Divina Commedia/Inferno/Canto I: differenze tra le versioni
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Il primo canto dell'opera funge da proemio di tutta la Commedia. Essa introduce il senso dell'Opera (un viaggio per i tre regni degli Inferi per la redenzione di tutta l'umanità).
== Virgilio, guida e maestro ==
La scelta del poeta latino Virgilio come ''guida'' (v. 113) di Dante nel suo viaggio non è casuale. Nella concezione medievale, infatti, Virgilio era considerato l'uomo più sapiente esistito prima della Rivelazione di Cristo: egli è quindi simbolo della ragione e dell'apice che essa può raggiungere senza l'illuminazione divina. E sempre nel Medioevo, nella visione sincretistica della cultura medievale nei confronti di quella classica, Virgilio era ritenuto un profeta "inconsapevole" della venuta di Cristo, per via della IV Bucolica, nella quale egli parla della nascita di un ''puer'' che riporterà gli uomini all'età dell'uomo. Inoltre Virgilio è il cantore di Enea, ovvero il progenitore dell'Impero, una delle due istituzioni (insieme alla chiesa) che, secondo Dante, sono indispensabili per condurre l'uomo. Infine, Virgilio è il «maestro» di «bello stilo»
== Testo annotato ==
{{quote|Nel mezzo del cammin di nostra vita}}
*1. '''Nel mezzo del cammin...''': Giunto alla metà del cammino della nostra vita umana. L'inizio del poema, in forma semplice e piana, è una indicazione di tempo. La visione dell'aldilà si presenta come un fatto storicamente datato che si svolge nel tempo. Dante indica infatti qui una data precisa, cioè i suoi 35 anni, considerati allora, «ne li perfettamente naturati», il punto medio della durata della vita (''Conv.'' IV, XXIII 6-10); la Bibbia stessa
*'''nostra''': con questo aggettivo il singolo personaggio Dante accomuna a sé tutta l'umanità. Scopo del poema infatti è «rimuovere chi vive in questa vita dallo stato di miseria e condurlo in stato di felicità» (''Ep''. XIII 39). Così Dante intraprende personalmente questo viaggio, che è di tutti gli uomini, dall'oscurità (la selva) alla luce, dal dolore alla felicità, e la sua vicenda privata, storicamente reale e databile, diventa segno dell'universale vicenda umana.
{{quote|mi ritrovai per una selva oscura,}}
*2. '''mi ritrovai''': mi ritrovai ad essere, presi coscienza di trovarmi. Di qui lo sgomento e la paura. Quando c'era entrato infatti, e fino a quel momento, non ne aveva avuto coscienza (v.10). Questo preciso momento, in cui l'uomo si accorge del suo smarrimento (v.3), e se ne spaventa (v.6), è appunto l'inizio della conversione, e segna l'inizio del poema.
*'''per una selva oscura''': ''per'' vale «per entro», mantenendo il senso latino di moto per luogo; indica quindi il camminare senza meta proprio di chi si è smarrito. La selva è l'immagine antica e immediatamente comprensibile del male e dell'errore, diffusa in tutta la letteratura cristiana, e come tale Dante stesso la usa nel ''Convivio'': «la selva erronea di questa vita» (''Conv''. IV, XXIV 12). D'altra parte, nell'ambito letterario, la selva si ritrova all'entrata dell'Averno virgiliano (''Aen''. VI 131, 179 ecc.) e, per restare agli autori più cari a Dante, proprio lo smarrimento nella selva segna l'inizio della storia nel ''Tesoretto'' di Brunetto Latini, come di molti testi romanzi. Questa metafora abbraccia quindi il secoli di tradizione (e osserviamo fin d'ora che tale sarà il linguaggio di tutta la ''Commedia'', sempre antichissimo, ma insieme straordinariamente nuovo). Essa significa qui, come quasi tutti hanno inteso, uno strato di peccato. La selva infatti oscura perché non vi splende il sole (v.60), segno del bene e di Dio. La metafora luce-tenebre, di origine evangelica (''Io''. 1,5), si ritroverà poi come motivo conduttore per tutta la ''Commedia''. Dante vuole indicare nella selva, come preciserà a chiare lettere più oltre nel poema (cfr. ''Purg''. XXIII 115-20 e XXX 130-2), un reale periodo di traviamento della sua vita, che è qui lasciato nell'indeterminato, proprio perché vuol rappresentare nello stesso tempo il generale sbandamento dell'umanità.
{{quote|che la diritta via era smarrita.}}
*3. '''che''': i più lo intendono come congiunzione causale (giacché, poiché), ma sembra più esatto l'altro valore proposto, di congiunzione modale (
*'''la diritta via''': più precisamente degli altri commentatori (che in generale danno come spiegazione:
*'''era smarrita''': e non perduta, notano già gli antichi commentatori, perché poteva ancora ritrovarla:
{{quote|Ahi quanto a dir qual era è cosa dura}}
*4. '''Ahi quanto a dir...''': quanto è duro ripetere a parole...La prima terzina si pone con assoluta oggettività, senza alcun commento. Il commento, cioè il riflesso di quella condizione di errore e di oscurità nell'animo dell'uomo, interviene con questo verso.
*'''qual era''': qual era il suo aspetto e la sua terribilità; cfr. ''Aen''. II 274:
*'''dura''': ''duro'' vale
{{quote|esta selva selvaggia e aspra e forte}}
*5. '''selva selvaggia''': figura retorica detta etimologica (''annominatio'') che ripete lo stesso tema in 2 parole diverse, largamente usata in tutta la poesia medievale (e ritrovabile sia nella Scrittura sia nei classici). Dante se ne serve spesso (si veda più oltre al v.36: ''più volte vòlto''). In questo caso, il tema viene mantenuto, mentre muta il significato, in quanto ''selva'' è proprio, ''selvaggia'' invece è metaforico (Mattalia). I 3 aggettivi sono disposti in crescendo: ''selvaggia'' indica la condizione disumana del luogo, ''aspra'' il suo intrico, ''forte'' infine (che nell'uso dantesco vale spesso
{{quote|che nel pensier rinova la paura.}}
*6. '''che nel pensier...''': tale che solo al pensarci rinnova lo sgomento provato. La paura nasce dal ridestarsi della coscienza, che si vede intorno un tal luogo. Il verbo
{{quote|Tant'è amara che poco è più morte;}}
*7. '''Tant'è amara...''': tale condizione (la selva) è tanto amara che la morte,
{{quote|ma per trattar del ben ch'i vi trovai,}}
*8. '''ma''': intendi: per quanto sia così duro il parlarne, tuttavia lo farò...
*'''per trattar''': per poter trattare del bene che vi trovai (cioè la salvezza, che giunge con Virgilio), e così poter indicare a tutti la via di tale salvezza, che è l'intento del poema. E' sembrato strano che si potesse trovare un bene in una simile selva, figura del male; pure il massimo dei beni (la salvezza, la redenzione) viene all'uomo, nella teologia cristiana, proprio nella sua condizione più tragica di lontananza da Dio (si veda il Boccaccio:
{{quote|dirò de l'altre cose ch'i v'ho scorte.}}
*9. '''dirò...''': parlerò prima della altre cose; allude alle fiere, che incontrerà tra poco; esse sono definite ''altre cose'' in quanto contrapposte al ''bene'' che trovò nella selva (Parodi).
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{{quote|tant'era pien di sonno a quel punto}}
*11. '''pien di sonno''': è il
{{quote|che la verace via abbandonai.}}
*12. '''la verace via''': corrisponde alla ''diritta via'' del v.3. Egli ha abbandonato dunque la via diritta nel momento in cui è entrato nella selva. Cfr. ''Purg''.XXX 130: ''e volsi i passi suoi per via non vera''; in quel canto si narrerà in modo preciso ed esteso quello che qui è appena accennato (qui infatti l'esperienza può essere quella di ogni uomo, là si tratterà della persona storica di Dante, di cui è solo allora fatto il nome). Vedi anche il già citato capitolo del ''Convivio'' (IV, XII 18):
{{quote|Ma poi ch'i' fui al piè d'un colle giunto,}}
*13. '''Ma''': la congiunzione avversativa introduce il tema, contrapposto alla selva e all'oscurità, del colle e del sole; entra così, nella triste condizione umana finora desritta, la possibilità della speranza.
*'''al piè d'un colle''': il colle rischiarato dal sole rappresenta la via della virtù, una via in salita, illuminata dalla luce di Dio, che si contrappone alla valle (o selva) oscura del peccato. In realtà la selva, il colle, il sole prefigurato già qui dall'inizio, in un solo paesaggio, i 3 regni che Dante visiterà nel suo viaggio. Il colle quindi, che preannuncia il monte del purgatorio, vuole figurare la via della felicità naturale dell'uomo (cfr. vv.77-8), felicità che si raggiunge con le virtù morali e intelletuali, secondo la dottrina esposta nella ''Monarchìa'' (III, XV 7-8). Tuttavia questo senso allegorico, che sarà precisato alla fine del ''Purgatorio'', qui è ancora velato, mantenuto nella interminatezza del colle soleggiato, che tutti intendono rappresentare la via del bene, tanto più che tale immagine è diffusa in questo significato attraverso la Scrittura:
{{quote|là dove terminava quella valle}}
*14. '''valle''': valle è la ''selva'' del v.2, con la quale si identifica, come si deduce da XV 50-1 (''mi smarri' in una valle...''); essa aggiunge a quella prima immagine il senso del luogo basso, in discesa, qui in evidente rapporto all'altezza del colle. Il termine è biblico:
{{quote|che m'avea di paura il cor compunto,}}
*15. '''compunto''': punto, cioè colpito, afflitto; dal latino
{{quote|guardai in alto e vidi le sue spalle}}
*16. '''guardai in alto''': per primo l'antico commentatore Benvenuto da Imola sottolinea questo gesto, che è decisivo: l'uomo smarrito nella selva, che ha finora guardato in basso alle cose temporali, alza il capo verso le cose alte ed eterne. Il guardare in alto è proprio dell'uomo, e qui segna-dopo il ''mi ritrovai'' iniziale-il punto preciso in cui comincia il nuovo cammino. Cfr. ''Ps''.120, 1:
*'''le sue spalle''':
{{quote|vestite già de' raggi del pianeta}}
*17. '''vestite già''': ancor prima che sorga il ''sole'', già si illuminano le cime dei monti (la metafora è virgiliana:
*'''pianeta''': il sole. Secondo l'astronomia tolemaica seguita da Dante, il sole è uno dei 7 pianeti che girano intorno alla terra, la quale è il centro dell'universo. Il paragone del sole con Dio è proprio di tutta la letteratura cristiana e centrale in tutta la ''Commedia''. Cfr. già ''Conv''.III, XII 7:
{{quote|che mena dritto altrui per ogni calle.}}
*18. '''che mena dritto''': conduce per la via diritta (''dritto'' è predicativo)-dando l'orientamento-gli uomini, ogni uomo (il pronome ''altrui'' ha in antico questo valore generico; cfr. più oltre, v.95); è evidente il richiamo alla ''diritta via'' smarrita dall'uomo che è sulla scena, che qui ritrova il suo orientamento.
{{quote|Allor fu la paura un poco queta,}}
*19. '''fu...quieta''': si acquietò, si calmò.
{{quote|che nel lago del cor m'era durata}}
*20. '''lago del cor''':
{{quote|la notte ch'i' passai con tanta pietà.}}
*21. '''la notte''': durante la notte; vuole indicare metaforicamente tutto il tempo del traviamento ora descritto, passato appunto nel sonno e nell'oscurità della selva. Per la contrapposizione notte-giorno, peccato-grazia, si veda almeno uno dei molti passaggi scritturali:
*'''pieta''': affanno, tormento (tale da indurre a pietà);
{{quote|E come quei che con lena affannata,}}
*22. '''E come quei...(22-7)''': come colui che, uscito dal mare in tempesta (''pelago''), e giunto a riva, con il respiro (''lena'') ancora ansante per lo sforzo, si volge indietro... E' la prima similitudine del poema, divisa, come molte altre, in 2 precise terzine: la prima rappresenta la figura, la seconda il figurato. E già l'evidenza realistica e l'intensità del significato sono quelle del Dante maggiore. Come sempre, il gesto fisico, preciso fin nei particolari-il respiro affannoso, lo sguardo intenso e atterrito (''guata'')-, indica il gesto morale dell'uomo che guarda indietro con interno spavento all'abisso del male a cui è sfuggito.
