Armi avanzate della Seconda Guerra Mondiale/Italia 3: differenze tra le versioni

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Poi parliamo di '''Idrobomba''', '''idrosiluro''', '''aerosiluro Zapelloni'''. Erano state pensate per attaccare navi. L'Idrobomba era in sostanza un'ordigno che spiattellava sull'acqua, per colpire le navi sui fianchi, ma non venne realizzata. Sperimentata dal 1936 la bomba slittante di Zapelloni, praticamente una bomba a rimbalzo agganciata ad un aliante con uno scandaglio per fargli assumere un angolo idoneo al momento dell'impatto sull'acqua. Non ebbe successo. Poi si pensò di agganciarci un siluro, da lanciare fino da 20 km e 2000 m di quota. Pare che funzionasse, anche se senza autoguida non si sarebbe potuto certo colpire qualcosa in movimento, ma essendo stata provata nel giugno del '43, l'ordine per 300 esemplari non venne mai concretizzato.
 
Quanto ai siluri, quello radiocomandato era un tipo pensato dagli ufficiali Rinaldi e Freri. Era una vecchia idea, tanto che nel lago di Bracciano, già nel 1932, venne sperimentato questo ordigno. Inizialmente il ricevitore era all'interno del siluro, poi venne, per ragioni di migliore ricezione del segnale, sistemato in una boa galleggiante che restava in superficie. Una sostanza fluorescente verde consentiva di seguire il siluro di giorno, e un faretto per l'uso notturno. I risultati, dopo una lunga messa a punto, vennero testati a Pola, inizio del '42, quando 3 S.79 usarono altrettanti siluri per attaccare con successo una nave bersaglio. Il lancio poteva avvenire da 400 m e 4-5 km di prua alla nave, con unil siluro con paracadute speciale anche da 1000 m (sperimentato da un P.108).
 
Ma nonostante che già nel novembre del '42 venissero mandati gli S.79 con i siluri in Sardegna, non vi fu utilizzo di queste armi, malgrado l'abbondanza di bersagli Alleati. In seguito all'armistizio, a questi siluri rimasero interessati i Tedeschi, l'ANR e gli Alleati. I primi richiesero 10 siluri A/170. Al di là dell'efficacia teorica, bisogna dire che comunque questi siluri non erano nondimeno del tutto ideali per un impiego pratico. C'erano vari punti deboli. Uno era quello del comando radio: era sempre possibile disturbarlo, se il nemico fosse allertato sulla minaccia (e così sarà dal '44 contro i missili tedeschi quali gli Hs.293). Poi c'era il problema di controllare il siluro, che non era autoguidato come molti progetti oramai approntati: questo significava restare nel raggio di qualche km per diversi minuti tra lancio e guida, il tutto entro il raggio dei cannoni da 102 e 127 mm, se non delle mitragliere da 40 mm Bofors, armi oramai sempre più spesso a controllo radar. Una fiancata di cannoni da 102 mm tipica era costuita da 4 armi capaci di tirare 60 c.min complessivi (900 kg) entro un raggio di almeno 7-8 km, e questo senza considerare l'intervento dell'eventuale caccia. Se si considera che anche le bombe Hs.293 e Fritz-X avevano lo stesso inconveniente (di esporre il velivolo lanciatore alla reazione contraerea) pur consentendo di attaccare in molto meno tempo, da distanze e-o quote maggiori, ci si può fare l'idea di come una flotta con capacità di reazione contraerea, e magari con copertura di cacciaintercettori, avrebbe costituito un problema non indifferente per usare efficacemente questi ordigni: molto meglio allora le bombe F.F.F. che si 'autoguidavano' e lasciavano indipendente il velivolo dopo lo sgancio. Ad oggi, per esempio, le armi antinave 'fire and forget' (missili antinave o antiradar) sono praticamente le uniche su cui si fa affidamento per superare difese navali.
 
Gli Italiani non hanno brillato per armamenti di lancio da parte della loro modesta forza di bombardieri. Probabilmente le armi più pesanti che hanno costruito erano da 1.000 kg. All'inizio della II GM, per dirne una, le bombe erano oltre 4 milioni, vale a dire statisticamente che ce n'era una ogni 10 italiani. Però si trattava per circa la metà di spezzoni da 1 o 2 kg nominali; le armi da 50 e 100 kg erano le più importanti, a maggior ragione se si considera che il peso era, realmente di circa 70 e 130 kg; v'erano anche altre armi da 15, 20, e più kg, fino ad arrivare alle bombe da 250 kg, il cui uso fu sempre discontinuo, a un ridotto numero di armi da 500 kg, e a poco più di 300 bombe da 800 kg, che nonostante gli oltre 300 kg di esplosivo, erano appena più efficaci di quelle da 500 kg causa l'innesco difettoso. Di fatto i bombardieri italiani attaccarono sopratutto, nelle guerre coloniali, con gli spezzoni, grazie anche a spezzoniere capaci di portare anche 700 ordigni. Un'arma in tal senso avanzata e disponibile grossomodo dall'inizio della guerra era la 'lanciaspezzoni', una vera e propria CBU pesante circa 100 kg che liberava alcune decine di bombette. Una delle ultime missioni di un S.82 -su di un campo d'aviazione alleato in Sicilia'- fu con 20 di queste bombe, dagli effetti presumibilmente considerevoli.
 
