Armi avanzate della Seconda Guerra Mondiale/Francia 3: differenze tra le versioni

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Ecco uno sguardo d'insieme sulla flotta francese e sull'evoluzione ultima della flotta d'anteguerra: le corazzate classe 'Richelieu'. Bisogna dire che la flotta francese non è mai stata ben studiata. Non ha mai adottato materiali standardizzati con i Britannici o gli americani, quindi ha fatto poco parlare di sé, e storicamente, nelle guerre combattute, è risultata sostanzialmente irrilevante. Ma tutto questo non giustifica la sostanziale mancanza d'interesse a livello internazionale per una Marina che sebbene isolata progressivamente, ha saputo mantenere una sua logica e indipendenza, sia nel bene che anche nel male, con scelte non necessariamente condivisibili e spesso causate da situazioni contingenti. Come si vedrà, le 'Richelieu' rispiecchiano bene tale travagliata storia e l'elevato spreco di potenzialità dato dall'evolversi nefasto degli eventi, culminato con il 'suicidio della flotta' di Tolone, nel tardo 1942. Del resto le flotte militari sono da sempre dipendenti, non tanto dalla tecnica (nonostante l'apparenza) ma dall'impostazione politica di cui sono espressione.
 
Dopo la I guerra mondiale la Francia aveva una flotta militare dal dislocamento complessivo tutt'altro che trascurabile, pari a 485.000 t. Ma il drenaggio per le esigenze del conflitto a terra era stato tale, che nel 1919 solo 25.000 t erano al momento sugli scali per le nuove costruzioni. Con i Tedeschi rimasti a tiro di cannone dalle periferie di Parigi (almeno per quel che riguarda i 'super cannoni' da 120 km) fino alla fine della guerra, non c'é da stupirsene. Ma del resto furono proprio gli errori della politica e dell'esercito a causare il crollo del 1914. Servivano, e vennero prodotti, piuttosto grandi quantitativi di artiglierie e anche di carri armati, di cui la Francia fu la seconda produttrice dopo la Gran Bretagna. Nell'immediato dopoguerra i piani di crescita per le varie marine mondiali dovettero in gran parte essere accantonati o decurtati drasticamente. C'eraerano da valutare gli effetti delle innovazioni tecniche sulla progettazione delle navi, specie le offese subacquee e in prospettiva, aeree, che per navi tradizionali erano potenzialmente mortali (speciesopratutto i siluri e le mine). Peggio ancora, c'era la crisi economica e il goffo tentativo di governare la 'tenuta pacifica' dell'Europa dopo l'armistizio. L'Austria si era quasi dissolta, ma la Germania preoccupava e molto. I trattati internazionali per limitare gli armamenti erano sopratutto volti al settore navale, che per giunta sancì la superiorità degli anglo-americani sui Francesi, e peggio che mai, la parità con l'Italia. Il trattato di Washington del '22 arrivò quando non c'era ancora Mussolini al potere, ma la crisi e i problemi sociali mordevano fortissimo in un'Europa piagata dalla guerra e dalle malattie (influenza 'spagnola' in primis). Ora la Francia era certo molto imbarazzata dal dover risultare pari all'Italia, non tanto per un problema d'orgoglio quanto per la difficoltà adi garantire il controllo dei mari e i collegamenti con le colonie sparse nel mondo, mentre al contempo l'Italia aveva possedimenti oltremare meno estesi e poteva quindi dedicarsi con maggiore impegno ad una competizione contro i Francesi. Da allora la rivalità franco-italiana venne fuori con una serie di navi che cercavano, nei limiti del dislocamento (spesso però superati) concesso, di superarsi in capacità operative. Per giunta, la Francia doveva anche guardarsi dalla Germania, e non solo sul settore navale: se con gli Italiani c'erasi sempre da poterpoteva contare sulla barriera alpina, con i Tedeschi il problema era quello di affrontare un nemico potenziale molto più numeroso e agguerrito. Anche occupare la Rhur non sarà sufficiente per frenarne il riarmo, che d'altro canto era stato suscitato anche dalle esose richieste Alleate come risarcimenti post-bellici, inaccettabili per i Tedeschi, che bene o male avevano concluso la guerra stando ancora in territorio francese (e quindi non sentendosi realmente come 'sconfitti'). Si costruì la Linea Maginot, che ingoiò nel terreno cannoni, bunker e un pozzo di denaro in forti che erano considerabili come 'corazzate di terra'. Ora in tutto questo c'era poco spazio per la Marina, già trascurata da governi deboli ed instabiliinstabilil, quando i programmi navali necessitano di una lunga e costante programmazione. Niente leggi speciali per la marina (come quella che nel '76 'salvò' la Marina italiana), ma solo bilanci annuali in cui far rientrare tutte le spese dato il compito assegnato alla forza armata. E questo richiedeva ben 720.000 t di navi d'ogni sorta per assolvere ai tre principali compiti: contrasto ai Tedeschi, agli Italiani e mantenimento delle comunicazioni oltremare. Così ancora nel 1940 c'erano, in realtà, solo 550.000 t suddivise in 175 navi da guerra e 110.000 per le navi ausiliarie.
 
