Armi avanzate della Seconda Guerra Mondiale/Italia 1: differenze tra le versioni
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===Caccia pesanti Savoia-Marchetti===
merita certamente ricordare il bombardiere leggero multiruolo '''[[w:S.M.88|S.M.88]]''', di cui volò anche un prototipo. Era un velivolo bimotore, con alcune caratteristiche interessanti. Volò già nel 1939, quindi assieme ai vari Re.2000, Z.1018, P.108 ecc. era la 'nuova generazione' apparsa immediatamente prima della guerra. Era una sorta di bombardiere-caccia pesante bifusoliera con 3 persone di equipaggio, tutti nella navicella centrale, appesa tra le fusoliere. Aveva un tettuccio largamente vetrato e due motori DB-601, ma la struttura, specialità della SIAI-Marchetti, era ancora mista con scheletro in legno e copertura metallica. Inteso più che altro come aereo export, aveva d'interessante che il pilota si sdraiava nel muso e diventava il bombardiere, mentre il secondo pilota prendeva il comando dell'aereo; il cannoniere aveva un'arma da 12,7 mm difensiva, altre due erano offensive, montate nelle ali. Il tutto era assai prestante, ma questa costruzione originale e di basso costo aveva motori tedeschi, il cui export venne proibito.
*'''Dimensioni''': lunghezza 12,1 m, apertura alare 14,5 m, altezza 3,5 m, superficie alare 32,5 m2
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===I caccia SAI-Ambrosini<ref>Sgarlato, Nico Op. cit</ref>===
[[Immagine:SS.4.JPG|200px|right|thumb|Disegno a 3 viste SS.4]]
La [[w:SAI-Ambrosini|SAI-Ambrosini]] di Passignano sul Trasimeno non era certo tra le ditte aeronautiche più famose e dalla maggiore produzione. Eppure nel febbraio del 1939 mandò in aria uno dei caccia più innovativi mai tentati nella storia dell'aviazione: l'[[w:SAI Ambrosini SS.4|SS.4]]. Il suo progettista, Sergio Stefanutti, non sarebbe stato destinato a lasciare una traccia importante al pari di molti suoi colleghi di altre ditte più blasonate; eppure era un grande interprete degli studi di aerodinamica avanzata, come dimostrò con le sue realizzazioni. Queste compresero alcuni aerei sperimentali, dalla potenza ridotta, chiamati 'Anatra' perché in configurazione canard, vecchia tipologia di costruzione aeronautica, che in sostanza implica che i comandi orizzontali di coda siano spostati davanti alle ali, il che a sua volta implica che il motore sia sistemato dietro,con l'elica spingente. Rielaborando questo tipo di configurazione, oramai abbandonata, Stefanutti volle cercarne i vantaggi: la risposta pronta ai comandi e la rapidità di decollo; meno interessanti le doti velocistiche visto che si trattava di progetti piuttosto 'resistenti' in termini aerodinamici. In pratica il suo velivolo è stato l'antisignano dei caccia 'canard' moderni. La sua struttura scintillava nella finitura grigio argenteo, probabilmente non c'era affatto vernice, dato che le dolci acque del Trasimeno non causano la corrosione tipica dell'ambiente marino. Forse l'aereo venne caricato sulla ferrovia che ancora oggi passa proprio radente agli stabilimenti della vecchia SAI, che confinano con la locale stazione; e venne da lì portato al primo volo dato che a Passignano presumibilmente non c'é mai stato un vero aeroporto. Ma poco male, perché era ed è presente un'ampia superficie di volo nella vicina Castiglione del Lago, dove aveva sede l'aeroporto 'Eleuteri', uno dei più grandi disponibili nella penisola, anche se con funzioni di scuola. Era attivo già dagli anni '20 ed era ricco di palazzine realizzate con molto gusto, tanto che persino la centrale elettrica sembrava un edificio abitativo. La presenza di quest'aereo deve avere impressionato molto chi lo vide. L'SS.4 era un monoplano con struttura interamente metallica -altra innovazione per gli standard italiani- e dato il motore posteriore, aveva un carrello triciclo anteriore, come gli aerei a reazione moderni. I piani di coda, alla fine della corta fusoliera, erano due sulle ali. Queste erano a loro volta, per 'lasciare' posto all'elica e motore, vagamente a freccia. Il motore era un Isotta-Fraschini Asso IX potenziato a circa 960 hp, con elica tripala metallica e due prese d'aria laterali sulla fusoliera a mò di aviogetto, sopratutto per raffreddarlo. Insomma, un velivolo rivoluzionario, nonostante fosse nient'altro che la 'riedizione' di un vecchio concetto. Anche la sua realizzazione non partiva dal niente, visto che la SAI esisteva, dopo lo spostamento di una ditta perugina a Passignano (all'epoca si producevano anche idrovolanti) già dal 1916 e all'epoca era forse già impegnata nella produzione del Macchi 200 (e poi forse anche del 202). Per questo ebbe l'incarico di realizzare la MM.387, che era stata a quanto pare concepita a Guidonia, dove lavorava inizialmente Stefanutti, con una cellula per prove statiche e vari studi dal '36 al '39.
