Armi avanzate della Seconda Guerra Mondiale/Italia 4: differenze tra le versioni

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La cantieristica italiana rimase per giunta quasi ferma. Non riuscì minimamente a rimpiazzare le perdite subite, e questo senza nemmeno considerare come il mancato richiamo dei mercantili italiani in Mediterraneo comportò la perdita di centinaia di unità oceaniche già all'inizio della guerra, tagliate fuori da Gibilterra e del canale di Suez, al più costrette nel corno d'Africa o nei porti neutrali. Durante la guerra venne completata una corazzata, 4 incrociatori leggeri, 5 cacciatorpediniere, varie serie di sommergibili e piccole unità di scorta. Ben poco rispetto alle perdite che quasi cancellarono la Regia Marina dai mari, con la perdita di due sole corazzate, ma di tutti gli incrociatori pesanti e di circa 200 incrociatori leggeri, cacciatorpediniere, torpediniere e sottomarini, più le navi leggere e ausiliarie.
 
 
 
===Navi da battaglia e portaerei===
A parte la fine dell'aggiornamento delle corazzate 'Duilio' e il completamento delle 2 '''[[w: Classe Littorio (nave da battaglia)|Littorio]]''', con la quale le corazzate divennero da 2 a 6, passando ad una situazione di superiorità contro gli Inglesi. La Battaglia di Punta Stilo fu un azzardo: le due 'Littorio' erano teoricamente entrate già in servizio, ma erano ancora -come previsto dagli Inglesi- impreparate al combattimento. Altrimenti la battaglia sarebbe potuta andare ben diversamente, dato che in teoria, gli Italiani -anche senza contare la Regia Aeronautica- erano chiaramente in vantaggio già con le navi realmente schierate. Le 'Littorio' erano navi certamente all'avanguardia, anche se superavano le 35.000 t dichiarate di circa il 20%, con cannoni da 381/50 ad alta velocità e con la maggiore gittata tra quella di tutte le corazzate (ma per pochissimo, v'erano varie altre artiglierie che superavano i 40 km), veloci abbastanza da raggiungere i 30 nodi e con un elaborato ma non necessariamente efficacissimo sistema di protezione subacquea. A parte questo, la loro autonomia, al solito, era limitata, sopratutto per via delle 4.000 t di carburante che erano imbarcate, la metà delle 'Bismarck' tedesche, e che a 30 nodi non avrebbero consentito di percorrere nemmeno il Mediterraneo da un capo all'altro, né a velocità ben più bassa sarebbe stato agevole raggiungere gli Stati Uniti. Un limite, per una guerra 'mondiale', non indifferente, giustificabile solo nell'ottica dello scontro navale con i 'rivali' francesi.
 
C'erano altre due 'Littorio', della 'IIa serie'', la ROMA e l'IMPERO. La prima era in fase di avanzato completamento, ed entrò in servizio come l'ultima delle navi da battaglia italiane nel '42. Non ebbe nessuna fortuna, affondando all'indomani dell'Armistizio, il 9 settembre 1943, quando venne colpita da due Fritz-X telecomandate da parte di Do.217 tedeschi, che colpirono anche l' ITALIA senza causargli molto danno.
 
L'IMPERO non ebbe mai completamento e venne abbandonata. Ma vi furono dei progetti interessanti per il suo incompiuto scafo, come del resto a suo tempo ve ne furono per la super-corazzata CARACCIOLO del 1914, mai completata. Se le poche notizie disponibili sono affidabili, si pensava di usare l'IMPERO secondo uno studio, che aveva la caratteristica di 4 torri trinate da 152 mm vicino all'isola con un unico fumaiolo.
 
 
Ma un risultato migliore venne fatto con l''''Aquila'''. Essa era la vecchia turbonave ROMA, che nonostante il cattivo stato dei motori, venne riattata. Rientrò in Italia dalle rotte marittime atlantiche appena in tempo, il 4 giugno 1940. La sua trasformazione iniziò a Genova dove vennero rasate le sovrastrutture, poi ricostruite. La nave era simile a quella della grande portaerei inglese ARK ROYAL.
 
Questa nave era quasi approntata nel 1943, ma non ebbe un fato felice, finendo demolita nel dopoguerra dato che all'Italia non venne concesso di avere portaerei. Una seconda portaerei era data dalla SPARVIERO, basata sulla quasi-gemella AUGUSTUS, ma molto meno avanzata e meno vicina al completamento, tanto che venne demolita nel dopoguerra senza rimpianti. Si pensò senza successo anche di trasformare in portaerei veloce l'incrociatore BOLZANO e il francese FOCH, ma non se ne fece nulla e le navi demolite o affondate.
 
Mussolini del resto aveva detto che 'l'Italia è una portaerei naturale nel Mediterraneo', e di fatto non ebbe interesse per tali navi, per le quali l'Italia aveva l'autorizzazione a costruirne per 75.000 t, come del resto la Francia. Ma siccome quest'ultima aveva realizzato solo la BEARN, una lenta portaerei ricavata da una corazzata incompleta, la cosa non preoccupò molto. Ma l'Italia aveva una portaerei, o meglio una portaidrovolanti, la GIUSEPPE MIRAGLIA, che ebbe impiego ridotto, come del resto la COMMANDANT TESTE francese, analoga ma più moderna. In ogni caso, dopo la notte di Taranto, Mussolini cambiò idea e anzi, rimproverò di non avergli dato retta a suo tempo quando aveva detto che 'voleva una portaerei'.
 
Tornando all'AQUILA, si trattava di una nave da 23.350 t, lunga 230 m di cui 216 dal ponte di volo. Il problema di avere una portaerei vera e propria in servizio era però troppo grande per essere risolto con improvvisazioni. C'erano tante ragioni per questo. Una, era quella dell'aviazione navale, per la quale vennero previsti aerei modificati come il RE.2001OR e il G.50 navalizzato, ma di questi programmi quasi nulla venne realizzato.
 
L'AQUILA avrebbe avuto dislocamento massimo di circa 28.000 t. Eppure, a parte il fatto d'avere un pesante armamento contraereo, era una nave quasi priva di protezione, cosa di grande importanza per un'unità piena di carburante e di armi. Le controcarene davano una certa protezione subacquea, ma certo si trattava di una nave costruita con standard civili, non certo una robusta nave militare (paratie, servizi antincendio ecc).
 
Ma il vero problema era sopratutto che le turbine a vapore erano quelle previste per la nave corazzata CRISTOFORO COLOMBO, approntate nel 1916 e oramai sfiatate: la ROMA poteva viaggiare a non più di 20 nodi.
 
Era necessario rimpiazzarle, ma ci si orientò sui diesel. Ma la divisione Grandi Motori della Fiat fallì a costruire affidabili diesel nel 1937, 38, 39. Infatti la Regia Marina, a parte i dinieghi di Mussolini, aveva pensato al ROMA e all'AUGUSTUS come portaerei fin dal 1935. Ma i motori cominciarono ad essere approntati e provati, e solo al banco, soltanto nella primavera del '43. Questo problema dei sistemi di propulsione era tale da eliminare la credibilità dell'ACQUILA: senza ancora aerei (e comunque i G.50 e Re.2001 nel '43 sarebbero stati superati), corazzature e anche i motori previsti, che avrebbero dovuto garantire 26 nodi.
 
Anche i cannoni da 65 mm antiaerei non divennero disponibili in tempo e vennero usati solo per impieghi a terra. Il progetto dei 65/64 mm, armi ad alta velocità iniziale (850 ms) era dell'Ansaldo e venne presentato nel 1939, vincendo contro armi ancora più esasperate presentate dalla Breda e OTO, entrambi da 65/68 mm. Dopo una messa a punto laboriosissima che escluse poi il caricatore automatico, i primi 60 vennero consegnati entro il marzo del 1943. Nel 1944 altri 55 vennero costruiti per i Tedeschi. Arma simile, concettualmente, ai cannoni da 55 mm tedeschi ma più potente dato il calibro maggiore (rimasto tipico solo delle armi italiane), era un tentativo di superare le prestazioni delle armi da 37 mm. Aveva gittata contraerea di 6,5 km e cadenza di tiro fino a 30 c.min per proiettili da 4,5 kg. Destinata all' AQUILA e ai CAPITANI ROMANI (Regolo) non ebbe mai impiego se non, limitatamente, a terra da posizioni contraeree. Un cannone è conservato al museo di la Spezia <ref>Cappellano, Filippo: ''Le artiglierie del museo di La Spezia'', Storia Militare luglio 2007</ref>.
 