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{{quote|si volge a l'acqua perigliosa e guata,}}
*24. '''guata''': il verbo guatare, che negli antichi equivale a
{{quote|così l'animo mio, ch'ancor fuggiva,}}
*25. '''ch'ancor fuggiva''': il corpo era fermo, ma nell'animo era ancora in fuga:
{{quote|si volse a retro a rimirar lo passo}}
*26. '''passo''': vale
{{quote|che non lasciò gia mai persona viva.}}
*27. '''che non lasciò...''': che (soggetto) non lasciò mai sopravvivere alcuno (che vi restasse). Il passo è controverso. Seguiamo l'interpretazione sintattica più generalmente accettata (anche dagli antichi), che meglio sembra accordarsi con il contesto. La vita peccaminosa (la selva) finisce sempre per uccidere chi vi s'indugia (cfr.Pietro di Dante:
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{{quote|ripresi via per la piaggia diserta,}}
*29. '''piaggia''': indica il terreno in leggera salita tra la pianura e l'inizio della collina vera e propria. Certamente anche questa figura (''la piaggia diserta'') ha un suo valore metaforico, come tutto questo
{{quote|sì che'l piè fermo sempre era il più basso.}}
*30. '''sì che'l piè fermo...''':
{{quote|Ed ecco, quasi al cominciar de l'erta,}}
*31. '''Ed ecco...''': forma d'attacco frequente in Dante (che corrisponde all'evangelico
*'''l'erta''': la salita del colle, alla fine della piaggia.
{{quote|una lonza leggera e presta molto,}}
*32. '''una lonza''': felino di pelo macchiato, come il leopardo e la pantera (3 sono gli animali con tale caratteristica, secondo Benvenuto:
*'''presta''': veloce;
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{{quote|e non mi si partia dinanzi al volto,}}
*34. '''partia''': allontanava.
*'''volto''': mia vista.
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{{quote|ch'i' fui per ritornar più volte vòlto.}}
*36. '''più volte vòlto''': è la stessa figura retorica usata al v.5.
{{quote|Temp'era dal principio del mattino,}}
*37. '''Temp'era...''': una nuova pausa di speranza, sparsa di parole dolci e luminose. Il tempo mattutino e la stagione primaverile, ambedue figure dell'inizio della vita (e sono infatti, come si riteneva, e come Dante dirà nella terzina seguente, l'ora e la stagione della creazione), inducono a sperare. Quella di Dante è appunto una ripresa della vita, dopo una stagione di morte. L'avanzare della speranza avviene per gradi, lentamente, finché prenderà corpo nella figura concreta di Virgilio.
*'''dal principio''': complemento di tempo retto dalla preposizione ''da'' (cfr.XV 18: ''da sera'', e più volte).
{{quote|e 'l sol montava 'n sù con quelle stelle}}
*38. '''quelle stelle''': la costellazione dell'Ariete, nella quale il sole si trova all'inizio della primavera, stagione in cui si credeva fosse avvenuta la creazione del mondo (cfr. Macrobio, in ''Somn. Scip.'' I, XXI, e Brunetto Latini, ''Tresor'' I 6, 3). Essa è anche, come ricorda Pietro, la stagione della redenzione.
{{quote|ch'eran con lui quando l'amor divino}}
*39-40. '''quando l'amor divino...''': quando Dio nella sua essenza di amore (l'amore è il solo motivo della creazione; cfr. ''Par''. VII 64-6) mise in moto (il movimento ha appunto inizio con il tempo, cioè con il mondo) per la prima volta (''di prima'') i corpi celesti (''quelle cose belle''; cfr. XXXIV 137). Il ricordare a questo punto l'atto di puro amore che dette vita e moto ai corpi celesti, cioè a tutto l'universo visto nella sua bellezza (''cose belle''), dà alla scena drammatica che qui si svolge lo sfondo che le è proprio, quella dimensione di eterno amore in cui è inserito il singolo dramma di ogni uomo.
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{{quote|sì ch'a bene sperar m'era cagione}}
*41. '''sì ch'a bene sperar...(41-43)''': sì che l'ora del mattino e la stagione di primavera erano motivo per me di sperar bene riguardo a quella fiera dalla pelle screziata.
{{quote|di quella fiera a la gaetta pelle}}
*42. '''gaetta''': gli antichi spiegano in genere dal provenzale
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{{quote|ma non sì che paura non mi desse}}
*44. '''ma non sì che paura...''': ma non tanto forte fu quella speranza, ch'io non mi spaventassi...; la paura prende quindi il sopravvento.
{{quote|la vista che m'apparve d'un leone.}}
*45. '''la vista che m'apparve''':
{{quote|Questi parea che contra me venisse}}
*46-48. '''Questi parea...''': la terzina rappresenta al vivo il leone nel suo atto superbo:
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{{quote|sì che parea che l'aere ne tremesse.}}
*48. '''che l'aere ne tremesse''': che l'aria tremasse per il timore di quell'atto; ''tremesse'' è latinismo da ''tremere'' (verbo usato da Dante in ''Ep''. VI 24).
{{quote|Ed una lupa, che di tutte brame}}
*49. '''Ed una lupa''': raffigura il terzo e più grave peccato, l'avidità insaziabile dei beni di questo mondo (cfr. ''Purg''. XX 10-2).
*'''che di tutte brame''': che nella sua magrezza sembrava carica di tutte le bramosie umane. Gli altri 2 animali sono raffigurati, sia pur brevemente, nell'atto e nell'aspetto. Della lupa si indica solo la magrezza, che tuttavia riesce a esprimere, nell'intensità con cui è costruita la frase, la terribile forza presente in tutte le brame del mondo.
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{{quote|e molte genti fé già viver grame,}}
*51. '''e molte genti...''': cfr. 1 ''Tim''. 6, 10:
{{quote|questa mi porse tanto di gravezza}}
*52. '''mi porse tanto di gravezza''': ''tanto di'' è costrutto partitivo: mi dette tanta gravezza, pesantezza, da non riuscire più a salire (v.54). Che il peso del corpo e del peccato aggravi e tragga verso il basso l'anima, è immagine comune nella tradizione cristiana.
{{quote|con la paura ch'uscia di sua vista,}}
*53. '''vista''': aspetto (o
{{quote|ch'io perdei la speranza de l'altezza.}}
*54. '''ch'io perdei...''': questo verso ha un andamento e un tono definito. Sembra che tra la speranza e la paura, che finora si sono alternate, la prima sia ormai irrimediabilmente sconfitta. Dei 3 animali, quello che sconfigge veramente l'uomo è infatti l'ultimo. E' questo il vizio più radicato e più temibile, origine di tutti gli altri secondo la Scrittura (cfr. nota al v. 51). E vedremo come per Dante esso sia alla base della rovina di tutta la comunità umana. Dietro la storia del singolo, c'è infatti la storia pubblica e politica della
{{quote|E qual è quei che volontieri acquista,}}
*55. '''E qual è quei...(55-60)''': come l'avaro, che accumula beni, e viene il momento che gli fa perdere ciò che ha acquisito, e piange e si dispera in cuor suo... Questa seconda similitudine vuole indicare lo stato d'animo di chi ha perso tutto; e segue infatti al v.54, che sembra non ammettere via d'uscita. E' una delle molte similitudini che potremmo chiamare psicologiche, con cui Dante raffigura gli stati e i moti dell'animo suoi e di altri, e che accompagnano tutto il racconto della ''Commedia''. Può darsi, come suggerisce Benvenuto, che egli abbia qui in mente alcuni
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{{quote|tal mi fece la bestia sanza pace,}}
*58. '''tal''': così intimamente attristato.
*'''sanza pace''':
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{{quote|mi ripigneva là dove 'l sol tace.}}
*60. '''là dove 'l sol tace''': nella selva, dove regna l'oscurità totale. Il traslato dalla vista all'udito ('''l sol tace''), di origine virgiliana ("i silenzi sereni, cari alla tacita luna": ''Aen''. II 255), è una delle veloci metafora che Dante spesso chiude in un verbo e che danno forza al suo linguaggio (cfr.V 28: ''d'ogne luce muto'').
{{quote|Mentre ch'i' rovinava in basso loco,}}
*61'''Mentre ch'i' rovinava...''': a questo punto, quando tutto sembra perduto, entra in scena un elemento nuovo: l'uomo solitario in balia delle fiere tra la selva e il colle non è più solo, qualcuno si è mosso a salvarlo. E il personaggio che giunge in suo soccorso porta 2 novità fondamentali: la prima è la voce umana, che si leva per la prima volta e spezza l'atmosfera di sogno finora dominante; la seconda è la realtà storica, con nomi e date, che irrompe in quel mondo irreale e ne cambia l'aspetto. Con Virgilio il tempo della ''Commedia'' entra in pieno nella storia, e la visione si situa in quell'ambito particolare, di realtà databile pur sullo sfondo dell'eternità, che ne costituisce il carattere specifico e unico.
*'''rovinava''': precipitavo; il ritornare indietro nella selva è la rovina della speranza, e quindi della vita. Cfr. ''Conv''. IV, VII 9:
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{{quote|chi per lungo silenzio parea fioco.}}
*63. '''chi...fioco''': uno che, per aver taciuto per lunghi anni, sembra non aver più voce. Così intendono tutti gli antichi questa frase tanto discussa e anche noi riteniamo che sia questo il solo modo di spiegarla. Sembra infatti inaccettabile l'accusa di illogicità (Dante non può sapere che Virgilio è fioco finché non parla; il silenzio non rende fiochi ecc.), per cui tale lettura sarebbe comprensibile solo in funzione dell'allegoria. In realtà che un uomo emerso da secoli di silenzio sembri non aver fiato per parlere è una figurazione che ha una immediata comprensibilità sul piano poetico (e per gli antichi, come appare dal commento del Buti, aveva anche un fondamento scientifico), e corrisponde sia al senso letterale (Virgilio ha taciuto per secoli) sia a quello allegorico (la voce della ragione è rimasta a lungo muta nell'uomo smarrito nel peccato). L'altra spiegazione proposta, che intende ''fioco'' in senso visivo ("pallido", "scolorito": come le ombre appunto e come in ''Vita Nuova'' XXIII, ''Donna pietosa'' 54), comporta la grave difficoltà di dover interpretare metaforicamente anche l'altro elemento della frase: ''per lungo silenzio'' (che significherebbe:
{{quote|Quando vidi costui nel gran diserto,}}
*64. '''gran diserto''': la ''piaggia'' sembra allargasi infinitamente. Che il deserto rappresenti il mondo (cfr. nota al v.29) è confermato da ''Purg''. XI 14: ''per questo aspro diserto''.
{{quote|
*65. '''Miserere''': abbi pietà. Forma latina, comune nella liturgia, e in uso ancora oggi presso il popolo (è l'inizio del salmo 50, la preghiera di penitenza per eccellenza; cfr. ''Purg''. V 24; ma si veda anche ''Aen''. VI 117, dove Enea si rivolge alla Sibilla con questa stessa parola). Questo grido di pietà, reso più inteso dal silenzio che lo circonda, è la prima voce umana che risuona nel poema.
{{quote|
*66. '''ombra''': cioè anima di un morto; è il termine virgiliano, usato da Dante in alternativa a ''spirito'' o ''anima'' per tutto il poema. Anche il motivo del dubbio è nell' ''Eneide'': cfr. III 310-1, quando Andromaca scorge Enea e non sa se sia morto o vivo:
*'''omo certo''': uomo con un corpo vero e proprio, cioè vivo.
