Armi avanzate della Seconda Guerra Mondiale/Italia 1: differenze tra le versioni

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===I Savoia-Marchetti<ref>Sgarlato, 'Prototipi della R.A.', op. cit</ref>===
La Savoia-Marchetti è famosa sopratutto per i suoi robusti e spesso veloci trimotori, che in ogni caso hanno una struttura tutt'altro che rivoluzionaria. L'S.M.79 è il più noto, come bombardiere e racer nel periodo prebellico, come aerosilurante dopo; ma c'erano molti altri progetti, e benché la gran parte fossero di tipo tradizionale, non mancarono anche tentativi di 'strappo' con modelli del tutto nuovi.
 
===Caccia pesanti Savoia-Marchetti===
Andiamo con ordine numerico-funzionale, si arriva ad uno schieramento di modelli realmente impressionante, certamente il più consistente di tutta la produzione bellica italiana.
merita certamente ricordare il bombardiere leggero multiruolo '''[[w:S.M.88|S.M.88]]''', di cui volò anche un prototipo. Era un velivolo bimotore, con alcune caratteristiche interessanti. Volò già nel 1939, quindi assieme ai vari Re.2000, Z.1018, P.108 ecc. era la 'nuova generazione' apparsa immediatamente prima della guerra. Era una sorta di bombardiere-caccia pesante bifusoliera con 3 persone di equipaggio, tutti nella navicella centrale, appesa tra le fusoliere. Aveva un tettuccio largamente vetrato e due motori DB-601, ma la struttura, specialità della SIAI-Marchetti, era ancora mista con scheletro in legno e copertura metallica. Inteso più che altro come aereo export, aveva d'interessante che il pilota si sdraiava nel muso e diventava il bombardiere, mentre il secondo pilota prendeva il comando dell'aereo; il cannoniere aveva un'arma da 12,7 mm difensiva, altre due erano offensive, montate nelle ali. Il tutto era assai prestante, ma questa costruzione originale e di basso costo aveva motori tedeschi, il cui export venne proibito.
 
Tra i tanti tipi del 'crepuscolo' della R.A. non vanno certo dimenticati gli '''S.79 Bis''', con motori da 920 hp, rimozione della gondola ventrale, serbatoi aumentati così come la velocità di 475 kmh, che furono gli aerosiluranti standard dell'ultima parte della guerra, e che tentarono nel '44 anche un attacco a Gibilterra con 10 aerei. Anche se i danni rivendicati (oltre 40.000 t di naviglio affondato) sono sempre stati smentiti dagli Inglesi (in effetti, non sarebbe stato facile nascondere la perdita di 4 grosse navi nel porto), l'azione, con un volo di 2.700 km dalla Francia lungo le coste della neutrale Spagna -reso possibile da un grosso quantitativo di carburante extra-, fu un colpo psicologico notevole. Anche se si trattò, più che altro, di un colpo di coda visto che gli aerosiluranti italiani non tornarono più in azione, almeno non con tali voli strategici.
 
'''[[w:S.M.86|S.M.86 Sagitta]]''': come già accennato, l'S.M.85 era tutto fuorché un eccellente apparecchio bellico, anzi era a malapena considerabile come aereo da combattimento. Cercare di migliorarlo, già nel 1938 si pensò all'S.M.86W con i motori Walter Sagitta a 12 cilindri a V da 600 hp, 500 a 3.800 m. Questi motori cecoslovacchi, che per la cronaca sono stati estrapolati anche dai D.H. Gibsy King inglesi, permettevano prestazioni superiori e l'MM.397 volò per la prima volta nella primavera del '40, a Vergiate. Quindi era già una realtà allo scoppio della guerra. Il prototipo venne anche usato in guerra dal 96° Gruppo su Malta, iniziando le operazioni offensive il 15 settembre. Fece poche missioni, non combinò molto e nell'insieme dev'essersi dimostrato un miglioramento modesto. Il 17 agosto 1941 ne venne ordinata la demolizione. Il suo collaudatore, del resto, era rimasto ferito su di un Ju-87 durante un'altra missione per cui il suo destino era segnato anche da cause esterne. Un secondo prototipo volò solo il 7 agosto 1941 e doveva rappresentare la versione di serie, ma nonostante ordini per 12, poi 64 esemplari, la sua carriera rimase al palo.L'aereo di per sé era aggraziato, con un cupolino ad ampia visuale per il pilota, ma forse un bimotore era troppo costoso per portare una bomba di media grandezza. Inoltre era totalmente privo di difesa contro i caccia nemici.
 
*'''Dimensioni''': lunghezza 10,85 m, apertura alare 15 m, altezza 3,86 m, superficie alare 30,8 m2
*'''Pesi''': 3.357-5.077 kg
*'''Prestazioni''': V.max 412 kmh a 4.000 m, salita a 4.000 m 14 min 17 sec, tangenza 6.300 m, raggio 770 km, autonomia 1.700 km
*'''Armi''': bomba da 500 kg.
 
 
Dopo quest'apparecchio, merita certamente ricordare il bombardiere leggero multiruolo '''[[w:S.M.88|S.M.88]]''', di cui volò anche un prototipo. Era un velivolo bimotore, con alcune caratteristiche interessanti. Volò già nel 1939, quindi assieme ai vari Re.2000, Z.1018, P.108 ecc. era la 'nuova generazione' apparsa immediatamente prima della guerra. Era una sorta di bombardiere-caccia pesante bifusoliera con 3 persone di equipaggio, tutti nella navicella centrale, appesa tra le fusoliere. Aveva un tettuccio largamente vetrato e due motori DB-601, ma la struttura, specialità della SIAI-Marchetti, era ancora mista con scheletro in legno e copertura metallica. Inteso più che altro come aereo export, aveva d'interessante che il pilota si sdraiava nel muso e diventava il bombardiere, mentre il secondo pilota prendeva il comando dell'aereo; il cannoniere aveva un'arma da 12,7 mm difensiva, altre due erano offensive, montate nelle ali. Il tutto era assai prestante, ma questa costruzione originale e di basso costo aveva motori tedeschi, il cui export venne proibito.
 
*'''Dimensioni''': lunghezza 12,1 m, apertura alare 14,5 m, altezza 3,5 m, superficie alare 32,5 m2
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Tra i grandi apparecchi plurimotori, il successore dell' S.M.79 era il più potente '''[[w:S.M.84|S.M.84]]''', che tuttavia dimostrerà difetti molto seri, scarsa stabilità, affidabilità, maneggevolezza. Come il Fairey Albacore con lo Swordfish, fallì nel tentativo di sostituire il bombardiere-silurante da cui derivava. Volando nel 1940, entrò in azione nel '41 rimpiazzando per lo più i BR.20. Come l'Albacore britannico, anche qui l'unico grande successo fu il danneggiamento di una corazzata, la HMS Nelson. Ma mentre nel caso dell'aereo inglese, si trattò di una vittoria pagata con la perdita di un solo aereo (quello che si avvicinò per silurare), nel caso degli aerei italiani, l'azione (sempre del '41, tanto per continuare il parallelo) vide decimato il 36° Stormo, che perse 6 aerei con almeno 30 aviatori tra cui Helmut Seidl, comandante dello Stormo. Inoltre agli Inglesi non comporterà nessun aggravio il danneggiamento della loro corazzata, agli Italiani costerà una catena di eventi culminata con Matapan e i suoi 3 mila morti e prigionieri (equipaggi di 3 incrociatori e due caccia distrutti dagli Inglesi).
 