Ma già (forse al secondo volo), il 9 marzo, si staccò una superficie di controllo e il velivolo precipitò tra Castiglione del Lago e Pozzuolo, dove a tutt'oggi esiste ancora una lapide dedicata ad Ambrogio Colombo. Il motore posteriore lasciava libero il muso di portare un pesante armamento -inizialmente si era detto un cannone da 30 e due da 20, ma oramai sembra appurato che in realtà fossero un cannone da 20 e due da 12,7, solo queste ultime armi davvero istallate. Tuttavia il motore era sistemato dietro e in caso di incidente poteva fare da 'martello' schiacciando il pilota contro il terreno, invece di fare l' ariete e proteggerlo, come accadde quel giorno. Si stabilì che la superficie di controllo era stata montata male, ma di fatto questa formula rivoluzionaria non era tanto gradita e le sorprese nella messa a punto, dalle vibrazioni al surriscaldamento, sarebbero state notevolmente spiacevoli, come sperimentarono anche giapponesi e americani che poi tentarono un approccio simile. Inoltre la visibilità, ottima anteriormente (ma non verso il basso), era limitata alle spalle, svantaggio tattico non da poco. L'aereo si poteva far decollare e atterrare senza problemi visto la bassa velocità e il carrello triciclo che portava la fusoliera ad essere parallela al terreno; ma per abbandonare la macchina, o si tentavano atterraggi d'emergenza correndo i rischi di cui sopra, oppure si saltava col paracadute, ma senza il seggiolino eiettabile si rischiava grosso con l'elica posteriore se ancora in movimento (per questo i sedili eiettabili vennero installati sul tedesco Do.335). Al dunque, un velivolo come il convenzionale D.520, che aveva quasi la stessa potenza, aveva pure quasi le stesse prestazioni e armamento. Non c'era la convenienza di costruire un caccia del genere, dalla difficile messa a punto e intrinseca pericolosità. Eppure si può solo provare ad immaginare che sarebbe successo se l'SS.4 fosse stato ordinato in quantità e davvero entrato in servizio attorno al 1940-41: si sarebbe dimostrato al fine funzionale? Gli altri belligeranti avrebbero iniziato la corsa al 'canard'? Chi può dirlo. Di fatto una configurazione del genere ha cominciato a funzionare bene solo con i motori a getto, magari con comandi computerizzati, partendo dal Viggen e dal Gripen di decenni dopo.
Lo stesso Stefanutti, però, non fu tanto convinto nel continuare nella via e ritornò a mettere la sua competenza su progetti più tradizionali. Così questo progetto avanzato ebbe in sorte di apparire e sparire prima ancora che la guerra scoppiasse.
Il caccia leggero era in auge, quantomeno da quando il francese '''Caudron 714''' aveva dimostrato che si poteva volare a quasi 500 kmh con appena 450 hp di potenza installata, sia pure accettando delle limitazioni. Memore del suo SAI 7, che venne prodotto in due esemplari nel '39 e si piazzò a ridosso del Bf-108 tedesco all'avioraduno di Rimini (in cui gli italiani temevano di sfigurare davanti ai nuovi aerei tedeschi), era un velivolo da turismo biposto che poco dopo un mese ottenne il record mondiale di velocità per aerei leggeri sui 100 km (392kmh). Aveva una particolare cappottina a bolla che si estendeva fino al muso per ridurre la resistenza. Nel contempo, un modello d'addestramento militare venne richiesto e prodotto con un IF Beta, raggiungendo 399 kmh.