Tra le tante curiosità della travagliata esperienza con le navi portaerei 'mancate' va ricordato che i due grandi transatlantici REX e CONTE DI SAVOIA vennero pure considerati come 'portaerei d'emergenza' da approntare ottimisticamente entro un anno. Ma il Ministro delle Comunicazioni e le lobbies del trasporto marittimo si opposero a questa trasformazione, considerando il 'valore residuo delle navi'. Con 50.000 t, 260 m di lunghezza, 30 di larghezza, avrebbero potuto operare con dozzine di aerei, essendo addirittura più grandi di una portaerei ESSEX americana. Ma è anche vero che si trattava di navi estremamente vulnerabili, specie ad attacchi subacquei. Una portaeri non si improvvisa senza pagare un prezzo elevato, ma in ogni caso, si trattò di un'altra occasione persa per la Marina, che forse in tal modo già nel 1942 avrebbe potuto mettere in servizio due portaerei di grandi dimensioni, anche se d'efficienza tutta da dimostrare<ref>Bagnasco, Cernuschi, ''La portaerei Impero?'' Storia Militare Maggio 2006, p.50-55</ref>.
 
 
===Sottomarini===
Cominciamo da questi ultimi; la serie di maggior successo era quella dei piccoli sommergibili classe '600 tonnellate' che erano i più numerosi della Marina. Si cominciò con i 12 ''''Sirena'''' del 1931, nel '35 i dieci ''''Perla'''', nel '37 ben 17 ''''Adua'''', e infine, nel 1940-41 i 14 'A'''cciaio'''' per un totale di 54. In campo a della 'media crociera' c'erano i 12 ''''Flutto'''' del 1941-43, e infine i due ''''Romolo'''' del 1942-43, un tipo speciale di cui si parlerà poi. Nel frattempo vennero realizzati altri mezzi: gli SLC che erano mezzi incursori (i 'maiali'), e i mini-sottomarini CB.
 
Nel 1940, allo scoppio della guerra, c'erano ben 115 sottomarini di cui 18 da media crociera, 6 media crociera-posamine, 46 costieri, ben 45 di grande crociera, ovvero adatti a missioni di lungo raggio. E' veramente strano notare come una nazione tanto 'inclusa' nel Mediterraneo, nonostante la colonia Etiope, avesse così tanti sottomarini capaci di operare in ambienti oceanici. Forse non sarà tanto strano, se si considera che le ultime 4 classi per un totale di 21 sottomarini, costruite prima della guerra (1937-39) erano tutte navi oceaniche. Questo non era certo giustificato da esigenze difensive della penisola, più che soddisfatte da navi come quelle costiere; né dalla rivalità con la vicina Francia. Evidentemente la crisi etiopica con la Gran Bretagna aveva suggerito in futuro un confronto aperto con gli Inglesi, anche fuori del Mediterraneo.
 
Quanto alla specialità d'assalto subacqueo, anche questa cominciò a muoversi, sulla scorta delle esperienze della I GM, dalla crisi etiope del 1935. Altro segno dei tempi.
 
I sommergibili italiani erano numerosi, e recenti: eccetto 32, gli altri avevano tutti meno di 10 anni. Ma con l'impiego dimostrarono tantissime pecche, non tanto per velocità, armamento, autonomia, all'altezza delle altre unità pariclasse. Ma i problemi erano altri: usare i sottomarini come 'boe' per operare in posizioni statiche, senza la tecnica dei 'branchi di lupi' tanto cara ai Tedeschi; mancarono per molto tempo mancarono sonar, centrali di lancio elettromeccaniche, siluri con acciarino magnetico, sistemi radio efficienzi ecc, oltre a sovrastrutture troppo alte e grosse, e tempi di immersione elevati.
 
