Linguistica contestuale/Noam Chomsky: differenze tra le versioni

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'''IL TRASFORMAZIONALISMO'''
 
Per questo motivo Chomsky introduce le regole « trasformazionali ». La sua grammatica è detta perciò « generativo-trasformazionale ».
In questa grammatica, ad una prima analisi « sintagmatica », che visualizza le strutture profonde delle frasi, segue una seconda analisi che chiarifica le regole di trasformazione, determinando la struttura superficiale delle frasi, che coincide con la forma finale degli enunciati.
 
Per esempio, alla struttura profonda
 
'''« io ordino a te tu vieni »'''
 
operano le trasformazioni che la mutano in:
 
''' « ti ordino di venire »''' .
 
La grammatica sintagmatica analizza solo la frase-base.
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Da parte mia ti si ordina di venire
Io … ordinarti di venire !…
(interrogativa, esclamativa ed imperativa; negativa, passiva ed enfatica).
La frase-base è « dichiarativa ».
 
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livello all'interno di una classe medesima, di prendere spunto da questi atti di comunicazione per avviare riflessioni sistematiche sulle caratteristiche dell'uso linguistico, così da rendere ciascuno il più possibile consapevole delle caratteristiche, della natura e delle possibilità dello strumento linguistico (E.C. Bernacchi,
pagg. 90-91).
 
 
§
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PRECURSORE DELLA MODERNA LINGUISTICA'''
 
Intuizioni dantesche di chiarissima.attualità sono la considerazione del linguaggio come «forma» e del « segno » come « libero »; il riconoscimento del divenire delle .lingue e della storicità del fatto linguistico; il rilievo del fattore sociale nel processo evolutivo dei linguaggi; la nozione di « lingua » come comunione linguistica nei confronti di un dominio dialettalmente differenziato; la nozione di lingua comune come tendenza cosciente all'unificazione, che si attua attraverso il magistero dell'arte e il prestigio e l'azione del potere politico.
 
Sarà bene analizzare brevemente solo alcuni di questi punti, mirabilmente illustrati da [[w:Antonino Pagliaro|Antonino Pagliaro]] (A. Pagliaro, Nuovi Saggi di Critica Semantica, la dottrina linguistica dì Dante, Editore G. D'Anna, Messina-Firenze 1963, pagg. 215 segg.).
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La parola è per lui il « segno fonico », come noi l'intendiamo, « rationale et sensuale » ([[w:De Vulgari Eloquentia|De Vulgari Eloquentia]], I, III, 2); ha, cioè, una realtà sensibile, in quanto il suono è oggetto di sensazione, ed una realtà spirituale, in quanto il complesso fonico ha un significato che ad esso inerisce non per necessità naturale, ma perche gli uomini ve lo attribuiscono: « nam sensuale quid est, in quantum sonus est; rationale vero, in quantum aliquid significare idest ad placitum » (De V.E. I, III, 3) (ed appunto questo segno è quel subietto nobile di cui parlo): infatti è alcun¬ché di sensibile, in quanto è suono; e di razionale, in quanto appare significare alcuna cosa a piacimento) (Dante Alighieri, Tutte le opere, a C.L. Blasucci, ed., Firenze 1965, pag. 205 b).
 
" Fu necessario, dunque, che il genere umano per comunicare fra sé le proprie idee disponesse di qualche segno sensibile e razionale; che esso, dovendo da ragione ricevere ed a ragione portare, fu necessariamente razionale; e non potendosi d'altra parte riferire da una ragione all'altra se non per mezzo sensibile, fu necessariamente sensibile. Pertanto, se fosse soltanto razionale, non potrebbe passare dall'uno all'altro; se fosse soltanto sensibile, non potrebbe da ragione ricevere ed a ragione portare » (De V.E. I, III, 2).
 
Sono da rilevare due punti essenziali in questa concezione.