Stefanutti produsse un aereo che rimase essenzialmente prototipo, il '''[[w:SAI S.107|SAI S.107]]''', che aveva poco più di 500 hp disponibili. Su di questo leggerissimo apparecchio, pesante a vuoto circa 1.000 kg, il tettuccio era di forma aerodinamica, allungato fin sul cofano motore. Poi venne modificato in un tipo convenzionale, trasformandolo in un caccia leggero a tutti gli effetti con altre modifiche. Volò nel settembre del '40 a Castiglione del Lago (MM.441) con un IF Gamma a 12 cilindri da 515 hp.
Ma al dunque, la conseguenza di questo sarebbe stato solo che durante i voli rimase ucciso il grande trasvolatore Arturo Ferrarin. Decisamente non stava andando bene con i caccia per Stefanutti e la SAI. La migliore e anche l'unica soddisfazione fu che fu proprio Stefanutti a riprogettare l'ala del C.200 rendendolo un velivolo sicuro da volare, scevro di quella tendenza a cadere in autorotazione che uccise diversi piloti, e rendendo l'aereo un affidabile capostipite per la serie dei Macchi, i più importanti caccia italiani.
Continuando lo sviluppo dei suoi caccia leggeri Stefanutti realizzò il SAI S.207, che volò sempre nell'autunno del '40, ottimo per velocità grazie alla finezza aerodinamica, e al motore IF Delta RC.40 che era un tipo capace di unire i due vantaggi tipici di motori a cilindri in linea e radiali: dei primi aveva il ridotto ingombro, dei secondi il leggero raffreddamento ad aria tramite una presa d'aria sotto l'elica tripala. Era un bel velivolo, che aveva una velocità variamente indicata: alcune fonti originariamente gli davano 625 kmh, ovvero grossomodo come un Bf-109F4 con motore da 1.300 hp; altre fonti più recenti gli danno un più ragionevole valore di 575 kmh, che è inferiore ai 599 del C.202 ma ancora superiore ai 545 del Re.2001. La struttura era adesso di un tipo speciale 'autarchico' in legno, che però era di una varietà di albero americano (lo spruce), quindi non così 'autarchico'.. la velocità di picchiata, a causa della finezza, era alta, non così la salita, dove l'aerodinamica non poteva compensare la scarsa potenza dei 750 hp ad una macchina di 1.750-2.300 kg. La messa a punto fu lunga e laboriosa, e al solito, pretese una vittima tra i collaudatori, Faccioli, il 5 dicembre 1940. Un secondo pilota, Tassinari, raccontava invece di come il SAI 207 fosse un velivolo 'da corsa' scattante e nervoso, ma per essere più aerodinamico possibile aveva un'ala piccola, troppo caricata; inoltre, e sopratutto, il motore tendeva a surriscaldare, specie i cilindri posteriori. Stefanutti proponeva modifiche al progetto, che però Ambrosini respingeva. L'aereo era considerato tanto poco sicuro che si cominciò a farlo volare 'fuori vista' per non rimediare pubbliche figuracce se fosse caduto.. Tassinari un giorno provò l'aereo in volo durante una picchiata. Richiamando, il carrello di un'ala si sbloccò dal suo recesso. Per risparmiare peso non c'era una carenatura interna e il flusso dell'aria entrò violentemente nell'ala, facendone esplodere la parte posteriore e mandando fuori uso gli alettoni; Tassinari fu costretto a saltare col paracadute per finire nelle placide acque del lago. Rischiò di allungare l'elenco degli annegati del Trasimeno (insospettabilmente lungo), perché le funi del paracadute lo legarono e lo portarono giù, ma venne salvato da una barca di pescatori. L'S.207 non era certo un aereo destinato a fare storia, e i piloti guardavano con un certo fastidio un velivolo di costruzione lignea e con tempi di salita ridotti, anche se era molto veloce e armato come un caccia 'normale' (due da 12,7 mm), pur costando molto meno. Una dozzina venne messa in servizio, ma oramai era solo il 1943, iniziando a volare da Castiglione. I piani per produrne una moltitudine furono frustrati dall'Armistizio, che pose fine alla sua insignificante carriera. In tutto ne vennero costruiti 2 prototipi e 12 di serie.