Al dunque, i risultati furono particolarmente scadenti. A parte i successi ottenuti fuori dal Mediterraneo, nella caccia a navi isolate e vulnerabili, nel Mediterraneo gli Italiani ottennero l'affondamento di ben poche navi, con un impatto ridottissimo contro il traffico e le flotte da guerra britanniche.
 
In tutto vennero lanciati 427 siluri in 173 attacchi durante le operazioni in Mediterraneo, con la maggiore attività e i maggiori risultati nel '42 (50 attacchi con 132 siluri). In tutto vennero affondate circa 100.000 t di cui un quarto con le navi militari, oltre a varie unità danneggiate.
 
Nel 1940 c'erano 92 sottomarini efficienti su 115, nel settembre 1943 ne restavano 77 di cui 45 pronti, e durante il 1943 gli attacchi furono quasi inesistenti quanto ai risultati.
 
In tutto ben poca cosa, se si considera che le perdite furono di 88 sottomarini, di cui 66 nel Mediterraneo. Gli Italiani 'giocavano in casa', ma i risultati furono scadenti. Gli Inglesi, pur perdendo circa 40 sottomarini, ottennero risultati molto maggiori; i Tedeschi, che pure erano entrati solo dal '41, erano riusciti con 66 sottomarini (tutti andati perduti) ad affondare circa 600.000 t di naviglio tra cui 2 portaerei e una corazzata<ref>Nassigh, Riccardo: ''L'impiego dei sommergibili italiani nella II GM'' RID giugno 1993</ref>.
 
Un esempio di sottomarini classe del tipo '600, il capostipite 'Sirena'<ref>Armi da guerra 62</ref>
 
*Dislocamento: 679-701 t in superficie, 842-860 t immerso
*Dimensioni: lunghezza 60,18, larghezza 6,45 m, immersione 4,7 m
*Equipaggio: 45
*Motore: diesel da 1.200 hp, motori elettrici da 800 hp su due assi
*Prestazioni: velocità superficie 14 nodi, immerso 8 nodi, autonomia 9.000 km a 8 nodi, 135 km a 4 nodi immerso
*Armamento: 1 cannone da 100 mm, 2 poi 4 da 13,4 mm, 4 tls prodieri e 2 poppieri con 12 siluri da 533 mm.
 
L'efficacia dei nuovi tipi aumentò, ma non a sufficienza per capovolgere le sorti del conflitto. Certo che se i sommergibili italiani, per vari motivi, avessero potuto raggiungere l'efficienza di quelli Tedeschi, davvero la guerra avrebbe avuto un altro esito, anche considerando che differentemente dai Tedeschi, gli italiani giocavano 'in casa'. I Tedeschi, per esempio, non erano contenti di operare in Mediterraneo data la trasparenza delle acque e la luminosità, fattori capaci di far scoprire un sottomarino immerso a parecchi metri di profondità (cosa certamente non vera nei mari settentrionali).
 
Quanto ai minisommergibili, ai CA seguirono i CB, e poi i CC e CM da 34 m. Erano navi piuttosto tozze, almeno le prime serie. Gli unici successi furono quelli d'aver sorpreso e affondato due sommergibili russi nel Mar nero. I CC e CM non entrarono in produzione.
 
Due grandi sottomarini vennero poi realizzati, erano gli ultimi tra quelli effettivamente messi in servizio: il ROMOLO e REMO.
 
Erano grosse unità da quasi 2.000 t e destinate per i rifornimento subacqueo ai territori africani e insulari. Non ebbero fortuna. Uno venne affondato da un sommergibile inglese in agguato, e solo qualcuno in torretta riuscì a salvarsi dall'affondamento. L'altro venne colpito da un Wellington inglese, inizialmente danneggiato. Poi affondò senza superstiti.
 
 
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Nel dopoguerra, in effetti, i due 'Regolo' ex-francesi ebbero 8 cannoni tedeschi da 105 mm, che pure erano scarsi contro bersagli di superficie, ma capaci di un efficace tiro contraereo. Quelli italiani ebbero tre torri binate da 127 mm americane, che erano molto meno potenti delle 4 da 135/45 mm, ma erano armi a doppio ruolo con spolette e sistemi di direzione tiro efficienti radar americani.
 