===I caccia SAI-Ambrosini<ref>Sgarlato, Nico Op. cit</ref>===
L'S.M.84 venne costruito in circa 300 unità, delle quali solo una trentina erano ancora attive al luglio del '43, quando si opposero, con forti perdite, all'invasione Alleata. E le prestazioni dell' SM.84, pure capace di 3.000 hp complessivi, sono state largamente sbugiardate dalle azioni pratiche. La relazione presentata all'epoca dei fatti da parte della stessa R.A., dice infatti che l'S.M.84, in teoria capace di 467 kmh a pieno carico, 8.000 m di tangenza, oltre 5 ore di autonomia a 397 kmh, in pratica volava a 280 kmh (in crociera, visto che in salita erano indicati pur sempre 250 kmh), 4.400 m -non per tutti gli aerei-, meno di 4 ore di autonomia, il tutto con un carico minimale di circa 500 kg di bombe. Questo comportava anche 2 t di prezioso carburante per una missione ad appena 400 km di distanza: l'80% del carburante per assicurare la metà del raggio d'azione con la metà del carico teorici. E notare bene, tutto ciò si riferisce alla versione migliorata 'Bis'. Non stupisce che l'SM.79 Bis, opportunamente modificato e con motori da 920 hp, lo abbia superato in prestazioni, così come il CANT Z.1007 Ter. Ancora durante l'Armistizio gli SM.84 presenti erano 150 circa, ma quasi nessuno in servizio di prima linea, nonostante le perdite di bombardieri subite<ref>Per questo aereo, è usata anche Lembo, Daniele:''SM 84: il fratello 'stupido' dell'S.79'',Aerei nella Storia giu-lu 2002</ref>.
[[Immagine:SS.4.JPG|200px|right|thumb|Disegno a 3 viste SS.4]]
La [[w:SAI-Ambrosini|SAI-Ambrosini]] di Passignano sul Trasimeno non era certo tra le ditte aeronautiche più famose e dalla maggiore produzione. Eppure nel febbraio del 1939 mandò in aria uno dei caccia più innovativi mai tentati nella storia dell'aviazione: l'[[w:SAI Ambrosini SS.4|SS.4]]. Il suo progettista, Sergio Stefanutti, non sarebbe stato destinato a lasciare una traccia importante al pari di molti suoi colleghi di altre ditte più blasonate; eppure era un grande interprete degli studi di aerodinamica avanzata, come dimostrò con le sue realizzazioni. Queste compresero alcuni aerei sperimentali, dalla potenza ridotta, chiamati 'Anatra' perché in configurazione canard, vecchia tipologia di costruzione aeronautica, che in sostanza implica che i comandi orizzontali di coda siano spostati davanti alle ali, il che a sua volta implica che il motore sia sistemato dietro,con l'elica spingente. Rielaborando questo tipo di configurazione, oramai abbandonata, Stefanutti volle cercarne i vantaggi: la risposta pronta ai comandi e la rapidità di decollo; meno interessanti le doti velocistiche visto che si trattava di progetti piuttosto 'resistenti' in termini aerodinamici. In pratica il suo velivolo è stato l'antisignano dei caccia 'canard' moderni. La sua struttura scintillava nella finitura grigio argenteo, probabilmente non c'era affatto vernice, dato che le dolci acque del Trasimeno non causano la corrosione tipica dell'ambiente marino. Forse l'aereo venne caricato sulla ferrovia che ancora oggi passa proprio radente agli stabilimenti della vecchia SAI, che confinano con la locale stazione; e venne da lì portato al primo volo dato che a Passignano presumibilmente non c'é mai stato un vero aeroporto. Ma poco male, perché era ed è presente un'ampia superficie di volo nella vicina Castiglione del Lago, dove aveva sede l'aeroporto 'Eleuteri', uno dei più grandi disponibili nella penisola, anche se con funzioni di scuola. Era attivo già dagli anni '20 ed era ricco di palazzine realizzate con molto gusto, tanto che persino la centrale elettrica sembrava un edificio abitativo. La presenza di quest'aereo deve avere impressionato molto chi lo vide. L'SS.4 era un monoplano con struttura interamente metallica -altra innovazione per gli standard italiani- e dato il motore posteriore, aveva un carrello triciclo anteriore, come gli aerei a reazione moderni. I piani di coda, alla fine della corta fusoliera, erano due sulle ali. Queste erano a loro volta, per 'lasciare' posto all'elica e motore, vagamente a freccia. Il motore era un Isotta-Fraschini Asso IX potenziato a circa 960 hp, con elica tripala metallica e due prese d'aria laterali sulla fusoliera a mò di aviogetto, sopratutto per raffreddarlo. Insomma, un velivolo rivoluzionario, nonostante fosse nient'altro che la 'riedizione' di un vecchio concetto. Anche la sua realizzazione non partiva dal niente, visto che la SAI esisteva, dopo lo spostamento di una ditta perugina a Passignano (all'epoca si producevano anche idrovolanti) già dal 1916 e all'epoca era forse già impegnata nella produzione del Macchi 200 (e poi forse anche del 202). Per questo ebbe l'incarico di realizzare la MM.387, che era stata a quanto pare concepita a Guidonia, dove lavorava inizialmente Stefanutti, con una cellula per prove statiche e vari studi dal '36 al '39.
 
Ma già (forse al secondo volo), il 9 marzo, si staccò una superficie di controllo e il velivolo precipitò tra Castiglione del Lago e Pozzuolo, dove a tutt'oggi esiste ancora una lapide dedicata ad Ambrogio Colombo. Il motore posteriore lasciava libero il muso di portare un pesante armamento -inizialmente si era detto un cannone da 30 e due da 20, ma oramai sembra appurato che in realtà fossero un cannone da 20 e due da 12,7, solo queste ultime armi davvero istallate. Tuttavia il motore era sistemato dietro e in caso di incidente poteva fare da 'martello' schiacciando il pilota contro il terreno, invece di fare l' ariete e proteggerlo, come accadde quel giorno. Si stabilì che la superficie di controllo era stata montata male, ma di fatto questa formula rivoluzionaria non era tanto gradita e le sorprese nella messa a punto, dalle vibrazioni al surriscaldamento, sarebbero state notevolmente spiacevoli, come sperimentarono anche giapponesi e americani che poi tentarono un approccio simile. Inoltre la visibilità, ottima anteriormente (ma non verso il basso), era limitata alle spalle, svantaggio tattico non da poco. L'aereo si poteva far decollare e atterrare senza problemi visto la bassa velocità e il carrello triciclo che portava la fusoliera ad essere parallela al terreno; ma per abbandonare la macchina, o si tentavano atterraggi d'emergenza correndo i rischi di cui sopra, oppure si saltava col paracadute, ma senza il seggiolino eiettabile si rischiava grosso con l'elica posteriore se ancora in movimento (per questo i sedili eiettabili vennero installati sul tedesco Do.335). Al dunque, un velivolo come il convenzionale D.520, che aveva quasi la stessa potenza, aveva pure quasi le stesse prestazioni e armamento. Non c'era la convenienza di costruire un caccia del genere, dalla difficile messa a punto e intrinseca pericolosità. Eppure si può solo provare ad immaginare che sarebbe successo se l'SS.4 fosse stato ordinato in quantità e davvero entrato in servizio attorno al 1940-41: si sarebbe dimostrato al fine funzionale? Gli altri belligeranti avrebbero iniziato la corsa al 'canard'? Chi può dirlo. Di fatto una configurazione del genere ha cominciato a funzionare bene solo con i motori a getto, magari con comandi computerizzati, partendo dal Viggen e dal Gripen di decenni dopo.
 