Per migliorare le cose si stava pensando, durante la lunga messa a punto dell' S.207, ad un tipo con ala più grande e quindi, più maneggevole: l''''S.403 Dardo''' (progettato dall'ing Silva) dell'aprile 1943. Questo era un velivolo costruito con un legno autarchico (stavolta per davvero), aveva un'ala più grande ed era di qualcosa più perfezionato, sempre con l'elegante fusoliera molto affinata, specie nella parte posteriore, per ridurre la resistenza. Si è detto che l'armamento previsto era di due cannoni da 20 (con 200 cp l'uno) e due mtg da 12,7 mm, rispettivamente nelle ali e nel muso, come sul Macchi 205V; ma non è chiaro se venne mai montato tale armamento. Le prestazioni, originariamente venivano indicate in ben 650 kmh, paragonabili ai primi Macchi 205V. Ora la cosa è molto poco credibile visto che il motore era rimasto lo stesso per un aereo più pesante e con maggiore resistenza aerodinamica, quindi caso mai doveva essere più lento del '207. E infatti ci sono anche fonti che parlano di 560-588 kmh. In ogni caso doveva essere abbastanza valido per meritare l'idea di esser prodotto in quantità: 300 all'Ambrosini, 150 alla SIAI-Marchetti e poi altri 600. Anzi, vi sono fonti che parlano di 3.000 aerei ordinati, in luogo dei 2.000 SAI207 precedentemente richiesti. Non è chiaro dove sia la verità. Anche i giapponesi si interessarono al SAI 403, che pesava 19.83-2.640 kg contro i 1.750-2.415 del '207, con dimesioni di 8,02-9,8-14,46 m2 contro rispettivamente 8,02-9-13,9 m2. Il carico alare era apparentemente almeno analogo rispetto al '207.
Tra le incongruenze citate sulle prestazioni, la salita era adesso, a 6.000 m, di 6'40 sec anziché 7 min 34 sec; per contro la tangenza scendeva da 12.000 a 10.000 m.
Ma tutto questo è accademia, perché durante una picchiata di collaudo, successe che le ali si staccarono e il collaudatore Piero Colombo, ancora una volta rimase ucciso, il 10 maggio 1943. Un secondo SAI 403 venne di sicuro prodotto nel luglio 1943(dopo anni di dubbi se questo davvero accadde), tanto che una foto di esso con le insegne tedesche lo ritrae certamente dopo l'armistizio. I SAI 207 e sopratutto 403 sembravano in un certo senso quei 'caccia della disperazione' modello He-162, da produrre in quantità enormi dato il basso costo.
Non era finita qui perché vennero anche ideati mezzi ancora più avanzati, ma stavolta un progetto nuovo. Erano i SAI.404, con motore IF Zeta a 24 cilindri a X, da 1.400 hp (motore che non sarà mai affidabile), con dimensioni di 9,44-10,8 m, 18 m2; pesi di 2.270-3-120 kg, prestazioni di 670 kmh a 7.500 m, salita a 6.000 m in 7,5 min, tangenza di 12.000 m e autonomia di oltre 1000 km. L'armamento era di 2 armi da 12,7 (700 cp) e 2 da 15 (340 cp colpessivi). Resterà sulla carta<ref>Lembo Daniele ''Un caccia leggero per la Regia'' Aerei nella Storia dicc gen 2004</ref>.
Stefanutti nel dopoguerra si dedicherà agli addestratori avanzati, come il Super 7, che surclasserà il Fiat G.46 grazie alla sua aerodinamica, venendo adottato in quantità dall' AMI postbellica.
Poi tenterà la fortuna con i caccia leggeri: il Sagittario I con struttura in legno e ali a freccia, motore di 400 kgs, era capace teoricamente di 1.300 kmh in picchiata, ma volava a metà di quella velocità e comunque era un dimostratore di tecnologia; l'affusolatissimo Sagittario II con motore da circa 1.500 kgs e velocità di oltre 1000 kmh, era capace di arrivare alla velocità del suono, d'essere molto maneggevole e rapido in salita, pesando poco più di 3 t; ma non verrà scelto a vantaggio del G.91R; l'Ariete aveva un turbogetto ausiliario per ovviare alla potenza insufficiente dell'unità motrice, ma questa macchina transonica era solo un altro passo in attesa di un caccia da mach 2, il Leone, con turbogetto e motore a razzo, del 1958. Ma era già l'era dell' F-104, macchina che certo ricordava le idee di velocità e aerodinamica che Stefanutti aveva inseguito con alterne fortune.
Caratteristiche S.403:
*'''Dimensioni''': lunghezza 8,2 m, apertura alare 9,8, altezza 2,9, superficie alare 14,46 m2
*'''Pesi''': 1.983-2.640 kg
*'''Prestazioni stimate''': 588 kmh a 7.000 m, tangenza 10.000 m, raggio 420 km
===Caccia Piaggio===
La Piaggio ebbe voce in capitolo anche nel settore caccia. Ovviamente con una proposta 'anticonvenzionale'. Prima studiò il '''P.118''' con due eliche controrotanti azionate da altrettanti motori radiali P.XI contrapposti a metà fusoliera. Questo era necessario per ottenere le linee aerodinamiche più avviate possibili dato che così si liberava il muso, cosa buona anche per le armi montabili, ostacolate solo dall'elica.
Uno studio meno 'eterodosso' portò invece ad un caccia simile ad un grosso P-39, ma con un motore più potente, il '''Piaggio P.119'''. Esso era costruito con criteri d'avanguardia, con lega leggera, pannelli d'accesso rapido, e altro ancora. Restava invece il carrello triciclo posteriore e la fusoliera era piuttosto tozza, seppure con l'abitacolo molto in avanti, perché il motore era di tipo radiale dato che la Piaggio non aveva che questo tipo di propulsori, in genere usati sopratutto per i bombardieri e trasporti. Il P.119 poteva essere un concorrente per i caccia serie '5', interamente autarchico in quanto prevedeva oltre al motore (basato parzialmente su progetti stranieri, come anche le mitragliere da 12,7), un cannone Breda da 20 mm, più potente dell'MG151 ma anche più lento e pesante. C'erano in tutto 4 armi da 12,7 mm e il cannone, con predisposizione per altre 4 da 7,7 nelle ali. Grande la quantità di carburante stivabile a bordo per un lungo raggio d'azione, mentre la velocità era di circa 620 kmh, ridotto il carico alare per via dell'ampia superficie. Il fatto è che quest'apparecchio, sia pure da molto tempo in 'gestazione', decollò solo il 19 dicembre del '42 e con armamento incompleto. Nell'agosto del '43 si danneggiò durante un atterraggio. Non era cosa grave, ma fu sufficiente. Del resto oramai i caccia 'serie 5' erano già in azione mentre il P.119 avrebbe richiesto ancora tempo per entrare in produzione. Ma di tempo non ce n'era più. Non pare che i Tedeschi rimasero molto interessanti a quest'apparecchio, nonostante la prevista possibilità di usare un motore potenziato a 1.700 hp per 640 kmh di velocità massima.
*'''Motore''': 1 Piaggio P.XXII RC.45 da 1.500 hp al decollo
*'''Dimensioni''': lunghezza 9,7 m, apertura alare 13 m, altezza 2,9 m, superficie 27,8 m2
*'''Pesi''': 2.750 kg, max. 4.100 kg
*'''Prestazioni''': 620 kmh a 5.500 m, crociera 400 kmh a 7.000 m, salita a 6.000 in 6,33 minuti, raggio d'azione max. 780 km, tangenza 12.000 m, autonomia 1.730 km
Non è chiaro se quest'aereo sarebbe stato mai passato in produzione di serie; piuttosto ne venne ricavato il progetto di un '''P.129''' con struttura convenzionale e motore DB-605, proposto al Ministero senza alcun successo, pur lavorando al progetto per quasi 1.800 ore.
Successivamente o quasi vi fu anche il progetto del '''P.132''', un cacciabombardiere convenzionale come struttura, ma con molte innovazioni tecniche, a cominciare dalla lega leggera (elektron) di cui era costruito -e che avrebbe certamente causato molto problemi di messa a punto-. Dopo molti studi al riguardo, non venne tuttavia concretizzato nemmeno un prototipo. Sarebbe stato, per la cronaca, motorizzato con un propulsore da 1.500 hp radiale Piaggio, capace di imprimergli oltre 600 kmh. Il peso a vuoto era limitato a 2.500 kg pur avendo: 2 cannoni da 20 mm MG151 e 2 Breda nel muso, e 4 MG 151 nelle ali (il tutto con abbondante munizionamento). Era previsto che fosse tanto leggero per avere margine di carico sufficiente per svolgere duelli aerei, attacco e aerosiluramento. Al solito per la Piaggio, si trattò di un progetto fin troppo audace e nessun prototipo venne mai allestito.
