Divina Commedia/Inferno/Canto II: differenze tra le versioni

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{{quote|e temo che non sia già sì smarrito,}}
*64.'''e temo...ch'io mi sia tardi...(64-65)''':tutta la terzina esprime trepidazione, quel timore che è tipico dell'amore (è l'amore infatti che muove Beatrice, v.72); posta al centro del discrorso di Beatrice, è forse la più rilevante connotazione della sua umanità femminile, evidentemente fuori dal simbolo, e anche dalla sua realtà ormai oltre l'umano (come beata dovrebbe saper bene, infatti, che non è troppo tardi); se vi accostiamo il premuroso attacco (''O anima cortese...'') e la motivazione el tutto personale del v.69 (sì ch'i' ne sia consolata), ne risulta in pochi cenni una ben determinata persona umana, con quel tratto delicato e schivo che sarà proprio di tutte le giovani donne dantesche. Beatrice, come Virgilio, appare come realtà storica prima che come figura.
*'''smarrito''':per la perdita della ''diritta via'' (I 3).
 
 
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{{quote|amor mi mosse, che mi fa parlare.}}
*72.'''amor mi mosse...''':è l'amore suo personale per Dante, che tuttavia s'identifica ormai con l'amore divino, del quale solo vivino i beati. Che il primo aspetto sia presente, lo dicono i vv.61-6, che parlano di un preciso rapporto personale, ribatido nelle parole di Lucia ai vv.103-5. Ma quest'amore è anche parte di quell'amore eterno che nel mondo di Dante è causa prima di ogni evento o atto (cfr. per il verbo "muovere" l'ultimo verso del poema). Questo stesso amore, che spinge Beatrice a mandare Virgilio, le farà mandare Bernardo a condurre Dante all'ultima visione: ''a che priego e amor santo mandommi'' (''Par''. XXXI 96). