Divina Commedia/Inferno/Canto III: differenze tra le versioni

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{{quote|con lieto volto, ond'io mi confortai,}}
*20.'''con lieto volto''':«dal viso lieto del duca prende conforto e sicurtà chi segue» (Boccaccio). I gesti e il volto di Virgilio -a cui sempre è fisso lo sguardo di Dante- mutano e si conformano alle diverse situazioni, determinandone l'umana e concreta realtà.
*20.
 
 
{{quote|mi mise dentro a le segrete cose.}}
*21.'''mi mise dentro... segrete cose''': mi introdusse nelle realtà nascoste sotto terra, e ignote ai vivi.
*21.
 
 
{{quote|Quivi sospiri, pianti a alti guai}}
*22.'''Quivi sospiri...''' (22-24):è la prima impressione all'affacciarsi nel'inferno, tutta auditiva, perché per la grande oscurità (''l'aere sanza stelle'') la vista sembra ancora non distinguere niente. L'attacco è anche questa volta virgiliano:«Di lì s'odono lamenti e fischiare furiose percosse, e poi stridore di ferro e strisciare di catene» (''Aen.'' VI 557-8); ma il verso di Virgilio rappresenta l'orrore della scena, mentre quello dantesco è attento soprattutto all'umano dolore, che si riflette nell'animo del poeta (''ne lagrimai''). Il mondo degli inferi pagano ignora infatti il tema tragico del dolore proprio dell'inferno cristiano, dove l'uomo ha perso per sempre (''c'hanno perduto...'', v.18) la suprema felicità che gli era dato raggiungere, anche per una sola ''lagrimetta'' (''Purg.'' V 107), cioè l'unione con Dio. Bisogna sempre tener presente questa differenza fondamentale, nei continui raffronti tra ''Eneide'' e ''Inferno'': il motivo teologico, più che morale, del dolore per una perdita irrevocabile e infinita che caratterizza il testo dantesco; mentre il pur umanissimo Virgilio non può cogliere questa dimensione, che gli è ignota.
*22.
*'''guai''':''guaio'' vale «lamento acuto» (cfr.IV 9; V 3, 48), da cui il verbo«guaire»; è ritenuto sostantivo derivato dalla interiezione ''guai'' (cfr. v.84).