===I Caproni da caccia===
I '''[[w:Caproni-Vizzola F.5|Caproni-Vizzola F.5]]''' iniziarono una interessante e misconosciuta genia di caccia italiani. L'ennesimo caso di 'doppione' a cui venne data una piccola serie produttiva perché se i caccia Fiat, Reggiane e Macchi avrebbero monopolizzato la R.A, non si sarebbe negato nemmeno un contentino ad uno dei caccia presentatisi per il concorso per un nuovo monoplano da caccia. L'F.5 era di costruzione mista anziché metallica, ma costava anche poco; la sua ala era esente dall'autorotazione che affliggeva C.200 e forse anche il G.50. In ogni caso, veloce grazie ad una linea ravviata simile a quella diciamo di un Ki-43 giapponese, l'F.5 era anche molto maneggevole ed è un peccato che non sia stato posto in produzione di grande serie: nel combattimento simulato contro il G.50 pilotato da Carlo Guscagna (il fidanzato di Alida Valli), stracciò letteralmente il velivolo Fiat (su cui Carlo morirà nel '41 in una battaglia con gli Hurricane). Aveva oltretutto una radio come dotazione standard, e per questo accessorio venne destinato ad operare a difesa di Roma, anche come macchina notturna. Una dozzina gli apparecchi costruiti. Il tutto con pesi di 1.800-2.200 kg, dimensioni di 7,49 m x 11,26 m x17,40 m2. La versione di preserie realizzata in 12 esemplari aveva capottina aperta, aumentava la velocità da 496 kmh a 510 kmh e salita a 6.000 in 6,8 min. Il costo era di 295.000 lire verso le 380.000 di un Macchi MC.200.
La linea evolutiva ovviamente non si fermò qui, visto che ben presto ebbe luogo uno sviluppo con l' '''F.6''' munito del DB-601. Esso era capace di 550 kmh, ancora lento rispetto al metro di riferimento del Macchi 202, ma nondimeno all'altezza del Re.2001. Per farne una macchina più prestante venne riprogettato come aereo metallico, e così ebbe modo di fare i 570 kmh, pur portando 4 armi da 12,7 mm. Il peso era di 2.200-2.800 kg. Era quindi più veloce e anche più armato del Re.2001, e sebbene più lento del C.202, poteva esprimere il doppio della sua potenza di fuoco. Questo 'cambio' (30 kmh in meno per il doppio delle armi) era ben ragionevole visto che il Macchi era scarsamente armato, specie contro i quadrimotori. Oltretutto pare che il F.6, molto leggero, fosse capace di salire di quota più rapidamente e fosse più maneggevole. Il prototipo ligneo MM.489 volò il luglio del '40, quello con ala metallica nel settembre 1941, seguito dal prototipo con ala in legno sostuita con una metallica. Infine venne affidato alla difesa di Roma nel maggio 1942 con la 303a squadriglia, la stessa degli F.5. Non ebbe successo produttivo, come del resto non l'ebbe un F.6 con motore DB-605, novità del '42.
Altre versioni inutilmente proposte furono progettate: una delle più interessanti era l''''F.6Z''', con il motore I.F. da 1.250 hp, del tutto inaffidabile, ma l'aereo venne approvato il 16 giugno 1942, uscì dalla fabbrica il 19 luglio 1943 e venne poi requisito dai Tedeschi, forse prima ancora di volare per la prima volta. Modelli come l'F.7 con il DB-605 non si materializzarono, anche se due esemplari erano in produzione. Armamento previsto: 2x12,7 mm e 1x20 mm. Così si chiuse una genia di aerei che avrebbe meritato certamente 'un posto al sole', ma in pratica ebbero la peggio rispetto ai già molto numerosi concorrenti più referenziati, seppure la Caproni fosse all'epoca una grossa realtà industriale. Di fatto però furono maggiormente 'supportati' i più avanzati e costosi Reggiane.