Lo stesso Stefanutti, però, non fu tanto convinto nel continuare nella via e ritornò a mettere la sua competenza su progetti più tradizionali. Così questo progetto avanzato ebbe in sorte di apparire e sparire prima ancora che la guerra scoppiasse.
 
Il caccia leggero era in auge, quantomeno da quando il francese '''Caudron 714''' aveva dimostrato che si poteva volare a quasi 500 kmh con appena 450 hp di potenza installata, sia pure accettando delle limitazioni. Memore del suo SAI 7, che venne prodotto in due esemplari nel '39 e si piazzò a ridosso del Bf-108 tedesco all'avioraduno di Rimini (in cui gli italiani temevano di sfigurare davanti ai nuovi aerei tedeschi), era un velivolo da turismo biposto che poco dopo un mese ottenne il record mondiale di velocità per aerei leggeri sui 100 km (392kmh). Aveva una particolare cappottina a bolla che si estendeva fino al muso per ridurre la resistenza. Nel contempo, un modello d'addestramento militare venne richiesto e prodotto con un IF Beta, raggiungendo 399 kmh.
 
Stefanutti produsse un aereo che rimase essenzialmente prototipo, il '''[[w:SAI S.107|SAI S.107]]''', che aveva poco più di 500 hp disponibili. Su di questo leggerissimo apparecchio, pesante a vuoto circa 1.000 kg, il tettuccio era di forma aerodinamica, allungato fin sul cofano motore. Poi venne modificato in un tipo convenzionale, trasformandolo in un caccia leggero a tutti gli effetti con altre modifiche. Volò nel settembre del '40 a Castiglione del Lago (MM.441) con un IF Gamma a 12 cilindri da 515 hp.
 
Ma al dunque, la conseguenza di questo sarebbe stato solo che durante i voli rimase ucciso il grande trasvolatore Arturo Ferrarin. Decisamente non stava andando bene con i caccia per Stefanutti e la SAI. La migliore e anche l'unica soddisfazione fu che fu proprio Stefanutti a riprogettare l'ala del C.200 rendendolo un velivolo sicuro da volare, scevro di quella tendenza a cadere in autorotazione che uccise diversi piloti, e rendendo l'aereo un affidabile capostipite per la serie dei Macchi, i più importanti caccia italiani.
 
Continuando lo sviluppo dei suoi caccia leggeri Stefanutti realizzò il SAI S.207, che volò sempre nell'autunno del '40, ottimo per velocità grazie alla finezza aerodinamica, e al motore IF Delta RC.40 che era un tipo capace di unire i due vantaggi tipici di motori a cilindri in linea e radiali: dei primi aveva il ridotto ingombro, dei secondi il leggero raffreddamento ad aria tramite una presa d'aria sotto l'elica tripala. Era un bel velivolo, che aveva una velocità variamente indicata: alcune fonti originariamente gli davano 625 kmh, ovvero grossomodo come un Bf-109F4 con motore da 1.300 hp; altre fonti più recenti gli danno un più ragionevole valore di 575 kmh, che è inferiore ai 599 del C.202 ma ancora superiore ai 545 del Re.2001. La struttura era adesso di un tipo speciale 'autarchico' in legno, che però era di una varietà di albero americano (lo spruce), quindi non così 'autarchico'.. la velocità di picchiata, a causa della finezza, era alta, non così la salita, dove l'aerodinamica non poteva compensare la scarsa potenza dei 750 hp ad una macchina di 1.750-2.300 kg. La messa a punto fu lunga e laboriosa, e al solito, pretese una vittima tra i collaudatori, Faccioli, il 5 dicembre 1940. Un secondo pilota, Tassinari, raccontava invece di come il SAI 207 fosse un velivolo 'da corsa' scattante e nervoso, ma per essere più aerodinamico possibile aveva un'ala piccola, troppo caricata; inoltre, e sopratutto, il motore tendeva a surriscaldare, specie i cilindri posteriori. Stefanutti proponeva modifiche al progetto, che però Ambrosini respingeva. L'aereo era considerato tanto poco sicuro che si cominciò a farlo volare 'fuori vista' per non rimediare pubbliche figuracce se fosse caduto.. Tassinari un giorno provò l'aereo in volo durante una picchiata. Richiamando, il carrello di un'ala si sbloccò dal suo recesso. Per risparmiare peso non c'era una carenatura interna e il flusso dell'aria entrò violentemente nell'ala, facendone esplodere la parte posteriore e mandando fuori uso gli alettoni; Tassinari fu costretto a saltare col paracadute per finire nelle placide acque del lago. Rischiò di allungare l'elenco degli annegati del Trasimeno (insospettabilmente lungo), perché le funi del paracadute lo legarono e lo portarono giù, ma venne salvato da una barca di pescatori. L'S.207 non era certo un aereo destinato a fare storia, e i piloti guardavano con un certo fastidio un velivolo di costruzione lignea e con tempi di salita ridotti, anche se era molto veloce e armato come un caccia 'normale' (due da 12,7 mm), pur costando molto meno. Una dozzina venne messa in servizio, ma oramai era solo il 1943, iniziando a volare da Castiglione. I piani per produrne una moltitudine furono frustrati dall'Armistizio, che pose fine alla sua insignificante carriera. In tutto ne vennero costruiti 2 prototipi e 12 di serie.
 
 
Per migliorare le cose si stava pensando, durante la lunga messa a punto dell' S.207, ad un tipo con ala più grande e quindi, più maneggevole: l''''S.403 Dardo''' (progettato dall'ing Silva) dell'aprile 1943. Questo era un velivolo costruito con un legno autarchico (stavolta per davvero), aveva un'ala più grande ed era di qualcosa più perfezionato, sempre con l'elegante fusoliera molto affinata, specie nella parte posteriore, per ridurre la resistenza. Si è detto che l'armamento previsto era di due cannoni da 20 (con 200 cp l'uno) e due mtg da 12,7 mm, rispettivamente nelle ali e nel muso, come sul Macchi 205V; ma non è chiaro se venne mai montato tale armamento. Le prestazioni, originariamente venivano indicate in ben 650 kmh, paragonabili ai primi Macchi 205V. Ora la cosa è molto poco credibile visto che il motore era rimasto lo stesso per un aereo più pesante e con maggiore resistenza aerodinamica, quindi caso mai doveva essere più lento del '207. E infatti ci sono anche fonti che parlano di 560-588 kmh. In ogni caso doveva essere abbastanza valido per meritare l'idea di esser prodotto in quantità: 300 all'Ambrosini, 150 alla SIAI-Marchetti e poi altri 600. Anzi, vi sono fonti che parlano di 3.000 aerei ordinati, in luogo dei 2.000 SAI207 precedentemente richiesti. Non è chiaro dove sia la verità. Anche i giapponesi si interessarono al SAI 403, che pesava 19.83-2.640 kg contro i 1.750-2.415 del '207, con dimesioni di 8,02-9,8-14,46 m2 contro rispettivamente 8,02-9-13,9 m2. Il carico alare era apparentemente almeno analogo rispetto al '207.
 
Tra le incongruenze citate sulle prestazioni, la salita era adesso, a 6.000 m, di 6'40 sec anziché 7 min 34 sec; per contro la tangenza scendeva da 12.000 a 10.000 m.
 