{{quote|Rispuosemi:
*67. '''Non omo, omo già fui''': ora sono un'ombra (non uomo in carne e ossa), un uomo lo fui in altro tempo (e quindi era giustificato il dubbio di Dante al v.66). E subito l'ombra determina nei suoi limiti geografici e storici quella sua vita umana. La precisione dei nomi e delle date ci coglie di sorpresa, in questa scena finora del tutto indeterminata. Ma è elemento essenziale del racconto dantesco: questo personaggio non è un essere astratto, una figurazione allegorica, bensì ha una sua concreta e ben individuata realtà storica. Virgilio rappresenta nella ''Commedia'', come meglio si chiarirà in seguito, la luce della ragione umana che ha il compito di guidare gli uomini al bene, nei limiti della natura; ma assolve questa funzione simbolica senza cessare di essere se stesso, quel poeta Virgilio che nacque a Mantova e visse sotto Augusto; anzi l'assolve proprio in quanto è se stesso, il punto più alto e quasi l'emblema di quel mondo antico che giunse fin dove la ragione può condurre l'uomo senza la luce della fede, fino a presentire e come profetizzare la realtà cristiana. Questo Virgilio di Dante, quello che egli amò e predilesse, e in questa prospettiva soltanto sarà comprensibile nei vari atteggiamenti che assumerà, sempre più determinando la sua complessa realtà, lungo le prime 2 cantiche.
{{quote|e li parenti miei furon lombardi,}}
*68. '''parenti''': genitori (è il senso del vocabolo latino
*'''lombardi''': la Lombardia indicava nel Medioevo tutta l'Italia settentrionale in genere; al tempo di Virgilio tale denominazione (derivata da ''Longobardia'') ovviamente moderno, senza preoccuparsi dell'anacronismo-concetto allora ignoto-, come altrove chiama ''Franceschi'' i Galli (''Conv''. IV, V 18) e ''Arabi'' i Cartaginesi (''Par''. VI 49).
{{quote|mantoani per patrïa ambedui.}}
*69. '''mantoani per patrïa''': qui si precisa il luogo nativo (Virgilio nacque ad Andes, presso Mantova) come in seguito faranno quasi tutti i personaggi che Dante incontrerà nel suo cammino; come se tale luogo-la città, punto centrale di riferimento del mondo civile dantesco-fosse per la persona il primo segno di identificazione.
{{quote|Nacqui sub Iulio, ancor che fosse tardi,}}
*70. '''sub Iulio''': al tempo di Giulio Cesare, che veramente aveva allora (nel 70 a.C.) solo trent'anni e non aveva iniziato la sua vita pubblica; ma Virgilio vuol significare che nacque quando già era vivo e vicino al potere quel Cesare che doveva fondare l'impero, così importante per lui e nella concezione di Dante, come si vedrà. Era tuttavia troppo tardi-come precisa dopo-per poter dire di aver vissuto sotto il suo principato, in quanto Virgilio aveva soltanto 26 anni quando Cesare fu ucciso, nel 44 a.C., e infatti dirà subito: ''vissi...sotto...Augusto''.
{{quote|e vissi a Roma sotto 'l buono Augusto}}
*71. '''buono''': di grande valore, eccellente; termine spesso usato in questa accezione per uomini eminenti nella vita pubblica (cfr. XXII 52,''Purg''. XVIII 119 e altrove).
{{quote|nel tempo de li dèi falsi e bugiardi.}}
*72. '''nel tempo de li dèi...''': Virgilio morì nel 19 a.C. Il tempo storico viene definito in funzione della fede. E già Virgilio implicitamente annuncia qui il suo destino di esclusione dalla verità, che dichiarato più oltre (vv.124-6) resterà il tema fondamentale del suo personaggio e insieme di ciò che esso raffigura. Per l'espressione ''falsi e bugiardi'' cfr. Agostino, ''Città di Dio'' II 29:
{{quote|Poeta fui, e cantai di quel giusto}}
*73. '''Poeta fui...''': Virgilio si definisce dal nome che, come Dante dirà altrove, ''più dura e che più onora'' (''Purg''. XXI 85). Prima ha detto ''omo già fui'', ora precisa: ''poeta fui''. Dante riconosce in lui prima di tutto il poeta, proprio nel momento in cui egli viene a salvarlo. In tale situazione, la salvezza non è annunciata-come potrebbe attendersi la nostra cultura moderna-dal comparire di un angelo o di un santo, ma da un poeta, e un poeta del ''tempo de li dèi falsi e bugiardi''. Ciò deve farci riflettere sulla funzione che la poesia-e il mondo antico che a essa corrisponde-ebbe nella vita e nella storia di Dante. Il pellegrino smarrito nella selva è infatti un poeta, che ricorda il suo bello stilo come titolo alla salvezza (I 87), e tutta la storia di redenzione che qui si compie, si compie di fatto attraverso un'opera poetica.
*'''giusto''': Enea, figlio di Anchise, che Virgilio chiama il più giusto fra gli uomini (''Aen''. I 544-5:
{{quote|figliuol d'Anchise che venne di Troia,}}
*74. '''che venne di Troia''':
{{quote|poi che 'l superbo Ilïón fu combusto.}}
*75. '''superbo Ilïón''': riprende alla lettera un'espressione dell' ''Eneide'':
*'''Ilïón''': l'accento tonico sull'ultima sillaba era attribuito, nel Medioevo, ai nomi di origine greca o barbara, cioè non latina.
*'''combusto''': bruciato, incendiato; latinismo, come già ''parenti'', forme che contribuiscono a caratterizzare la lingua di Virgilio.
{{quote|Ma tu perché ritorni a tanta noia?}}
*76. '''Ma tu...''': il ''ma'' iniziale, come spesso in Dante, introduce un nuovo argomento o una nuova situazione. Virgilio infatti, dopo aver parlato di se stesso, affronta il problema di Dante.
*'''noia''': pena, tormento; senso antico di questa parola, molto più forte di quello moderno (cfr. ''Vita Nuova'' XV, ''Ciò che m'incontra'' 4:
{{quote|perché non sali il dilettoso monte}}
*77. '''dilettoso monte''': il colle; dilettoso, perché è la via della felicità (cfr. nota al v.13).
{{quote|ch'è principio e cagion di tutta gioia?