===Romeo<ref>Sgarlato, Prototipi, op. cit.</ref>===
Quanto ai velivoli Romeo, vale la pena ricordare, tra gli esponenti delle 'tecnologie avanzate' il '''Ro.63''', aereo STOL simile allo Storch ma di prestazioni superiori, anche se leggermente inferiore come distanze di decollo e atterraggio. Forse nell'insieme era migliore nella sua categoria, anche se non ebbe mai armi difensive; ma sopratutto, di quest'apparecchio, approntato già nel 1940 e in servizio dal '41, ne vennero prodotti solo 6 dato che scarseggiavano i motori Hirth (gli stessi dello Storch) disponibili. Così furono decimati ed entro il settembre 1943 ne rimase solo uno. Sostituire i motori originali con gli Isotta Fraschini fu un fallimento, perché erano del tutto inaffidabili. Così gli Italiani comprarono 29 Storch che furono i principali aerei STOL, anche se in termini 'strategici' di velocità e autonomia erano inferiori al Romeo. Nel dopoguerra si cercarono i piani per rilanciarne la produzione, ma i disegni erano andati persi e non se ne fece niente.
*'''Motore''': 1 Hirt HM.508D da 280 hp
*'''Dimensioni''': lunghezza 9,82 m, apertura alare 13,5 m, altezza 3,1 m, superficie 26,5 m2
*'''Pesi''': 1.060 kg, max. 1.500 kg
*'''Prestazioni''': 55-220 kmh, tangenza 7.000 m, autonomia 900 km
Il caccia pesante '''Ro.57''' era un buon velivolo, utilizzato inizialmente come caccia a lungo raggio. Onestamente, se la velocità di oltre 500 kmh era buona per i due motori da 800 hp che aveva, l'armamento di due Breda da 12,7, come sui caccia monoposto, era troppo poco. La maneggevolezza non cambiava molto le cose. Piuttosto nel prosieguo della guerra si pensò di farne un bombardiere in picchiata, senza molto successo se non quello di aumentarne il peso e ridurne le prestazioni a circa 450 kmh, rendendo quest'apparecchio monoposto assai vulnerabile.
Per superarne le deficienze venne posto mano al '''Ro.58''', un caccia pesante con i DB-605. La velocità salì a ben 605 kmh, anche se pare che il prototipo montasse solo i DB-601. L'armamento era di 3 cannoni (previsione per 5) e una mtg da 12,7 per la difesa posteriore. Il prototipo venne pare munito solo di 3 mtg da 12,7 mm più quella difensiva, d'altro canto aveva solo DB-601 di seconda mano. In ogni caso, la messa a punto fu difficile e persino pericolosa; l'aereo, tanto per cambiare, rimase esemplare unico, facendo di peggio che i Ro.57, almeno prodotti in una piccola serie -90 esemplari.
Pare (ma i dettagli sono molto incerti) che esso venne confrontato favorevolmente contro il Me.410, quanto per merito del primo o per il demerito del secondo (che pure sulla carta era un velivolo formidabile) è difficile dire. Di fatto era un'alternativa ai caccia pesanti più complessi, e anche questo conta: macchine cioè come il G.58, Reggiane 2005 Bifusoliera, SM.91 e 92. Era tutto sommato più semplice eppure sufficientemente armato e prestante. E forse non era un caso se somigliasse di più dello stesso Me.410 all'originario Bf-110, aereo sbeffeggiato dalla propaganda inglese ma in realtà molto valido (e il Bomber Command ne seppe qualcosa, visto che passato alla caccia notturna gli abbatté qualche migliaio di bombardieri). Per esempio nel caso del piano di coda doppio, anche per migliorare l'efficacia dell'armamento difensivo dorsale con maggior campo di tiro.
*'''Motore''': 2 DB-601 usati (previsti 2 DB-605)
*'''Dimensioni''': lunghezza 9,89 m, apertura alare 13,4 m, altezza 3,39 m, superficie 26,2 m2
*'''Pesi''': 4.350 kg, max. 6.100 kg
*'''Prestazioni''': 605 kmh, salita a 6.000 m in 9 min, autonomia 1500 km
Con quest'aereo si chiude la lunga e a tratti interessante serie dei Romeo, apparecchi in genere considerati come 'di seconda mano' o quantomeno di 'seconda linea', semplici e robusti anche se non certo molto avanzati.
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