 
 
 
===Incrociatori leggeri<ref>Armi da guerra n.41 e 82</ref>===
Gli articoli di maggior pregio della produzione bellica vera e propria erano le navi classe 'Regolo' o '''[[w:Classe_Capitani_Romani_(incrociatore)|Capitani Romani]]'''. Questi incrociatori erano i primi ad essere costruiti dopo molti anni, dopo i 5 gruppi con 12 'Condottieri' realizzati nel 1930-33. Ma erano navi di tipo 'convenzionale', mentre queste unità erano di caratteristiche del tutto diverse.
 
Il concetto era quello degli incrociatori leggeri di dislocamento ridotto, tipicamente britannico, ma abbandonato negli anni '20 dalle varie potenze navali. Ma una nuova competizione era partita tra Francia e Italia, che a parità di tonnellaggio consentito cercavano di superarsi con progetti migliorati.
 
Il tutto partì dai primi anni '20, quando vennero impostati i 3 grossi cacciatorpediniere 'Leone' del 1921-22, chiamati anche 'conduttori'. I Francesi risposero con i sei 'Chacal' con ben 50.000 hp, seguiti nel 1927 da sei 'Guepard' con 64.000 hp e 4 fumaioli. Gli Italiani misero mano ad una classe di grandi cacciatorpediniere, i 12 'Navigatori' entro il 1931. I Francesi andarono anche oltre con le 12 'Aigle' e 'Vauquelin'. Infine arrivarono gli enormi caccia 'Le Fantasque' da 132 m, 2570 t e 74.000 hp nominali. Armati con 9 tubi lanciasiluri da 550 mm, avevano anche 5 cannoni da 138 mm e la loro potenza effettiva, superiore a 80.000 hp, consentiva di raggiungere i 43 nodi, mantenendo 37 nodi continuativi. I 2 caccia 'Mogador' avevano uno scafo di 137 m, 8 cannoni binati da 138 mm e 10 tls.
 
L'Italia rispose con la concezione dei Capitani Romani o classe Regolo dal nome della capoclasse. Queste navi erano concepite non come supercacciatorpediniere ma come incrociatori leggeri.
 
Con uno scafo lungo 142 m, largo 14,4 m, da 3.750/5.400 t, essi erano similmente armati come i 'Mogador'. In questo caso avevano i cannoni da 135 mm. Questi cannoni, apparsi con le corazzate 'Duilio' ammodernate (ma in torri trinate), erano armi con una dispersione molto ridotta, precise perché se non altro non era richiesta la solita velocità iniziale elevatissima (e piuttosto controproducente per durata e accuratezza), capaci di sparare granate da 32 kg a circa 19 km. Erano armi antinave, con una limitata capacità di tiro antiaereo, essenzialmente per azioni di sbarramento.
 
Le navi avevano anche 8 tls da 533 mm, e 8 cannoni da 37 mm antiaeree. Inizialmente erano forse previsti i cannoni da 64/65 mm, con caricamento automatico. Queste armi non si resero mai disponibili, costruite in pochi esemplari e senza il sistema di caricamento automatico. I cannoni rimasero quindi i 37 mm, dalle capacità minori ma prontamente disponibili. Infine c'erano 8 cannoni da 20 mm per la difesa ravvicinata.
 
Ma era l'apparato motore quello che faceva impressione, erogando non meno di 110.000 hp per oltre 40 nodi di velocità. Era la velocità l'arma principale che gli Italiani avevano in mente, un pò perché faceva parte del credo della Marina, un pò perché si seguivano i Francesi in questa corsa alle 'super siluranti'.
 
Di questi incrociatori leggeri, solo 4 vennero completati. Lo SCIPIONE L'AFRICANO combatté nel '43 affondando una delle 4 motosiluranti inglesi che lo attaccarono, per poi distanziarle (!) nella fase successiva del combattimento. Il REGOLO invece sopravvisse ad un siluramento. Infatti, la costruzione di queste navi era di tipo longitudinale, per una maggiore robustezza (come fecero gli inglesi con i cacciatorpediniere dagli 'J'). Una sola altra nave, il POMPEO MAGNO, entrò in servizio prima dell'armistizio. Le altre nove navi vennero demolite nei vari cantieri oppure affondate-auto affondate. L'ULPIO TRAIANO venne invece affondato da un attacco subacqueo inglese. Era ancora incompleto, ma fu pur sempre un brutto colpo visto che la lavorazione era arrivata al 90%.
 