Così si attese il 1931 per iniziare ad aggiornare le navi da battaglia della flotta, stimolati dalle Panzerschiffe tedesche (e i Tedeschi a loro volta vennero stimolati, come anche gli Italiani, dalla 'risposta' francese), si impostarono le due 'Dunquerke' da 25.000 t. E perPer giunta, c'erano altri problemi, al solito politici: nel '35 gli Inglesi acconsentirono ai Tedeschi, con accordi bilaterali nel giugno di quell'anno, di arrivare a 420.000 t di naviglio, pari a 2/3 di quello francese. Con Mussolini che scosse il panorama internazionale con la crisi etiopica e che già era 'pari' alla Francia, e la Germania che sarebbe arrivata ai due terzi, i Francesi non avevano più modo di difendersi da soli. Dovettero cercare l'appoggio britannico, che fin'allora era rimasto piuttosto vago, tanto che ci volle l'accordo di Portsmouth dell'agosto del '39 per ottenere un impegno concreto. Dal gennaio 1935 i Francesi avevano già denunciato il Trattato di Washington, oramai visto da quasi tutti come un 'laccio' che legava le mani al riarmo internazionale e ai preparativi per quella che le scelte politiche stavano concretizzando giorno dopo giorno: un'altra guerra mondiale. Naturalmente, per temerla e prepararsi a combatterla, si fece una via più larga al suo avvento, e così i tardi anni '30 videro una frenetica corsa al riarmo, tutti preoccupati di quello che gli altri stavano facendo.
 
Così se i Francesi si preoccuparono per le Panzerschiffe tedesche (peraltro i Tedeschi non avevano molta scelta, la loro flotta era impotente contro i Francesi) e costruirono le 'Dunquerke', i Tedeschi risposero con le 'Scharnorst'. I Francesi, che avevano impostato nel 1932 e nel 1934 le loro nuove navi da battaglia, sapevano che per allora gli Italiani erano pronti, con la scusa della seconda 'Dunquerke', ad impostare le loro due nuove navi 'Littorio' da 35.000 t nominali, iniziate proprio quell'anno. Così i Francesi impostarono le tre corazzate 'Richelieu', 'Jean Bart', 'Gascoigne', mentre nel piano navale di potenziamento, da completare entro il 1942, c'erano anche le portaerei leggere 'Joffre' e 'Painlevé' (quello dell'aviazione navale è un altro tasto dolente per la Marina francese, avversata dall'Aeronautica in ogni modo fino al 1939 inoltrato), 3 incrociatori 'De Grasse', solo 4 cacciatorpediniere (forse erano i Mogador) ma anche 23 torpediniere e 24 sommergibili.
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Quando questa prese forma definitiva, si configurò come una grande nave dalle sovrastrutture imponenti raggruppate attorno al torrione anteriore, e ad un piccolo fumaiolo dall'aspetto sgraziato, rivolto nettamente all'indietro. Questo poteva sembrare un particolare di poco conto, ma in realtà era innovativo in quanto, come sulle navi moderne, integrava la struttura dello stesso con quella delle sovrastrutture, tanto che era difficile capire dove fosse lo scarico per quello che era oltretutto un sistema motore potentissimo.
 