*78. '''principio e cagion''': è la definizione aristotelica di felicità che ci chiarisce quindi il significato di questo colle: cfr. Aristotele, ''Eth. Nic''. I, XVI 1102 a:
*'''di tutta gioia''': se si tengono presenti i 2 testi sopra riportati, sembra evidente che questa espressione si debba intendere
{{quote|
*79. '''Or se' tu quel Virgilio...(79-81)''': il prorompere di questa esclamazione è il primo esempio della forza drammatica della ''Commedia''. Dante non risponde alla domanda, sembra dimenticare la sua situazione: il fatto che egli si trovi davanti quel Virgilio che tanto aveva amato prevale su tutto, e il suo grido di sorpresa e di amore risuona in quel luogo simbolico con sorprendente intensità umana. Proprio da questo carattere costante di novità e sorpresa, che corrispondono alla totale imprevedibilità della più profonda realtà umana, mai legata e costretta in uno schema prefissato, derivano l'assoluta credibilità e la forza del racconto dantesco.
*'''fonte...fiume(79-80)''': l'immagine del fiume per indicare l'eloquenza è propria di tutta la poesia classica. Si veda in particolare Donato, nel commento a Terenzio:
{{quote|che spandi di parlar sì largo fiume?
*80.
{{quote|rispuos'io lui con vergognosa fronte.}}
*81. '''vergognosa''': dei 3 significati di stupore o reverenza, pudore, e vergogna in senso moderno, propri della parola
*'''fronte''': sta ad indicare tutto il volto, oppure, come dice il Buti:
{{quote|
*82. '''onore
{{quote|vagliami 'l lungo studio e 'l grande amore}}
*83. '''vagliami''': mi valga ora a ottenere il tuo aiuto.
*'''lungo studio...grande amore''': le 2 parole sono in Dante profondamente legate. Si veda ''Conv''. II, XV 10:
{{quote|che m'ha fatto cercar lo tuo volume.}}
*84. '''cercar''': ricercare in ogni sua parte, leggere con minuziosa attenzione (cfr. ''Conv''. I, VII 8:
{{quote|Tu se' lo mio maestro e 'l mio autore,}}
*85.''' 'l mio autore''': la massima autorità per me fra tutti i poeti; cfr. ''Conv''. IV, VI 5:
{{quote|tu se' solo colui da cu' io tolsi}}
*86. '''tu se' solo''': le 3 affermazioni crescono d'intensità. L'ultima è la più forte: con quel ''solo'' già Dante scarta d'un gesto tutti i suoi contemporanei, o di poco anteriori a lui, e getta quel ponte diretto tra sé e i classici antichi, facendosene consapevole continuatore, che è alla base della sua coscienza poetica (come apparirà chiaro nel canto del Limbo, IV 100-2) e di tutta la letteratura moderna. Queste 3 terzine (vv.79-87), rette da quella prima alta esclamazione, sono come un'appassionata dichiarazione di amore, escono in un certo modo dal contesto narrativo. La storia riprende al v.88.
{{quote|lo bello stilo che m'ha fatto onore.}}
*87. '''lo bello stilo''': s'intende qui lo stile tragico o illustre-proprio dell' ''Eneide''-usato da Dante nelle grandi canzoni morali e dottrinali che già gli avevano dato fama. Secondo la dottrina del ''De vulgari eloquentia'' (II, IV 5-8) 3 infatti erano gli stili poetici: illustre, mediocre e umile, corrispondenti ai 3 ambiti o generi letterari tragico, comico ed elegiaco: soltanto il primo era dunque adatto ad argomenti elevati (armi, amore e virtù). Esso era proprio della tragedia, termine che comprendeva sia il dramma sia l'epopea, ma Dante lo estende anche alle canzoni, genere in cui tuttavia ben pochi eccellevano, tra i quali appunto egli stesso (per un'esauriente trattazione sull'argomento si può consultare la voce ''stili'' in ''Enciclopedia Dantesca'' V, a cura di V.Mengaldo). Il senso non cambia quindi molto se, come sembra opportuno, si allarga il valore strettamente tecnico del termine a quello di linguaggio poetico in quanto capace di esprimere le più grandi realtà umane, che è il vero debito di Dante verso Virgilio, o meglio ciò in cui Dante non riconosce altri predecessori o maestri.
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{{quote|aiutami da lei, famoso saggio,}}
*89. '''famoso saggio''': saggi o savi chiama Dante gli antichi poeti in varie occasioni (cfr. IV 110; ''Purg''. XXIII 8; XXVII 69; XXXIII 15); i poeti erano considerati maestri di sapienza, e
{{quote|ch'ella mi fa tremar le vene e i polsi
*90. '''le vene e i polsi''': indica ogni luogo in cui batte il sangue; la coppia può essere interpretata secondo la figura retorica dell'endiadi (le vene che battono nei polsi) o rispecchiare la distinzione già nota tra vene e arterie: le vene e le arterie che battono nei polsi. Tale tremito (per cui vedi già ''Vita Nuova'' II 4) indica l'effetto di una forte emozione:
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*91. '''tenere''': l'espressione
*'''altro vïaggio''': altra via, altro cammino. Non cioè la via diretta al monte, il ''corto andar'', come si dirà più oltre (II 120): la lupa impedisce tale cammino (cfr. v.95 e II 119-20) verso la virtù e la felicità, finché almeno non venga chi possa sconfiggerla e ristabilire l'ordine provvidenziale (cfr. più oltre, 101-2). All'uomo è quindi necessaria una strada più lunga, che passa attraverso la conoscenza del peccato (l'inferno) e la deliberata purificazione e distacco da esso (il purgatorio). Ma queste brevi parole sembrano racchiudere un'intuizione più profonda. Che il problema cioè della lupa e del colle, vale a dire dell'umana felicità, non sia in realtà risolubile in termini umani, qui sulla terra; ma che sono oltre la storia, nell'eternità (l'altro mondo appunto), si possa attingere veramente tale situazione.
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{{quote|
*93. '''campar''': scampare.
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{{quote|non lascia altrui passar per la sua via,}}
*95. '''altrui''': pronome indefinito generico (cfr. v.18): non lascia che alcuno passi.