Nel dopoguerra due navi, il REGOLO e lo SCIPIONE servirono nella marina francese, il POMPEO MAGNO (poi S.GIORGIO), assieme al GIULIO GERMANICO recuperato e ribattezzato S.MARCO, servirono a lungo nella Marina italiana, dimostrandosi navi riuscite.
 
Tecnicamente le navi di questa classe erano impressionanti, perché avevano una potenza propulsiva paragonabile a quella di un incrociatore pesante, pur stazzando questi 2-4 volte tanto. Ma l'arma della velocità era piuttosto effimera. Se strategicamente era certamente importante muoversi con velocità ed essere 'nel posto giusto e nel momento giusto', in termini tattici la cosa non era tanto vera, e la velocità comprometteva spesso le altre caratteristiche fondamentali, la potenza di fuoco e sopratutto la protezione. In campo terrestre questo fu 'rilevato' dagli inglesi con i loro carri 'cruiser', veloci ma poco protetti; in mare fu altrettanto reale, come dimostrò la battaglia tra il Graf Spee e gli incrociatori inglesi (Exeter, Ajax, Achilles), più veloci ma più deboli. Anche la [[w:Battaglia di Punta Stilo|Battaglia di Punta Stilo]] dimostrò lo stesso, allorché la più lenta HMS WARSPITE mise in fuga la GIULIO CESARE dopo averla gravemente danneggiata, anzi questo disimpegno fu possibile solo per la sua scorta, dato che la velocità della nave italiana era scesa ad appena 19 nodi. Ma fu sopratutto la [[w:Battaglia di Capo Spada|Battaglia di Capo Spada]] che mise in evidenza l'impossibilità di combattere una battaglia tra grandi navi se una delle due parti aveva unità sprotette, con la perdita del COLLEONI italiano.
 
Tornando indietro nel tempo, i primi 4 'Condottieri' erano il gruppo 'Da Giussano', capaci nelle prove di ben 42 nodi di velocità, praticamente quanto facevano i 'Regolo'. Erano navi velocissime, ma la protezione quasi inesistente li fece soprannominare 'incrociatori di carta'. Andarono tutti perduti durante la guerra. Anche il secondo gruppo dei 'Condottieri' permetteva 39 nodi, mentre la protezione era impercettibilmente superiore: anziché la corazza a murata di 25 mm, ce n'era una da 24 e una paratia interna da 18 mm. L'ultimo dei 5 gruppi di 'Condottieri' era invece quello dei due 'Abruzzi', con un dislocamento quasi raddoppiato. I cannoni passavano da 8 a 10, ma la cintura corazzata era adesso di 100 mm più 30 nella paratia interna. Entrambe le navi, seppure duramente colpite nel conflitto, sopravvissero. La diminuzione della velocità di diversi nodi non fu quindi un problema.
 
Inoltre, l'efficienza delle macchine e il dislocamento effettivo (in condizioni belliche, non nelle prove) era opinabile, tanto che nel 1940 i primi 'Condottieri' superavano di poco i 30 nodi. Un 'Regolo', teoricamente inferiore per protezione e potenza di fuoco, non avrebbe forse avuto destino diverso del COLLEONI: immobilizzato da una singola cannonata da 152 mm in sala macchine, e poi affondato dai cacciatorpediniere con 3 siluri a segno.
 
La mobilità è senz'altro la più degradabile delle qualità essenziali (le altre sono la protezione e la potenza di fuoco), alle volte può bastare un colpo a segno o un'avaria per ridurla o annullarla. Inoltre vi sono problemi che la velocità non aiuta a risolvere: gli attacchi aerei e sottomarini erano pericolosi anche per navi rapide come i cacciatorpediniere, molti dei quali affondati. Le secche, gli scogli e ovviante le mine nullificavano ogni vantaggio della velocità.
 