LeEcco le caratteristiche erano, nell'insieme, questeriassuntive:
 
*Dislocamento: 37.832 t standard, 40.927 t normale, massimo 44.698 t
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*Propulsione: 6 caldaie con 4 gruppi turbine su 4 assi per 150.000 hp teorici; 32 nodi; 4.500 t di carburante (5.865 t massima), autonomia 3.448 nm a 30 nodi, 9.836 a 16 nodi
*Equipaggio: 1.569
*Armamento: 8 cannoni da 380/45 mm, 9 cannoni da 152 mm, 12 da 100 mm, 16 da 37 mm, 24 da 13,2 mm; 2 catapulte con 5 aerei Loire 130
*Corazzatura: cintura 330 mm, torrione 340 mm, torri 170-430 mm, ponti 40-170 mm.
 
Grandi navi, dunque, con una velocità tale da superare ogni possibile oppositore, almeno tra quelli fin'allora realizzati. La lunghezza, circa 10 m maggiore delle 'Littorio' (ma non delle 'Bismarck') deve aver contribuito al risultato, affinando forme di carena tali da raggiungere velocità mai viste con una nave da battaglia. Alle prove svolte il 13 giugno 1940, a 43.800 t, si raggiunsero i 32,63 nodi, e l'apparato motore si dimostrò in grado di sviluppare effettivamente ben 179.000 hp, il più potente tra tutte le navi da battaglia eccetto le 'Iowa'. Gli elettrogeneratori erano a loro volta in grado di sviluppare 9 MW. Lo scafo che permetteva tale livello di velocità ed efficienza (l'autonomia era buona se si considera la quantità di carburante a bordo) pesava il 28% del totale, il motore appena il 7,1%. La protezione faceva per molti versi affidamento ai concetti sviluppati dagli Inglesi e concentrava nel ridotto corazzato la maggior parte delle protezioni, pari a ben il 39,2% del peso totale, Il che significa che le 'Richelieu' erano protette da ben 15.000 t di corazzatura, se si presta fede al dislocamento effettivo (qualcosa di più delle 14.000 t delle 'Littorio' per uno scafo del resto più grosso), oppure ancora di più se si considerano le 44.700 t a pieno carico.
Ecco come era configurata la protezione a mezzanave: sotto il ponte di castello, privo di corazze, c'era il ponte di coperta leggermente protetto con 24 mm, poi il ponte principale che arrivava a 150 (se non anche 170) mm, e che costituiva un ostacolo difficilmente perforabile da un qualunque cannone navale: era più spesso di circa il 50% rispetto al ponte principale della Bismarck. Sotto c'era un ulteriore ponte corazzato da 40 mm, che si trovava proprio sopra, tra l'altro, alla sala macchine, per un totale quindi di ben 214 mm di acciaio, ripartiti in 3 ponti. Sui lati c'era un'elaborata protezione subacquea, che comprendeva varie paratie di cui l'esterna protetta con 18 mm, e la più interna da 30. La cintura, come nelle navi americane, non era a murata, ma messa dentro la nave, il che consentiva di inclinarla di circa 15 gradi. Era spessa 330 mm (meno sotto la linea di galleggiamento) e il suo spigolo superiore era sia collegato alla murata, che al ponte principale da 150 mm, formando una vera scatola corazzata. Dietro c'era una corazza da 50 mm inclinata che proteggeva da colpi che eventualmente avessero perforato la sua protezione. Quindi, ricapitolando: niente o quasi sui due ponti superiori, massimo livello protettivo nei due inferiori e sui fianchi, in un arrangiamento moderno e apparentemente efficiente.
 