*'''per la sua via''': per la via che essa occupa; o anche: per la via propria dell'uomo, verso la felicità (Pietro di Dante); così anche Boccaccio:
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{{quote|che mai non empie la bramosa voglia,}}
*98. '''che mai non empie...''':
*'''bramosa''': il forte aggettivo, usato per animali affamati anche a VI 27 e XIII 125, richiama le ''brame'' del v.49.
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{{quote|Molti son li animali a cui s'ammoglia,}}
*100. '''Molti son...''': molti sono gli uomini a cui questo vizio si unisce; così Dante stesso:
{{quote|e più saranno ancora, infin che 'l veltro}}
*101.''' 'l veltro''': cane da caccia; la figura nasce dalla convenienza col testo; trattandosi di cacciare una lupa, occorrerà un veltro. Con questa immagine Dante indica un personaggio provvidenziale, inviato da Dio a ristabilire l'ordine del mondo, che egli attende e annunzia profeticamente anche in altri luoghi del poema (cfr. ''Purg''. XX 13-5 e XXXIII 37-45): per noi certamente un imperatore.
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{{quote|Questi non ciberà terra né peltro,}}
*103. '''non ciberà''': non si nutrirà di (
*'''terra né peltro''': né dominio di terre, né possesso di denaro (peltro, lega metallica, sta per "moneta"); cfr. ''Tesoretto'' 30-1:
{{quote|ma sapïenza, amore e virtute,}}
*104. '''ma sapïenza...''': ma solo i valori supremi che sono prerogativa di Dio (''sapienza, amore e virtute'' indicano infatti le 3 persone della Trinità: sapienza il Figlio, amore lo Spirito, e virtute, cioè potenza, il Padre; cfr. III 5-6). Queste indicazioni non contraddicono all'interpretazione politica del veltro, in quanto l'imperatore è per Dante ministro-senza intermediari (''Mon''. III, XV 15)-dell'azione provvidenziale di Dio nella storia. E la stessa connotazione iniziale del v.103 è conferita a Cangrande in ''Par''. XVII 84: ''in non curar d'argento né affanni''. Si ricordi anche che caratteristica dell'imperatore, secondo il ''Convivio'' e la ''Monarchia'', è proprio l'assenza di ogni desiderio terreno (in quanto tutto già possiede), per cui lui solo può vincere la
{{quote|e sua nazion sarà tra feltro e feltro.}}
*105. '''nazion''': nascita; accezione comune del termine nei nostri scrittori fino a tutto il Trecento.
*'''tra feltro e feltro''': questa frase è la più oscura del passo, tuttora indecifrata. Tale oscurità è deliberatamente voluta da Dante, secondo le norme di tutto il parlar profetico, e quindi ben difficile da sciogliere. Tra le molti interpertazioni si preferisce una delle più antiche, condivisa da commentatori quali Jacopo, Lana, Pietro, Buti: feltro sta per "cielo", quindi, come sempre per Dante nel poema, l'uomo che ristabilirà l'ordine terreno nascerà dal rivolgimento dei cieli.
{{quote|Di quella umile Italia fia salute}}
*106. '''umile Italia''': riprende ancora un'espressione dell' ''Eneide'':
{{quote|per cui morì la vergine Camilla,}}
*107. '''Camilla, Eurialo e Turno e Niso(107-8)''': sono giovani eroi virgiliani (Virgilio ricorda i suoi, e stabilisce così un parallello fra quel tempo provvidenziale e questo, e, forse, fra quel poema e questo), morti tutti nel conflitto fra Troiani e Latini per la supremazia nel Lazio. Camilla, figlia del re dei Volsci, e Turno, re dei Rutuli, combattevano contro Enea; Eurialo e Niso erano 2 giovani amici troiani. L'alternare i nomi dei vincitori e dei vinti accomunandoli nella stessa pietà e nella stessa gloria è un tratto insieme dantesco e tipicamente virgiliano. Alla terzina precedente, di linguaggio oscuro, si contrappone la precisione storica di questa, come a dare concreta realtà alla profezia.
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{{quote|Questi la caccerà per ogne villa,}}
*109. '''per ogne villa''': ''villa'' può significare città, o località in genere (cfr. XXIII 95 e ''Par''.XX 39).
{{quote|fin che l'avrà rimessa ne lo 'nferno,}}
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{{quote|là onde 'nvidia prima dipartilla.}}
*111. '''là onde 'nvidia...''': nel luogo da cui per la prima volta (''prima'' vale primamente, cioè al momento della tentazione di Eva) l'invidia del diavolo la mandò nel mondo, a tentare l'uomo (cfr. ''Sap''. 2, 24:
{{quote|Ond'io per lo tuo me' penso e discerno}}
*112. '''discerno''': giudico (cfr. XII 37); "discernere" ha quasi sempre in Dante il significato di "distinguere con la vista" (una sola volta, con l'udito: ''Par''. VIII 17); ma comporta anche quello traslato (proprio dell'uso latino) di "giudicare", come qui e in XII 37.
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{{quote|e trarrotti di qui per loco etterno;}}
*114. '''e trarrotti di qui''': ti porterò via di qui, quindi in salvo, attraverso un'altra strada, non terrena, come ora dirà.
*'''per loco etterno''': l'inferno (cfr. III 8); il pugatorio infatti terminerà alla fine del mondo.
{{quote|ove udirai le disperate strida,}}
*115. '''disperate''': la disperazione è di fatto definitoria dell'inferno (cfr. III 9) e tornerà come tema continuo della cantica.
{{quote|vedrai li antichi spiriti dolenti,}}
*116. '''antichi''': perché ve ne sono fin dall'inizio dell'umanità.
{{quote|che la seconda morte ciascun grida;}}
*117. '''la seconda morte''': la prima morte è quella del corpo (che avviene quando l'anima se ne distacca);la seconda è quella dell'anima, cioè la dannazione (che avviene al momento del giudizio). Questa spiegazione si appoggia a un testo biblico ben noto:
*'''grida''': lamenta, piange ad alte grida, oppure: proclama, attesa con le sue grida. "Gridare" transitivo significa genericamente "dire ad alta voce", ed è determinato dal suo complemento oggetto (Scartazzini).