Ma tutto questo è accademia, perché durante una picchiata di collaudo, successe che le ali si staccarono e il collaudatore Piero Colombo, ancora una volta rimase ucciso, il 10 maggio 1943. Un secondo SAI 403 venne di sicuro prodotto nel luglio 1943(dopo anni di dubbi se questo davvero accadde), tanto che una foto di esso con le insegne tedesche lo ritrae certamente dopo l'armistizio. I SAI 207 e sopratutto 403 sembravano in un certo senso quei 'caccia della disperazione' modello He-162, da produrre in quantità enormi dato il basso costo.
Dall'SM.84 nacque però un nuovo aereo, che vale la pena di ricordare: l''''[[w:S.M.89|S.M.89]]'''. Questo era un vero 'incrociatore aereo', con un'ampia capacità d'armamento. La struttura era sempre di tipo misto, ma i motori erano stati ridotti a 2, i potenti Piaggio P.XII Tornado da 1.500 hp. Così nel muso c'era spazio per due potenti cannoni automatici Breda da 37 mm e tre Breda da 12,7 mm, altre due infine erano nella postazione ventrale e dorsale (tipo IX telecomandato e tipo V). Non si sa bene quando l'aereo volò per la prima volta: forse l'autunno del '41 o la primavera del '42. Ad ottobre venne trasferito a Guidonia, nel centro sperimentale. Qui il velivolo, MM.533, rimase un pò; poi Moggi lo portò a Furbara per le prove di tiro. L'aereo prometteva bene quanto a potenza. Di fatto era molto simile, come concezione, ad un grosso Hs.129. Come questo era dotato di un abitacolo minuscolo, con il muso abbassato e piuttosto piccolo per migliorare la visibilità dell'abitacolo. La corazzatura era impressionante: 300 kg di acciaio per parte anteriore più il parabrezza blindato, 300 kg per i motori, 80 kg soltanto per la corazza posteriore. V'erano poi anche i serbatoi semapizzati (autostagnanti), sei da 2.700 l. I collaudi dell'aereo iniziarono con un solo cannone, l'altro venne poi prelevato da un FC.20 presente. Venne usato anche contro carri armati. Però il suo compito era di bombardiere-distruttore, anche come caccia. Venne considerato una piattaforma di tiro stabile, e mandato in carico alla 173a Squadriglia. Ma i piloti si avvidero che era talmente pesante, che bisognava volarlo con assetto cabrato per non perdere quota, il che rese fantascientifico (a parte le prestazioni ridotte) il compito di caccia pesante. Nonostante che avesse la stessa potenza dell' SM.84 con minor peso, si dimostrò quindi un fallimento. Avrebbe dovuto rinunciare o alle corazze, o all'armamento: le prime erano incompatibili con un caccia. In teoria con una rimotorizzazione con gli Alfa RC.135 le cose sarebbero migliorate, ma un'aereo del genere avrebbe necessitato di motori affidabili da circa 2.000 hp per essere davvero valido, cose che in Italia non erano disponibili.
 
Non era finita qui perché vennero anche ideati mezzi ancora più avanzati, ma stavolta un progetto nuovo. Erano i SAI.404, con motore IF Zeta a 24 cilindri a X, da 1.400 hp (motore che non sarà mai affidabile), con dimensioni di 9,44-10,8 m, 18 m2; pesi di 2.270-3-120 kg, prestazioni di 670 kmh a 7.500 m, salita a 6.000 m in 7,5 min, tangenza di 12.000 m e autonomia di oltre 1000 km. L'armamento era di 2 armi da 12,7 (700 cp) e 2 da 15 (340 cp colpessivi). Resterà sulla carta<ref>Lembo Daniele ''Un caccia leggero per la Regia'' Aerei nella Storia dicc gen 2004</ref>.
Dopo che i Tedeschi presero possesso dell'aeroporto di Foligno, nel settembre '43, dell'aereo si persero le tracce.
 
Stefanutti nel dopoguerra si dedicherà agli addestratori avanzati, come il Super 7, che surclasserà il Fiat G.46 grazie alla sua aerodinamica, venendo adottato in quantità dall' AMI postbellica.
*'''Dimensioni''': lunghezza 16,85 m, apertura alare 21,04 m, altezza 4,5 m, superficie alare 61 m2
*'''Pesi''': 8.800-12.635 kg
*'''Prestazioni''': 440 kmh a 4.300 m, tangenza 6.700 m, salita a 3.000 m in 9,25 minuti;raggio 720 km, autonomia 1.600 km
*'''Armamento''': 2 cannoni Breda da 37 mm, 5 Breda da 12,7 mm, 700 spezzoni da 2 kg, o bombe o un siluro<ref>Per questo aereo, è usata anche Lembo, Daniele:''SM 89 e FC 20: i Distruttori della Regia Aeronautica'',Aerei nella Storia Feb-mar 2006</ref>.
 
Poi tenterà la fortuna con i caccia leggeri: il Sagittario I con struttura in legno e ali a freccia, motore di 400 kgs, era capace teoricamente di 1.300 kmh in picchiata, ma volava a metà di quella velocità e comunque era un dimostratore di tecnologia; l'affusolatissimo Sagittario II con motore da circa 1.500 kgs e velocità di oltre 1000 kmh, era capace di arrivare alla velocità del suono, d'essere molto maneggevole e rapido in salita, pesando poco più di 3 t; ma non verrà scelto a vantaggio del G.91R; l'Ariete aveva un turbogetto ausiliario per ovviare alla potenza insufficiente dell'unità motrice, ma questa macchina transonica era solo un altro passo in attesa di un caccia da mach 2, il Leone, con turbogetto e motore a razzo, del 1958. Ma era già l'era dell' F-104, macchina che certo ricordava le idee di velocità e aerodinamica che Stefanutti aveva inseguito con alterne fortune.
 
Caratteristiche S.403:
Tornando ai bombardieri in picchiata, la Savoia-Marchetti ideò un veloce bombardiere in picchiata, tale '''[[w:S.M.93|S.M.93]]'''. Dopo la sperimentazione con un S.M.85 con abitacolo con pilota in posizione prona, per resistere meglio le accelerazioni, che peraltro era molto scomoda per i piloti. Con un potente motore DB-605, biposto, con pilota prono sul piano del motore (era praticamente steso sopra) e mitragliere, era una macchina veloce. Pare che ne vennero ordinati 2 esemplari, ma solo il gennaio 1944 ne vide uno in volo per 16 missioni fino al 29 marzo 1944. Dopo venne fermato dai Tedeschi e demolito dopo che il 31 maggio 1945 gli Alleati lo ritrovarono, ultimo aereo da combattimento di Alessandro Marchetti. Era un velivolo interessante, capace in picchiata di arrivare ad alte velocità, con un grosso abitacolo vetrato ma con tetto opaco. Come prestazioni era grossomodo paragonabile al bombardiere navale D4Y giapponese, quindi molto alte. Ma oramai era tutto inutile, la guerra era perduta.
*'''Dimensioni''': lunghezza 8,2 m, apertura alare 9,8, altezza 2,9, superficie alare 14,46 m2
*'''Pesi''': 1.983-2.640 kg
*'''Prestazioni stimate''': 588 kmh a 7.000 m, tangenza 10.000 m, raggio 420 km
 
*'''Dimensioni''': lunghezza 10,93 m, apertura alare 13,9 m, altezza 3,8 m, superficie alare 31 m2
*'''Pesi''': 3.610-5.550 kg
*'''Prestazioni''': 535 kmh a 6.800 m, tangenza 8.200 m, salita a 6.000 m in 13 minuti ;raggio 720 km, autonomia 1.600 km
*'''Armamento''': 1 MG-151 da 20 mm, 3 Breda da 12,7 mm (una difensiva), teoricamente 820 kg di bombe (presumibilmente o una da 800 kg, o una da 500 kg sotto la fusoliera, due da 160 kg sotto le ali).
 
