375 kg. Non ebbe molto seguito, ma venne usato per breve tempo; già c'erano per l'appunto gli obici-cannoni da 88 britannici e poi i 105 mm americani che chiusero la questione. L'obice Mo. 14/16/50 era un'arma da montagna che in pratica univa la stessa b.d.f ad un affusto nuovo, che riduceva il peso ad appena 950 kg. Venne sostituito dopo qualche anno dal Mod.56 someggiabile, arma divenuta standard (non fosse altro perché non ce n'era alcun'altra di questo tipo) in pochi anni come artiglieria leggera. Questo cannone, apparso alla fine degli anni '50, era scomponibile in 13 carichi e pesava circa 1.300 kg, quindi più del suo predecessore, ma poteva ancora essere someggiato. Tra gli utenti vi fu il British Army, che poi però l'ha rimpiazzato con il britannico Vickers Light Gun da 105 mm, dalla maggiore gittata (17 contro 11 km) e che si è poi affermato anche negli USA e in generale come il suo sucessore. Infine l'ammodernamento dell'obice da 149/19 Mod42-50, consistette nel fornire le sue ruote di pneumatici anziché della gommatura piena che aveva prima. Tanto sparava 'seduto' e quindi la sua precisione non ne risentiva. Esso era un'ottima arma, assieme al pezzo da 90 quello più moderno dell'artiglieria di produzione italiana, e dotato di un'ottima gittata per il suo tipo (ma dipendeva dal tipo di granata usata, comunque più leggera rispetto al normale per tale calibro). In seguito venne sostituito con l'M114 americano, forse meno preciso, ma più facile e molto più veloce da mettere in postazione, cosa molto importante per la guerra moderna di movimento.
 
Per il resto c'é da dire che le armi contraerei leggere divennero essenzialmente le Bofors da 40 mm, che rimpiazzarono le Breda da 37 mm, e le Browning da 12,7 mm dei tipi Maxon Mount che rimpiazzarono le mitragliere da 20 mm Scotti e Breda, superiori come impianti singoli ma certo non contro un sistema quadrinato da 12,7 mm. Altre vie, come produrre un affusto addirittura sestuplo (per esigenze navali) delle Hispano-Suiza durante il periodo bellico, non ebbero seguito. La Marina si tenne ovviamente più a lungo le sue armi da 20 mm, ma ben presto lo standard anche qui divennero le Oerlikon, più le Bofors; del resto erano le armi migliori e più diffuse delle loro categorie di cannoni a.a. Dei cannoni semoventi, alcuni 'bassotti' da 75 rimasero in servizio nel dopoguerra, forse solo i pezzi da 75/18 che erano i più diffusi, mentre altri, come i semoventi da 105/25, erano stati prodotti in pochi esemplari ed essi (e il loro obice) pressoché spariti durante il conflitto. Qui i semoventi divennero essenzialmene gli M7 Priest americani da 105 mm, e i Sexton canadesi, riarmati anch'essi con l'obice da 105 piuttosto che con il cannone-obice da 87 mm britannico; altre armi come i semoventi pesanti M44 giunsero a rinforzare le truppe corazzate, seguiti poi dai semoventi M108 da 105 mm di nuova generazione (rimasti in servizio per anni con i Carabinieri) e M55 da 203 mm; infine comparvero gli M107, M109 e M110 dagli anni '60 in poi. Dagli anni '70 giunse anche il missile tattico Lance, con carica nucleare, assegnato al Volturno come anche , in seguito (anni '90) gli MLRS che lo avrebbero rimpiazzato di fatto. Ma questo non riguarda più il periodo postbellico.
 