{{quote|e vederai color che son contenti}}
*118. '''color che son contenti''': le anime del purgatorio, che godono pur nel fuoco della purificazione, perché sono sicure-la speranza è qui certezza (cfr. ''Par''. XXV 67-8: ''
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{{quote|A le quai poi se tu vorrai salire,}}
*121. '''A le quai...''': alle quali ''beate genti'', cioè al paradiso.
*'''se''': questo ''se'', come notò il Poletto, ha un senso profondo: esso indica la libertà lasciata a Dante per il viaggio nel terzo regno, che è dunque di libera scelta, mentre quello nei primi 2 è presentato come necessario alla salvezza (XII 87 e ''Purg''. I 62-3). Dante è già salvo, quindi, quando giunge alla cima del purgatorio (cfr. ''Purg''. XXVII 140: ''libero, dritto e sano è tuo arbitrio''); la contemplazione, e la partecipazione, della realtà divina appare come un di più che viene liberamente scelto.
{{quote|anima fia a ciò più di me degna: }}
*122. '''anima fia...''': ci sarà un'anima più degna di me di svolgere questo compito. Il motivo è spiegato nella terzina seguente. Si annuncia qui la seconda guida del poema-Beatrice-che comparirà col suo nome nel secondo canto. Fin da principio Dante indica insieme le due forze che condussero realmente la sua vita, e che egli assume quindi come perfetta verità a guide del suo viaggio-dove realtà e figura costruiscono un insolubile nodo. Per il senso allegorico, cfr. ''Monarchìa'' III, XV 7: alla fruizione di Dio
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{{quote|ché quello imperador che là sù regna,}}
*124. '''quello imperador...''': Dio, che, come dirà più oltre, impera dovunque, ma ha in cielo il suo regno in senso proprio (vv.127). L?immagine di Dio come imperatore dell'universo, mutuata dall'universale sovranità dell'imperatore terrestre, torna più volte sia nel ''Convivio'' sia nel poema, in quanto nel pensiero di Dante le 2 figure appunto si corrispondono.
{{quote|perch'i' fu' ribellante a la sua legge,}}
*125. '''perch'i' fu' ribellante...''': perché io non seguii la sua legge; in quanto, vissuto prima di Cristo, Virgilio non adorò ''debitamente a Dio'' (cfr. IV 37-9); la ribellione, in questo caso, non si manifesta nel ''far'', ma nel ''non far'' (cfr. ''Purg''. VII 25-7). E' il tema di Virgilio, e di tutto il mondo antico, escluso dolorosamente da Dio, su cui torneremo nel commento del canto IV.
{{quote|non vuol che 'n sua città per me si vegna.}}
*126. '''sua città''': il paradiso; la figura della città (la Gerusalemme celeste), per indicare la comunione dei beati nell'eternità, è della Scrittura (cfr. ''Apoc''. 21, 2, 10-27), e ha una ben lunga tradizione sia nel linguaggio cristiano (si ricordi soprattutto la Città di Dio di Agostino) sia nelle arti figurative medievali.
*'''per me''': da me, complemento di agente, retto da ''si vegna'', forma passiva impersonale: che io vada (cfr. XXVI 84: ''per lui...gissi''). E' costrutto latino dell'uso antico (cfr. ''Dec''. I 1, 86:
{{quote|In tutte parti impera e quivi regge;}}
*127. '''In tutte parti''': si noti la precisione del linguaggio dantesco. Come l'imperatore terrestre, che su tutto esercita il suo potere, ma è re di uno stato particolare, così Dio governa l'universo, ma regna direttamente (''sanza mezzo'') in paradiso, cioè con la sola legge dell'amore(cfr. ''Par''. XXX 122).
{{quote|quivi è la sua città e l'alto seggio: }}
*128.
{{quote|oh felice colui cu' ivi elegge!
*129. '''oh felice...''': Virgilio esprime qui quasi in un sospiro il suo desiderio inappagato, che sarà il tema del canto IV, lasciando così ben comprendere quale felice sorte è riservata a colui che egli ora viene a salvare.
*'''cu' ivi elegge''': che egli vi destina; il ''cui'' complemento oggetto è dell'uso antico.
{{quote|E io a lui:
*130.
{{quote|per quello Dio che tu non conoscesti,}}
*131. '''per quello Dio''': la risposta ha colto il senso del v.129: questa invocazione in nome del Dio non conosciuto in vita, ma in qualche modo presagito da Virgilio, e ora a lui noto come termine irragiungibile di felicità a cui potrà invece giungere chi ora lo prega, ha una forza drammatica di una densità tipicamente dantesca.
{{quote|acciò ch'io fugga questo male e peggio,}}
*132. '''e peggio''': la dannazione eterna.
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{{quote|sì ch'io veggia la porta di san Pietro}}
*134. '''la porta di san Pietro''': la porta del purgatorio, ingresso della salvezza (l'angelo che la guarda con le 2 chiavi in mano è infatti ''vicario di Pietro: Purg''. IX 127 e XXI 54); è preferibile intendere così, piuttosto che, come altri antichi e moderni, la porta del paradiso, perché questo verso con il successo-indicando l'uno il purgatorio e l'altro l'inferno-risponde alle parole precedenti: ''che tu mi meni là dov'or dicesti'', ai luoghi cioè dove potrà condurlo Virgilio (a parte il fatto che il paradiso, come Dante lo ha concepito, non ha nessuna "porta").
{{quote|e color cui tu fai cotanto mesti
*135. '''cui tu fai''': che tu mi dici, mi raffiguri; ''cui'' è complemento oggetto, come al v.129.
*'''mesti''': richiama il ''dolenti'' del v.116, parola con cui Virgilio ha infatti definito gli abitanti dell'inferno.
{{quote|Allor si mosse, e io li tenni dietro.}}
*136. '''Allor si mosse...''': l'ultimo verso, come il primo, indica un cammino. Ma dal cammino nell'oscurità e nell'angoscia siamo qui giunti a ben altro cammino: è il viaggio della salvezza, il cammino dell'uomo verso il suo fine, che lo porterà
[[Categoria:Divina Commedia|Canto I]]▼
▲[[Categoria: Divina Commedia|Canto I]]
{{Avanzamento|100%|10 giugno 2008}}
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