===Caccia Piaggio===
C'é infine da ricordare l''''[[w:S.M.95|S.M.95]]''', per una volta quadrimotore e non trimotore, un aereo da trasporto civile che, appositamente modificato, potrebbe garantire, carico di carburante, 11.000 km con 500 kg di carico. Questo avrebbe potuto fare, assieme ad equipaggi d'eccezione, addirittura una missione d'attacco oltreoceano, contro New York. Missione puramente simbolica, chiaramente, ma: a New York c'erano oltre un milione di italo-americani e italiani, cosa che non era certo fatto da dimenticare; e poi c'era il rischio che gli Americani per rappresaglia distruggessero le città italiane, già sotto le bombe. La missione, così ardimentosa, era quasi pronta per il settembre del '43, ma non se ne fece nulla. Mussolini, anche vedendo il carico di bombe tanto ridotto -oltre che per i motivi di cui sopra- richiese che si lanciassero solo manifestini di propaganda. Gli Americani sarebbero stati costretti ad aumentare le risorse per la propria difesa nazionale limitando le forze proiettabili all'estero. Ma dopotutto, questo lo facevano già contro i sottomarini dell'Asse e in seguito, contro i palloni giapponesi 'da bombardamento' Fu-Go. Al dunque questa missione non ebbe mai realizzazione, da fare eventualmente partendo dalla Francia settentrionale. Anche i Tedeschi ci provarono, con aerei specifici, come i Me.264 e in seguito gli esamotori Ju 290. Ma anche qui non ci fu nessun risultato: le distanze atlantiche erano troppo grandi per chiunque e anche oggi solo il rifornimento in volo rende possibile pensare ad azioni sopra l'Atlantico. Gli unici che forse ce la potevano fare sarebbero stati i B-36 americani e i Tu-95 sovietici, ma questo aveva anni per concretizzarsi. Può sembrare quindi una missione eccessivamente ambiziosa, ma del resto nel '39 un SM.75 speciale ottenne un record di autonomia di oltre 12.000 km, proprio la distanza necessaria per un'azione operativa sopra l'Atlantico<ref>Pedriali, Ferdinando: ''Le fortezze volanti italiane della II GM'' RID Novembre 1991</ref>.
La Piaggio ebbe voce in capitolo anche nel settore caccia. Ovviamente con una proposta 'anticonvenzionale'. Prima studiò il '''P.118''' con due eliche controrotanti azionate da altrettanti motori radiali P.XI contrapposti a metà fusoliera. Questo era necessario per ottenere le linee aerodinamiche più avviate possibili dato che così si liberava il muso, cosa buona anche per le armi montabili, ostacolate solo dall'elica.
 
Uno studio meno 'eterodosso' portò invece ad un caccia simile ad un grosso P-39, ma con un motore più potente, il '''Piaggio P.119'''. Esso era costruito con criteri d'avanguardia, con lega leggera, pannelli d'accesso rapido, e altro ancora. Restava invece il carrello triciclo posteriore e la fusoliera era piuttosto tozza, seppure con l'abitacolo molto in avanti, perché il motore era di tipo radiale dato che la Piaggio non aveva che questo tipo di propulsori, in genere usati sopratutto per i bombardieri e trasporti. Il P.119 poteva essere un concorrente per i caccia serie '5', interamente autarchico in quanto prevedeva oltre al motore (basato parzialmente su progetti stranieri, come anche le mitragliere da 12,7), un cannone Breda da 20 mm, più potente dell'MG151 ma anche più lento e pesante. C'erano in tutto 4 armi da 12,7 mm e il cannone, con predisposizione per altre 4 da 7,7 nelle ali. Grande la quantità di carburante stivabile a bordo per un lungo raggio d'azione, mentre la velocità era di circa 620 kmh, ridotto il carico alare per via dell'ampia superficie. Il fatto è che quest'apparecchio, sia pure da molto tempo in 'gestazione', decollò solo il 19 dicembre del '42 e con armamento incompleto. Nell'agosto del '43 si danneggiò durante un atterraggio. Non era cosa grave, ma fu sufficiente. Del resto oramai i caccia 'serie 5' erano già in azione mentre il P.119 avrebbe richiesto ancora tempo per entrare in produzione. Ma di tempo non ce n'era più. Non pare che i Tedeschi rimasero molto interessanti a quest'apparecchio, nonostante la prevista possibilità di usare un motore potenziato a 1.700 hp per 640 kmh di velocità massima.
===CANT<ref>Garello, G.C. ''Il CANT Z.1018: un'occasione sprecata'', Storia militare n.12 set 1994 p.15-26</ref><ref>Garello, G.C. ''Il CANT Z.1007 Alcione'', Storia militare n.20, maggio 1995 p.33-43</ref>===
I CANT di Filippo Zapata (serie Z.1000 per aerei terrestri, Z.500 per quelli navali) erano progettati da un tecnico che, tanto per cambiare, era molto bravo nell'aerodinamica e quindi nell'ottenere le migliori prestazioni con la potenza disponibile. Il '''[[w:CANT Z.1007|CANT Z.1007]]''', grossomodo coevo dello Ju-88 tedesco, era anche simile per prestazioni (circa 450 kmh), anche se questo era ottenuto con una macchina di costruzione interamente lignea.
 
*'''Motore''': 1 Piaggio P.XXII RC.45 da 1.500 hp al decollo
Ovvero, non mista metallica-legno come i Savoia, e nemmeno metallo (e tela ) come per il Fiat BR.20, ma totalmente in legno, materiale che richiedeva ovviamente molto tempo per essere approntato e molta manodopera. Del resto anche i caccia sovietici La-5 erano in legno, e così i D.H. Mosquito, che in velocità erano superiori a qualunque bombardiere fino all'AR.234 a reazione.
*'''Dimensioni''': lunghezza 9,7 m, apertura alare 13 m, altezza 2,9 m, superficie 27,8 m2
*'''Pesi''': 2.750 kg, max. 4.100 kg
*'''Prestazioni''': 620 kmh a 5.500 m, crociera 400 kmh a 7.000 m, salita a 6.000 in 6,33 minuti, raggio d'azione max. 780 km, tangenza 12.000 m, autonomia 1.730 km
 
Non è chiaro se quest'aereo sarebbe stato mai passato in produzione di serie; piuttosto ne venne ricavato il progetto di un '''P.129''' con struttura convenzionale e motore DB-605, proposto al Ministero senza alcun successo, pur lavorando al progetto per quasi 1.800 ore.
Per realizzare i suoi aerei più aerodinamici Zapata ricorse ad alcune soluzioni, a parte la sezione di coda, al solito lunga e armoniosa per ridurre l'attrito. Una fu l'abitacolo in tandem, che contribuiva a dare al C.1007 l'aspetto di un caccia trimotore. Questa soluzione riduceva la resistenza, ma ovviamente non era l'ideale per la collaborazione tra i piloti, l'eventuale soccorso, e così via, ma la fusoliera era più stretta, pagante in termini di prestazioni.
 