Un incidente del 28 giugno 1952 vide la perdita di un Helldiver della Marina durante un'esercitazione di tiro contraereo. All'epoca ad Albenga si esercitavano ad Albenga e Ceriale, sul litorale, i carri armati Sherman del Battaglione mobile carabinieri, che tiravano a delle zattere, mentre il 1° Rgt Art. C.A. usava i Bofors contro i palloni, sia di giorno che di notte (con i riflettori). C'erano anche i cannoni contraerei pesanti, come i famosi 'pezzi da novanta'. Il più vecchio era trainato da autocarri Lancia 3Ro, i più moderni sui Fiat Dovunque 6x6. Il più vecchio era il cannone da 90/53 Mod. 41 e l'altro era il pezzo M2 americano da 90/50, che possedeva un sistema di caricamento automatico, o forse il tipo meno recente M1 (più probabilmente entrambe). C'erano anche cannoni da 20 e 37 mm. Questi erano i cannoni della Breda, i cui 20 mm avevano ancora il sistema (definito da un soldato dell'epoca come 'demenziale') di rimettere nell'astuccio i bossoli sparati, con il risultato che si rompevano anziché essere recuperabili. Tale pratica aveva avuto inizio con la mitragliatrice Revelli M1914. Non mancavano i Mod. 34 da 75/46 mm Ansaldo, e il Flak 18 da 88/56 mm tedesco. Questi cannoni vennero usati fino a quando arrivarono i missili HAWK. I vari cannoni erano il Mod. 34 e 34M da 75 mm, entrato in servizio nel '34 come primo cannone antiereo terrestre di tipo moderno per l'Esercito, con gittata massima a.a. di 8.500 m e massima sull'orizzonte di 13.000, colpi completi da 10,6 kg e usato come Flak 264/2(i) dai Tedeschi, oltre che anche gli Alleati in Italia. Dal dicembre del '42 era in sostituzione con il Mod. 41C, dei quali erano disponibili 539 esemplari all'Armistizio, tra C mobili e P da postazioni fissa, più 29 su autocarri e una trentina su scafo M42 per compiti cacciacarri. La cadenza di tiro di questo che era il migliore cannone a.a. dell'esercito (e la versione originale da 90, per la Marina), tirava colpi fino a 11.400 m di quota o 16.700 di distanza, colpi da circa 10 kg per il proiettile, 17,7-18,7 kg completi. I Tedeschi ne riutizzarono 315 come Flak 41 o 309(i) 9 cm, gli altri vennero usati dagli Alleati. C'erano i cannoni Krupp Flak 18, 36 e 37, che tiravano colpi da 9,2 kg, ma nel 1950 la carenza di proiettili lo aveva messo fuori servizio, mentre continuò per esempio, in Yugoslavia e varie nazioni del Nord Europa. I cannoni britannici da 3,7 pollici overo 94 mm, erano armi capaci di sparare, come il 90/53, fino a 20 c.min, con alzo di 80°, colpi da 13 kg (solo considerando il proiettile vero e proprio), con una velocità alla bocca non molto alta (meno di 800 m.sec) tanto che la gittata contraerei utile era di 9.750 m, mentre la massima sull'orizzonte arrivava invece a ben 18.800 m. I Tedeschi lo usarono come Flak M39(e) 9,4 cm. Infine i cannoni americani, allorché nel 1938 l'US Army chiese un sostituto per il suo M3 da 76,2 mm. Ne venne fuori un cannone da 90 mm nei tipi M1, M1A1, M2A2 automatico. Era questo il cannone definitivo per la contraerea pesante italiana, capace di tirare fino a 27 c.min a 12.000 m con una balistica simile a quella del 90/53 (circa 850 m.sec) proiettili da 10,6 kg con alzo fino a 80°.
 
Quanto alle artiglierie semoventi non c'erano che prodotti americani. La prima serie di armi fu quella prodotta con scafi postbellici o bellici. Per esempio, l'M7 'Priest' era uno dei semoventi, con l'obice da 105 mm (ribattezzato nel dopoguerra M101), adottato dagli italiani, molto diverso dai loro del periodo bellico ma molto più efficace (seppure quasi inutilizzabile come artiglieria d'assalto, che non era il suo scopo) come artiglieria campale per calibro, gittata, autonomia di fuoco. Altri semoventi furono quelli controcarri tipo gli M36 da 90 mm. Poi arrivarono anche altri mezzi: per esempio, l'M52 sempre con obice da 105 mm, e con la caratteristica molto insolita di ospitare in torretta anche il pilota, per cui era dotato di una torretta alta e grossa, ma brandeggiabile solo per 60 gradi per lato, e uno scafo basso. Era un mezzo molto mobile dato che aveva base sullo scafo del carro leggero M41 Walker Bulldog, con corazze d'acciaio da mezzo pollice (12,7 mm) di spessore, abbastanza per resistere solo al fuoco delle armi leggere e schegge, ma si trattava di una protezione completa,anche per il tetto del mezzo prima assente. L'Italia adottò il carro leggero M24 ma non il successivo M41: tuttavia, le sue versioni d'artiglieria furono l'eccezione alla regola. Un'altra eccezione, oltre l'M52, fu quella dei semoventi, sempre su scafo M41, del tipo M44: stavolta erano armati con pezzi da 155 da 14 km di gittata, che erano tuttavia molto impegnativi per lo scafo di un carro leggero, quindi vennero ospitati in una postazione convenzionale, con tetto aperto per ridurre il peso complessivo. Queste armi erano, attorno al '90, ancora nominalmente in carico.