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Ma le navi francesi erano oramai ad un livello ridotto d'efficienza, e anche la potente flotta di Dakar, languente da due anni in tale lontano porto, non poteva dare grande aiuto agli Alleati. Così, per rendere efficienti e ammodernate le navi, venne autorizzata la loro trasferta negli USA, dove la Richelieu giunse (partendo il 30 gennaio 1943) assieme all'incrociatore Montcalm e 4 caccia dell'USN, muovendosi alla misera velocità di 14 nodi. Se non altro a NY, quando arrivò l'11 febbraio, venne accolta festosamente, dal 18 la grande nave (ancora dipinta in colore grigio chiaro, da tempo di pace) entrò in arsenale ed ebbe presto 56 cannoni da 40 mm in impianti quadrupli e 40 Oerlikon singoli al posto dei cannoni antiaerei originali. due radar di scoperta, ma nessuno di tiro (erano considerati segreti). L'equipaggiamento venne migliorato anche in altri aspetti, i cannoni da 380 ebbero munizioni apposite made in America (era un calibro mai esistito negli USA), e con un costo molto elevato, la nave venne approntata entro il 26 agosto. L'equipaggio salì a 1.930 persone, ma vi furono almeno un centinaio di disertori. I cannoni da 380 della Jean Bart vennero montati sulla Richelieu, a parte il quarto pezzo che finì in un poligono americano. Il 14 ottobre 1943 la nave fece rotta per l'Africa, a ben 24 nodi di velocità, ma la flotta italiana era già fuori gioco e allora venne diretta in Gran Bretagna per proteggere i convogli sotto minaccia delle corazzate tedesche, cooperando assieme alle 3 navi da battaglia britanniche della Home Fleet; ebbe quindi dei radar di tiro, ma uscì in azione solo una volta. Era capace di tenere testa alla Tirpiz, ma questa venne danneggiata gravemente e la Scharnorst affondata. Allora venne mandata, in questa specie di gioco dell'Oca planetario, in Estremo Oriente contro la Marina Giapponese, partendo il 14 marzo 1944 per Ceylon, dove giunse il 10 aprile. Ebbe impiego con la flotta orientale, che era composta da 3 vecchie navi da battaglia e 3 portaerei moderne, più navi minori, e dovette prendere ordini dall'ammiraglio Somerville, quello di Mers El-Kebir, il quale tuttavia fece del suo meglio per dissipare i rancori francesi. Seguì una intensa e apprezzata attività di bombardamenti costieri nella zona dell'Oceano Indiano, fino a che tornò in patria il 1 ottobre 1944, ben 52 mesi dopo la partenza. Ripartì appena una settimana dopo per Casablanca dove ebbe altri lavori di raddobbo e nuovi radar, più apparati ECM. Dal 20 marzo 1945 tornò a Trincomalee con la Esat Indies Fleet britannica, al comando dell'amm. Frazer sulalsulla HMS Queen Elisabeth. Altre missioni di bombardamento, poi a Durban per ottenere altre armi da 40 mm al posto di quelle da 20, troppo deboli per fermare i Kamikaze. Ma uscì dai lavori solo il 10 agosto, e a quel punto la guerra era finita (ufficialmente terminò il 2 settembre). Ma non dappertutto e allo stesso tempo. Si diresse alla volta di Singapore per la cerimonia di resa della guarnigione giapponese, che ebbe luogo il 12 settembre. Durante il viaggio urtò una mina nello Stretto di Malacca. La sua resistenza alle offese venne dimostrata appieno, dato che riportò solo dei danni alle casse stagne che trasportavano vino (stupendo i Britannici che ricevettero il rapporto dei danni). Da ricordare che venne ventilata a lungo anche l'ipotesi di far partecipare le due 'Littorio' (e anche uno stormo di Z.1007) alla guerra del Pacifico, scartata per opportunità politica (e per le deficienze delle navi in questione, come nell'autonomia e nella dotazione di proiettili).
 