Successivamente o quasi vi fu anche il progetto del '''P.132''', un cacciabombardiere convenzionale come struttura, ma con molte innovazioni tecniche, a cominciare dalla lega leggera (elektron) di cui era costruito -e che avrebbe certamente causato molto problemi di messa a punto-. Dopo molti studi al riguardo, non venne tuttavia concretizzato nemmeno un prototipo. Sarebbe stato, per la cronaca, motorizzato con un propulsore da 1.500 hp radiale Piaggio, capace di imprimergli oltre 600 kmh. Il peso a vuoto era limitato a 2.500 kg pur avendo: 2 cannoni da 20 mm MG151 e 2 Breda nel muso, e 4 MG 151 nelle ali (il tutto con abbondante munizionamento). Era previsto che fosse tanto leggero per avere margine di carico sufficiente per svolgere duelli aerei, attacco e aerosiluramento. Al solito per la Piaggio, si trattò di un progetto fin troppo audace e nessun prototipo venne mai allestito.
Non va dimenticato nemmeno che al contempo lo Z.1007Bis adottava tre motori da 1.000 hp, per un potenziale totale di ben 3.000, quasi 1.000 più dell'S.79 o dello Ju-88, né che a differenza di questo, non aveva la capacità di eseguire bombardamenti in picchiata, anche se aveva punti d'aggancio subalari (rarità per i bombardieri italiani). Entrato in servizio nel 1940, era la derivazione del CANT Z.506 navale, ottimo trimotore che aveva stabilito numerosi record nel periodo anteguerra, e che militava in due stormi di bombardieri navali e alcune unità di soccorso-ricognizione. Il CANT aveva la stessa potenza e anche grossomodo lo stesso peso dell'S.84, ed era 'teoricamente' nondimeno più lento nonostante gli abitacoli in tandem: la ragione era presumibilmente l'ala più grande, che consentiva di volare a quote maggiori e con doti di manovra ben superiori, grazie anche all'armonizzazione dei comandi. Peraltro inizialmente dev'esserci stata una certa tendenza all'instabilità cosicché vennero adottati timoni di coda doppi. A parità d'armamento difensivo e offensivo (4 mtg e 1,5 t di carico circa, max teorico 1.200+1000 esterni), e di armamento, era un velivolo superiore all' S.84 e lo dimostrò in azioni di bombardamento e ricognizione ad alta quota. Non per niente divenne l'aereo tipico delle missioni su Malta, che era meglio volare alle quote maggiori specie per la minaccia notturna dei Beaufighters. Per gli attacchi antinave era abbastanza buono, ma forse la maggiore corazzatura dell' S.84 era migliore e così nonostante la possibilità tecnica, il Z.1007 non fece mai l'aerosilurante, ma al più bombardò in volo livellato. Al dunque, però, ne uscivano dalla linea di produzione solo 15 al mese, troppo pochi. In combattimento non era un bersaglio facile, ma in caso fosse stato colpito prendeva fuoco facilmente, non aveva corazze e struttura adatte a sopravvivere a colpi pesanti.
 
===I Caproni da caccia===
La versione C.1007 Ter era stata realizzata dal '42 e dimostrò una notevole validità rispetto all'invecchiato C.1007Bis. Costruita in circa 150 esemplari, grazie ai motori PXIX da 1.150 hp (quasi 3.500 totali) ebbe modo di raggiungere i 490 kmh e di incrementare tutte le caratteristiche tecniche, anche la corazzatura e forse l'armamento difensivo. Continuò a volare anche come trasporto con la CAF dopo il '43, ma durante una missione di 12 aerei 5 di essi vennero abbattuti e 2 danneggiati da caccia tedeschi sui Balcani, uccidendo 26 aviatori italiani.
I '''[[w:Caproni-Vizzola F.5|Caproni-Vizzola F.5]]''' iniziarono una interessante e misconosciuta genia di caccia italiani. L'ennesimo caso di 'doppione' a cui venne data una piccola serie produttiva perché se i caccia Fiat, Reggiane e Macchi avrebbero monopolizzato la R.A, non si sarebbe negato nemmeno un contentino ad uno dei caccia presentatisi per il concorso per un nuovo monoplano da caccia. L'F.5 era di costruzione mista anziché metallica, ma costava anche poco; la sua ala era esente dall'autorotazione che affliggeva C.200 e forse anche il G.50. In ogni caso, veloce grazie ad una linea ravviata simile a quella diciamo di un Ki-43 giapponese, l'F.5 era anche molto maneggevole ed è un peccato che non sia stato posto in produzione di grande serie: nel combattimento simulato contro il G.50 pilotato da Carlo Guscagna (il fidanzato di Alida Valli), stracciò letteralmente il velivolo Fiat (su cui Carlo morirà nel '41 in una battaglia con gli Hurricane). Aveva oltretutto una radio come dotazione standard, e per questo accessorio venne destinato ad operare a difesa di Roma, anche come macchina notturna. Una dozzina gli apparecchi costruiti. Il tutto con pesi di 1.800-2.200 kg, dimensioni di 7,49 m x 11,26 m x17,40 m2. La versione di preserie realizzata in 12 esemplari aveva capottina aperta, aumentava la velocità da 496 kmh a 510 kmh e salita a 6.000 in 6,8 min. Il costo era di 295.000 lire verso le 380.000 di un Macchi MC.200.
 
La linea evolutiva ovviamente non si fermò qui, visto che ben presto ebbe luogo uno sviluppo con l' '''F.6''' munito del DB-601. Esso era capace di 550 kmh, ancora lento rispetto al metro di riferimento del Macchi 202, ma nondimeno all'altezza del Re.2001. Per farne una macchina più prestante venne riprogettato come aereo metallico, e così ebbe modo di fare i 570 kmh, pur portando 4 armi da 12,7 mm. Il peso era di 2.200-2.800 kg. Era quindi più veloce e anche più armato del Re.2001, e sebbene più lento del C.202, poteva esprimere il doppio della sua potenza di fuoco. Questo 'cambio' (30 kmh in meno per il doppio delle armi) era ben ragionevole visto che il Macchi era scarsamente armato, specie contro i quadrimotori. Oltretutto pare che il F.6, molto leggero, fosse capace di salire di quota più rapidamente e fosse più maneggevole. Il prototipo ligneo MM.489 volò il luglio del '40, quello con ala metallica nel settembre 1941, seguito dal prototipo con ala in legno sostuita con una metallica. Infine venne affidato alla difesa di Roma nel maggio 1942 con la 303a squadriglia, la stessa degli F.5. Non ebbe successo produttivo, come del resto non l'ebbe un F.6 con motore DB-605, novità del '42.
*'''Motore''': 3 Piaggio P.XIbis RC.40 da 1.000 hp (Z.1007bis), o 3 P.XIX RC 45 da 1.175 hp (Z.1007Ter).
*'''Dimensioni''': lunghezza 18,6 m, apertura alare 24,8 m, altezza 5,65 m, superficie 73,3 m2
*'''Pesi''': 9.396 (bis) kg, max. 13.621 kg
*'''Prestazioni''': Bis, 458 kmh a 4.600 m, tangenza 8.400 m, salita a 5.000 in 12'42 sec, autonomia 2.000 km con 900 kg di bombe e a 360 kmh; Ter, 490 kmh a 6.150 m, tangenza 9.050 m, salita a 5.000 m in 10 min 44 sec, autonomia 2.250 km con 900 kg a 400 kmh.
*'''Armamento''': 2x12,7 e 2x7,7 oppure (Ter) 4x12,7 mm; bomba interna da 800 kg o 2x250 o 4x160 o 12x100 o 50 kg (in realtà 129 e 69 kg), o 20 da 20 o 15 kg; esternamente 4x250 o 6x100 o 50 kg, carico max teorico 2.200 kg, pratico circa 1.200 kg.
 
