Storia della letteratura italiana/Librettisti: differenze tra le versioni

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Pubblicò un volume di ''Rime'' (Londra, 1717), molto fortunato, e due libri di "''Canzonette e cantate'' (Londra, 1727). La parte più viva della sua opera è contenuta negli ''Endecasillabi'' (una sezione delle ''Rime'') e nelle ''Canzonette''. Tra queste ebbe fortuna sterminata ''La neve è alla montagna'', imitata in séguito da [[w:Giovanni Battista Casti]] e da molti altri. La canzonetta ebbe tanta fortuna da sfuggire immediatamente di mano all'autore, per quanto celebre; tantoché [[w:Carlo Innocenzo Frugoni]], incaricato di imitarla, seppe solo dopo averne fatto due plagi chi ne fosse l'autore (già per altri versi famoso); scriveva infatti da [[w:Parma]], il 23 dicembre 1728 al marchese Ubertino Landi a [[w:Piacenza]]: "E' qui scappata fuori una canzonetta d'incerto autore, che comincia: ''La neve è alla montagna'', ed ella non è del tutto disavvenente. Ha certi tratti di bellezza pastorale, che puon piacere anche agl'intendenti. Qui le Dame la cantano e le han dato un'aria, che ben le siede. Io sulla misura di detta canzone due ne ho dovuto fare. Una è quella che con questo corrier vi mando. L'altra con l'altro spedirovvela".
La sua importanza nell' evoluzione del gusto arcadico verso il rococò è evidente negli aggraziati ''Endecasillabi''.
Pubblicò tutta la sua opera nei tre volumi dei suoi "''Poetici componimenti''" ([[1753]]).
Tradusse in italiano:<br>
[[w:Paradiso perduto (poema)|Il paradiso perduto]] di Milton (1729-[[1735|'35]]) <br>
le ''Odi'' di [[w:Anacreonte]] ([[1739]]).
 
Paolo Rolli tentò inoltre di trasporre nella versificazione italiana l'[[w:endecasillabo]] falecio della [[w:metrica classica]], unendo un quinario sdrucciolo con un quinario doppio.
Questo tipo di endecasillabo infatti è detto ''endecasillabo rolliano''.
 
[[w:Carlo Calcaterra]] ([[1926]]) così ne rileva la più specifica cifra stilistica: "In altre parole il Rolli fu poeta. Senza dubbio ha anch'egli la sua zavorra: l'oda ''La Poesia'' è un'esercitazione accademica sermoneggiante e donoccolata; l'oda ''Al Conte di Galasso'' è priva di qualsiasi ispirazione; l'oda ''Ad Alessandro Polwarth'' vorrebbe essere un pezzo di bravura ed è plumbea fatica; nell'oda ''Al Passionei'' egli vorrebbe apparir vate magnifico con la zimarra di Febo, e fa sonante retorica; nella canzone ''Per la nascita dell'Arciduca d'Austria'' (1716), come i [[w:Gabriello Chiabrera|chiabreristi]] e i [[w:Alessandro Guidi|guidiani]], si atteggia a emulo di Pindaro e finge di parlar con gli Dei e con le Muse, e quanto più alza la voce, tanto più soffoca nella declamazione; altre sue odi vorrebbero essere oraziane nelle movenze e nelle forme e non ci toccano, perché prive di qualsiasi intimo fuoco. Così dicasi della maggior parte de' sonetti e delle ''Tudertine'' e de' suoi melodrammi: sentesi l'artefice laborioso, non l'animo che detta. Ma negli ''Endecasillabi'' ha alcuni tocchi vivi e delicatissimi". (P. R., ''Liriche'', con un saggio su ''La melica italiana dalla seconda metà del Cinquecento al Rolli e al Metastasio'' e note di Carlo Calcaterra. UTET, Torino 1926).
 
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