Un'altra bomba particolare era la 'bomba thermos' chiamata così per l'aspetto. Era in realtà una mina da 4 kg che esplodeva per deformazione; fu molto utile a rallentare l'avanzata dei mezzi inglesi nelle campagne del deserto, era abbastanza potente per danneggiarli o distruggerli se gli finiva sotto i cingoli e abbastanza piccola per portarne molte.
 
Per il resto gli italiani ebbero molte delle efficaci bombe tedesche, allorché ricevettero gli Ju-87B, R e D.
 
Per l'attacco alle navi inglesi, vero 'chiodo fisso' dell'Aeronautica (specie dopo il sostanziale fallimento di Punta Stilo) c'erano le bombe perforanti, ma che pesavano solo 160 kg. 10 vennero usate da un P.108 nel corso del primo attacco contro un cacciatorpediniere sferrato da questi quadrimotori. Altre di pari peso erano a involucro sottile, per impieghi antisommergibili.
 
Detto questo, per attaccare le navi con ponte corazzato venne anche pensato ad un ordigno diverso (al di là della serie di queste pagine), '''la bomba 630PD'''. Questa non era la solita bomba da 630 kg, ma un adattamento: si trattava di un proiettile da 381 mm del tipo di quelli usati dalle 'Littorio' (che peraltro, pur essendo spesso usate in guerra, praticamente non riuscirono a piazzare a segno colpi con le loro artiglierie che raggiungevano i 42 km di gittata); visto che non era facile procurare uno scontro tra le flotte si pensò di prendere almeno il proiettile e agganciarlo sotto gli aerei d'attacco. Era così che avevano fatto anche i Giapponesi a P.Harbour con proiettili da 356 mm. La ricerca era quella di ottenere una bomba con effettive capacità perforanti contro obiettivi corazzati. Il proiettile non venne tuttavia lasciato del tutto tranquillo, allorché ne venne allargata la cavità interna per metterci 120 kg di esplosivo riducendo anche il peso (il metallo ha un peso specifico più alto a parità di volume); l'ordigno venne impiegato durante la battaglia di mezz'Agosto da due Re.2001 appositamente modificati per supportare carichi maggiorati anziché bombe da 250 kg; raggiunsero una portaerei inglese approfittando della confusione; erano soli, senza scorta, e somigliavano molto ai Sea Hurricane imbarcati. Così riuscirono senza essere scoperti, a colpire la nave con entrambe le bombe. Ma una rimbalzò sul ponte corazzato, l'altra fece pochi danni, non è chiaro cosa avvenne (forse trapassò lo scafo oppure rimase inesplosa). Così, in questa prima e unica occasione il successo venne mancato di poco, mentre i caccia rientravano a tutto gas indenni alla loro base. Non vi saranno altre occasioni d'impiego per la 630PD<ref>Storia Militare, le armi degli aerei italiani, 1997</ref>.
 
Ma nonostante che già nel novembre del '42 venissero mandati gli S.79 con i siluri in Sardegna, non vi fu utilizzo di queste armi, malgrado l'abbondanza di bersagli Alleati. In seguito all'armistizio, a questi siluri rimasero interessati i Tedeschi, l'ANR e gli Alleati. I primi richiesero 10 siluri A/170. Al di là dell'efficacia teorica, bisogna dire che comunque questi siluri non erano nondimeno del tutto ideali per un impiego pratico. C'erano vari punti deboli. Uno era quello del comando radio: era sempre possibile disturbarlo, se il nemico fosse allertato sulla minaccia. Poi c'era il problema di controllare il siluro, che non era autoguidato come molti progetti oramai approntati: questo significava restare nel raggio di qualche km per diversi minuti tra lancio e guida, il tutto entro il raggio dei cannoni da 102 e 127 mm, se non delle mitragliere da 40 mm Bofors, armi oramai sempre più spesso a controllo radar. Se si considera che anche le bombe Hs.293 e Fritz-X avevano lo stesso inconveniente pur consentendo di attaccare in molto meno tempo, da distanze e-o quote maggiori, ci si può fare l'idea di come una flotta con capacità di reazione contraerea, e magari con copertura di caccia, avrebbe costituito un problema non indifferente per usare questi ordigni: molto meglio allora le bombe F.F.F. che si 'autoguidavano' e lasciavano indipendente il velivolo dopo lo sgancio.
 
Infine i missili: Lembo riporta questo fatto, aneddotico ma significativo della difficoltà di far accettare le 'nuove idee': un tecnico tedesco, nel 1932, scappando dalla Germania in cui l'odio per gli Ebrei era già molto alto (e lui era israelita), lavorò con una ditta italiana alla realizzazione di razzi da guerra. Gli esperimenti furono soddisfacenti, specie per la gittata. Ma quando si trattò di presentare l'arma ai vertici militari italiani, il razzo ebbe un guasto e cominciò a girare vorticosamente sulle teste degli ufficiali con un movimento a spirale, e questi dovettero buttarsi in acqua per sottrarsi al pericolo. Inutile dire che l'avveniristico esperimento pose fine all'interesse per i razzi bellici da parte italiana.