Altre versioni inutilmente proposte furono progettate: una delle più interessanti era l''''F.6Z''', con il motore I.F. da 1.250 hp, del tutto inaffidabile, ma l'aereo venne approvato il 16 giugno 1942, uscì dalla fabbrica il 19 luglio 1943 e venne poi requisito dai Tedeschi, forse prima ancora di volare per la prima volta. Modelli come l'F.7 con il DB-605 non si materializzarono, anche se due esemplari erano in produzione. Armamento previsto: 2x12,7 mm e 1x20 mm. Così si chiuse una genia di aerei che avrebbe meritato certamente 'un posto al sole', ma in pratica ebbero la peggio rispetto ai già molto numerosi concorrenti più referenziati, seppure la Caproni fosse all'epoca una grossa realtà industriale. Di fatto però furono maggiormente 'supportati' i più avanzati e costosi Reggiane.
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Il successore del C.1007 c'era già dal '39. Era il '''[[w:CANT Z.1018|CANT Z.1018]]'''. Il Z.1007 era già un velivolo superiore all' S.79 in quasi tutti i fondamentali, anche se la sua robustezza strutturale e la resistenza agli agenti atmosferici, come ai colpi nemici, erano certamente inferiori. Rispetto all'S.79 e similmente all'S.84 aveva lo stivaggio delle bombe orizzontale e la navicella del puntatore vicina all'abitacolo del pilota per una migliore comunicazione. Ma era pur sempre un trimotore, il che sacrificava il puntatore sotto il muso, in una zona rumorosa e angusta (se non altro meno gelida..).
 
Si poteva fare di meglio con un bimotore, ed ecco il CANT Z.1018, il cui prototipo, in realtà un simulacro, volò nel 1939, ancora con struttura in legno. Raggiunse i 515 kmh, e in seguito apparvero i più pesanti ma anche più aerodinamici prototipi veri e propri, che arrivarono a 524 kmh. Il problema era che i motori disponibili non erano necessariamente all'altezza della situazione, con meno affidabilità e potenza complessive (circa 2.700 hp con due motori dello stesso tipo di quelli del P.108) e inoltre la posizione nel muso non ebbe alcuna arma difensiva, evidentemente ci si fidava della sola velocità. In totale, era un velivolo simile allo Ju-188, o meglio ancora, al Pe-2 russo, ma senza capacità d'attacco in picchiata. Zapata ne progettò versioni lignee e metalliche. L'aereo avrebbe avuto varie combinazioni di ali per farne un velivolo da media o da alta quota, e l'armamento sarebbe stato poi incrementato. In ogni caso, si trattava di un velivolo moderno, e spesso giudicato come il più bell'aereo italiano della guerra, almeno nel caso dei plurimotori.
 
===Romeo<ref>Sgarlato, Prototipi, op. cit.</ref>===
Il problema fu che non c'era chiarezza di vedute su quello che questa macchina poteva fare. Forse avrebbe potuto entrare in produzione diciamo nel '41 e in servizio nel '42, ma ricordiamo sempre, che all'epoca già era un'impresa superare i 30 bombardieri al mese, quindi i risultati produttivi sarebbero stati modesti e incapaci di valorizzare le capacità del nuovo progetto. Anche perché i CANT Z.1018 Leone sarebbero andati a scapito dei CANT Z.1007 Alcione, quindi il miglioramento avrebbe dovuto essere calcolato al 'netto'.
Quanto ai velivoli Romeo, vale la pena ricordare, tra gli esponenti delle 'tecnologie avanzate' il '''Ro.63''', aereo STOL simile allo Storch ma di prestazioni superiori, anche se leggermente inferiore come distanze di decollo e atterraggio. Forse nell'insieme era migliore nella sua categoria, anche se non ebbe mai armi difensive; ma sopratutto, di quest'apparecchio, approntato già nel 1940 e in servizio dal '41, ne vennero prodotti solo 6 dato che scarseggiavano i motori Hirth (gli stessi dello Storch) disponibili. Così furono decimati ed entro il settembre 1943 ne rimase solo uno. Sostituire i motori originali con gli Isotta Fraschini fu un fallimento, perché erano del tutto inaffidabili. Così gli Italiani comprarono 29 Storch che furono i principali aerei STOL, anche se in termini 'strategici' di velocità e autonomia erano inferiori al Romeo. Nel dopoguerra si cercarono i piani per rilanciarne la produzione, ma i disegni erano andati persi e non se ne fece niente.
 
*'''Motore''': 1 Hirt HM.508D da 280 hp
Ora il problema era che il CANT Z.1018 venne tediato, progettualmente, da innumerevoli richieste, anche le più irrazionali, per migliorarlo prima di metterlo in produzione, come se vi fosse ancora tempo da perdere. Ma forse non erano solo richieste prive di ratio, perché il CANT Z.1007Ter, seppur di concezione superata e più lento, venne giudicato dai Tedeschi superiore al Z.1018. Loro erano interessati a proporre all'Italia di produrre i loro aerei 'di secondaria importanza' come il Me.410 e lo Ju.188 in cambio di G.55.
*'''Dimensioni''': lunghezza 9,82 m, apertura alare 13,5 m, altezza 3,1 m, superficie 26,5 m2
*'''Pesi''': 1.060 kg, max. 1.500 kg
*'''Prestazioni''': 55-220 kmh, tangenza 7.000 m, autonomia 900 km
 
Ma nondimeno, il Leone non era del tutto adeguato: la tangenza di appena 7.200 m era inferiore agli 8.400 m del Z.1007Bis e ancora di più ai 9.000 dei -Ter, l'autonomia era inferiore, a quanto pare solo 1.330 km sia pure a ben 450 kmh di velocità media. Eppure v'erano 3.300 l di carburante disponibili. Strano anche che il peso indicato era di 8.800-11.500 kg, veramente poco se si considera che con 2.700 kg di carico utile era necessario scegliere tra il carico di carburante e quello di bombe, e quindi o si decollava in sovraccarico, oppure i 2.000 kg di bombe indicati come massimo erano puramente teorici, e difficilmente si sarebbe potuto avere più di 500 kg. Come paragone, va ricordato che il CANT Z.1007 bis aveva 4.225 kg di carico utile, appena di meno per il Ter. Questo consentiva un'autonomia con: 2.470 kg di carburante, 830 carico militare, 900 kg bombe, rispettivamente di 2.000 a 360 kmh, e 2.250 km a 390 kmh.
 
Il caccia pesante '''Ro.57''' era un buon velivolo, utilizzato inizialmente come caccia a lungo raggio. Onestamente, se la velocità di oltre 500 kmh era buona per i due motori da 800 hp che aveva, l'armamento di due Breda da 12,7, come sui caccia monoposto, era troppo poco. La maneggevolezza non cambiava molto le cose. Piuttosto nel prosieguo della guerra si pensò di farne un bombardiere in picchiata, senza molto successo se non quello di aumentarne il peso e ridurne le prestazioni a circa 450 kmh, rendendo quest'apparecchio monoposto assai vulnerabile.
Al dunque, solo 17 aerei vennero approntati e forse furono protagonisti di un'unica azione sui Balcani. Gli Italiani avevano ordinato 800 apparecchi a varie industrie, molti erano in lavorazione, ma dopo l'8 settembre tra bombardamenti alla Breda e alla CANT, la produzione finì presto.
 