I 'Regolo' erano previsti sopratutto per gli attacchi ai convogli. Essi avrebbero dovuto quindi affrontarne le navi di scorta. Gli incrociatori leggeri britannici più piccoli erano i Classe 'Arethusa', che già potevano vantare 6 cannoni da 152 mm e 4-8 cannoni da 102 mm. Inoltre avevano una corazzatura di circa 51 mm per cintura e ponte corazzato. I cannoni da 135 mm avevano difficoltà a penetrare questa pur modesta protezione, e solo con i proiettili semiperforanti. I colpi da 152 mm, pesanti 50 kg, erano invece micidiali anche con le granate HE, che però potevano portare 6 kg di esplosivo anziché 2-3. Se i 'Regolo' colpivano un 'Arethusa' non necessariamente erano capaci di lederne sala macchina e depositi munizioni; se l'Arethusa colpiva un 'Regolo', privo di corazze protettive (solo 15 mm sul ponte e 20 mm per le torri), l'effetto sarebbe stato devastante. Anche i colpi da 102 mm erano pericolosi. I più recenti incrociatori 'Dido' avevano 8 o 10 cannoni da 133 mm, di caratteristiche simili ai 135 mm, ma essendo armi a doppio scopo (antiaeree) potevano sparare 8-10 colpi al minuto contro 5-6, superando il volume di fuoco (con armi di gittata e granata simili) dei 'Regolo'. Al contempo avevano corazze spesse fino a 76 mm, difficilmente attaccabili dai 135 mm. Salendo di livello, c'erano i 'Leander' con corazze da 76 mm e 8 cannoni da 152 mm, i 'Town' con corazze da 114 mm e 12 cannoni da 152 mm, e i 'County' con cannoni da 203 mm (granata da 120 kg). Inoltre c'erano i cacciatorpediniere, armati con pezzi da 120 mm che erano pur sempre una minaccia concreta per navi senza corazze. Due-tre caccia britannici potevano disporre tra i 12 e i 24 cannoni da 120 mm (fino a 10 colpi al minuto, gittata 15 e passa km, granate da 23 kg), se singolarmente erano inferiori ad un 'Regolo', in gruppo potevano causare un notevole problema.
 
In sostanza, i 'Regolo' erano realizzati bene, ma concettualmente erano un 'binario' morto, e non ebbero seguiti di sorta. Le macchine motrici erano il maggior costo per un incrociatore (all'epoca l'elettronica era decisamente una voce 'minore'). Un'unità che puntava tutto sulla velocità, come e più dei primi 'Condottieri', era una nave sbilanciata. Ne risultava una nave costosa molto costosa(per via delle macchine motrici), priva di protezione e dunque vulnerabile, relativamente poco armata (con lo stesso sistema motore era possibile costruire un incrociatore pesante) e inoltre i cannoni principali erano pressoché privi di capacità contraerea, quando il conflitto dimostrerà che era fondamentale avere un pesante armamento contraereo anche per i cannoni principali. Per esempio, si veda l'evoluzione dei cacciatorpediniere britannici (fino ai 'Weapon'), mentre le navi giapponesi e americane erano già armate di cannoni DP. Strano a dirsi, nonostante l'assenza di cannoni a doppio ruolo per i cacciatorpediniere, negli anni '20 già c'erano affusti per incrociatori pesanti, in calibro 203 mm, che dimostrarono solo d'essere costosi e scarsamente funzionali (anche se la velocità degli aerei degli anni '20 poteva far sperare nella loro efficacia).
 
Nel dopoguerra, in effetti, i due 'Regolo' ex-francesi ebbero 8 cannoni tedeschi da 105 mm, che pure erano scarsi contro bersagli di superficie, ma capaci di un efficace tiro contraereo. Quelli italiani ebbero tre torri binate da 127 mm americane, che erano molto meno potenti delle 4 da 135/45 mm, ma erano armi a doppio ruolo con spolette e sistemi di direzione tiro efficienti radar americani.
 
===Cacciatorpediniere<ref>Cernuschi, E: ''Gli ultimi due Comandanti'' Storia Militare luglio 2007</ref>===