Per la Richelieu e la Jean Bart la guerra era finita, ma continuarono a testimoniare la decadenza dell'impero coloniale francese. Nel '46 si ritentò di conquistare l'Indocina con i reparti presenti in India (pronti per invadere il Giappone), e la Richelieu contribuì al trasporto veloce delle truppe. Già il 29 dicembre però tornò indietro con 400 feriti durante gli scontri con i Viet-Minh e arrivò a Tolone l'11 febbraio 1946. Nel frattempo il Jean Bart rimase in naftalina, entrando a far parte della flotta solo il 1 maggio 1950, per rimanervi solo fino al 1 agosto 1957. Seguiranno altre missioni di trasporto truppe ed equipaggi, e il comando di ammiraglia della 'Forza d'intervento' con le migliori navi francesi disponibili all'epoca, ruolo svolto dal 20 maggio 1946 al 20 ottobre 1948. Poi, anzi dal 16 ottobre, entrò in riserva, e malgrado i tentativi di mantenerla in servizio, i costi della guerra in Indocina si stavano facendo pesanti. Così alla lontana guerra in Estremo Oriente spettò il compito d'affondare la nave che era sopravvissuta alle tribolazioni e ai pericoli di tutta la guerra. Nondimeno, i lavori d'ammodernamento ebbero almeno parziale attuazione, tra cui l'introduzione di un sistema di ritardo di alcuni millisecondi per lo sparo, che ridusse i disturbi tra i cannoni e la dispersione a circa 300 m a 20 km (quando all'epoca avevano già sparato circa 250-300 colpi e quindi prossimi alla loro durata massima). Vennero sostituiti i tubi-anima dei pezzi da 152 e 381 mm, ma la nave non sarà più un'ammiraglia: dal 1 maggio 1952 venne assegnata alla scuola Cannonieri di Tolone. Il 18 ottobre 1955, dopo periodiche missioni fino in Africa settentrionale, cedette il comando delle scuole di Marina, di cui era la sede al Jean Bart. Lasciò Tolone accompagnata dalla gemella il 30 gennaio 1956: fino ad allora mai avevano navigato assieme. Passata a Mer el-Kebir per omaggiare i 1.300 caduti della battaglia del '40, tornò a Brest come nave-caserma per gli ufficiali della riserva, e infine disarmata il 30 settembre 1967, venne battezzato Q432 e comprato nell'agosto del '68 da una ditta italiana, venne poi demolito a La Spezia. Così dall'8 settembre 1968 iniziò la demolizione. Per molti mesi la grande nave francese fu visibile sulla costa ligure, con il suo colore grigio chiaro. Sembrava un immenso fantasma, e come tale sparì, poco a poco, demolito da prua e poi dai ponti superiori in poi. Era la fine di un'epoca per la Francia (il tramonto del suo Impero coincise con la sua sofferta esistenza) e per la tecnica navale europea, che forse aveva in questa l'ultima corazzata ancora esistente. Un cannone venne comprato dalla Marina Militare italiana, che vi eseguì certi esperimenti di balistica, mentre un altro, rimosso già in Francia, è ancora presente all'ingresso dell'Arsenale di Brest come monumento commemorativo.
 
Quanto alla Jean Bart, la situazione alla caduta della Francia era anche peggiore: se la Richelieu era ancora completa al 95%, la sorella era completa al più per il 75%, senza metà dei cannoni principali e quelli da 152 mm. Riuscì a scappare usando i motori che funzionarono, pur essendo accesi per la prima volta. A Casablanca ebbe casa fino a quando non comparvero le navi americane durante l'operazione di assalto 'Torch', e quindi fu anche, almeno nominalmente, testimone dell'epico film del '41 con Umphrey Bogart, testimone di quel periodo di neutralità. Nel frattempo il compito di ammiraglia della flotta francese venne preso dalla Strasbourg, solo molto tempo dopo raggiunta dalla Dunquerke. La Jean Bart tra il 9 novembre 1942 combatté contro una corazzata americana armata con i pezzi da 406 mm, ma immobile e con metà dei cannoni, incassò diversi colpi di grosso calibro. Sul momento sembrò che fosse fuori combattimento, ma reagì di lì a poco furiosamente contro un'altra nave americana, il che le causò altri danni da parte di due bombe da 500 kg. Cedette, come si è detto, i cannoni alla sorella e al dunque rimase letteralmente disarmata. Si pensò addirittura di farne una portaerei, ma non se ne fece nulla e la situazione venne sbloccata solo nel dopoguerra, quando tornò in Francia. Nel '49 era stata finalmente completata, tanto che poi parteciperà anche alla crisi di Suez. I cannoni antiaerei da 57 mm Bofors le diedero uno dei migliori armamenti antiaerei tra quelli destinati alle corazzate, ma non ebbe mai necessità di impiegarlo.
 
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