Per superarne le deficienze venne posto mano al '''Ro.58''', un caccia pesante con i DB-605. La velocità salì a ben 605 kmh, anche se pare che il prototipo montasse solo i DB-601. L'armamento era di 3 cannoni (previsione per 5) e una mtg da 12,7 per la difesa posteriore. Il prototipo venne pare munito solo di 3 mtg da 12,7 mm più quella difensiva, d'altro canto aveva solo DB-601 di seconda mano. In ogni caso, la messa a punto fu difficile e persino pericolosa; l'aereo, tanto per cambiare, rimase esemplare unico, facendo di peggio che i Ro.57, almeno prodotti in una piccola serie -90 esemplari.
*'''Motore''': 3 Piaggio P.XII RC.35 da 1.350 hp al decollo
*'''Dimensioni''': lunghezza 17,6 m, apertura alare 22 m, altezza 6,1 m, superficie 63,1 m2
*'''Pesi''': 8.800 kg, max. 11.500 kg
*'''Prestazioni''': 534 kmh a 4.500 m, crociera 450 kmh a 5.500 m, salita a 6.000 in 14 minuti, autonomia 1.330 km
*'''Armamento''': 2x12,7 e 2x7,7 e fino a 2.000 kg teorici di armi
 
Pare (ma i dettagli sono molto incerti) che esso venne confrontato favorevolmente contro il Me.410, quanto per merito del primo o per il demerito del secondo (che pure sulla carta era un velivolo formidabile) è difficile dire. Di fatto era un'alternativa ai caccia pesanti più complessi, e anche questo conta: macchine cioè come il G.58, Reggiane 2005 Bifusoliera, SM.91 e 92. Era tutto sommato più semplice eppure sufficientemente armato e prestante. E forse non era un caso se somigliasse di più dello stesso Me.410 all'originario Bf-110, aereo sbeffeggiato dalla propaganda inglese ma in realtà molto valido (e il Bomber Command ne seppe qualcosa, visto che passato alla caccia notturna gli abbatté qualche migliaio di bombardieri). Per esempio nel caso del piano di coda doppio, anche per migliorare l'efficacia dell'armamento difensivo dorsale con maggior campo di tiro.
Ma la storia dei Leone non era finita qui, Zapata andò alla Breda, rimasta senza commesse, attorno al 1942, mentre la CANT era oberata di ordini; così vi furono proposte di cui due accettate, una per un bombardiere (BZ.301 Leone III) da 8.750-13.100 kg, due motori P.XV RC.45 da 1.500 hp, con autonomia prolungata a 1.800 km, e che per il resto aveva: apertura alare 24,8 m, lunghezza 18 m, tangenza di 9.500 m, peso massimo di 13.100 kg. Un'altra era il caccia notturno '''BZ.303 Leone II''', (Breda-Zapata). Questo era ovviamente l'aereo più interessante; esso avrebbe dovuto avere motori potenziati da 1.450 hp P.XV e ben 8 cannoni da 20 mm e una Breda da 12,7 difensiva, più un radar, con una velocità di circa 580 kmh. Ala ridotta a 20,7 m, lunghezza accorciata a 16,98 m. Era il caccia destinato a portare maggior armamento tra tutti quelli italiani (praticamente battuto solo dall'He.219 tedesco), salendo a 6.000 m in 11', con tangenza di 10.300 m, peso di 8-11.000 kg. Era infine previsto un Z.1018Bis con i DB-603, per prestazioni ancora maggiori. Ma tutto questo, e i relativi calcoli sulle prestazioni, rimasero teoria.
 
*'''Motore''': 2 DB-601 usati (previsti 2 DB-605)
Alcuni nuovi Leone di questa 'seconda generazione' erano in via d'approntamento, ma non ebbero mai completamento, distrutti nelle loro fabbriche dai bombardamenti del 30 aprile del '44. Le loro fusoliere rimasero tra le macerie a testimoniarne la natura metallica, essendo sopravvissute alle fiamme. Poi i Tedeschi fecero rottamare tutto il materiale. Quell'aprile del '44 fu devastante per quanto restava dell'industria aeronautica italiana, sommando le incursioni anche sulla Fiat e Macchi (ma stranamente non sulla Savoia-Marchetti). Alla fine, non rimase nulla di questo bombardiere chiaramente moderno, ma che non trovò modo di farsi valere data la fine prematura della guerra.
*'''Dimensioni''': lunghezza 9,89 m, apertura alare 13,4 m, altezza 3,39 m, superficie 26,2 m2
*'''Pesi''': 4.350 kg, max. 6.100 kg
*'''Prestazioni''': 605 kmh, salita a 6.000 m in 9 min, autonomia 1500 km
 
Con quest'aereo si chiude la lunga e a tratti interessante serie dei Romeo, apparecchi in genere considerati come 'di seconda mano' o quantomeno di 'seconda linea', semplici e robusti anche se non certo molto avanzati.
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Infine da non dimenticare il '''CANT Z.1015''', aereo originariamente assemblato come versione da record del 1007, già verso la fine degli anni '30. Era privo di armi, con una carenatura che conteneva l'abitacolo, che sporgeva sopra la fusoliera. Era un vero racer, ma scoppiò la guerra e non vi fu più tempo per i record. Dopo qualche anno, l'aereo venne tuttavia ripescato dal magazzino e trasformato in aerosilurante. Venendo nel frattempo munito di 3 motori da 1.500 hp, disponeva di una potenza quasi pari a quella di un B-17 ma in metà peso; così non stupirà che venne trovato un formidabile apparecchio, tra i più veloci aerosiluranti mai realizzati, con ben 563 kmh. Ma vi erano anche delle controindicazioni: i motori italiani di maggiore potenza non erano in genere molto affidabili, a parte questo si trattava di un aereo unico. Infine, era un velivolo da ben 15 t, di costo elevato, che appariva sprecato per il compito di silurante, anche alla luce della proposta per il G.55S monoposto, ancora più veloce persino con il siluro a bordo (570 kmh) . Per giunta, non pare che il Z.1015 ebbe mai armi difensive. Così la cosa restò senza esito.
 
Un'altra soluzione senza esito fu l'impiego come bombardiere dello '''Z.511''', il più grande idrovolante a scarponi, un velivolo quadrimotore e metallico. Aveva 6.000 km d'autonomia ed era inteso come aereo passeggeri, sempre progettato dall'infaticabile Zapata. Era capace di operare con il mare forza 5 e questo idro fu visto come bombardiere per attaccare New York. Anche se superava di poco i 400 kmh, ed era privo di armi e corazze. Ma la sua capacità marina lo avrebbe fatto rifornire da un sottomarino italiano in mezzo all'Atlantico (apparentemente era proprio difficile concepire il rifornimento in volo tra aerei, all'epoca: eppure già negli anni '20 tale tecnica era stata messa in atto durante voli da record..). Data la difficoltà intrinseca di questa operazione, la cosa venne lasciata cadere e lo Z.511, rimpiazzato nell'idea dall' SM.95, provò piuttosto che le acque dell'Atlantico, quelle del Trasimeno su cui fece scalo durante le convulse vicende del '43.
 
Zapata continuò anche dopo la guerra a progettare velivoli; l'ultimo dei suoi progetti fu l'elicottero '''AZ.101''', un enorme trimotore antisignano dell'EH-101, rimasto prototipo come anche gli altri tipi proposti. Il progettista sarebbe sopravvissuto a lungo alla sua carriera, diventando centenario; la CRDA (i cantieri navali di Monfalcone, divisione aeronautica) da cui presero forma i vari apparecchi qui sopra ricordati, cessarono invece l'attività con la guerra. L'ultimo Z.1007 venne radiato nel 1948.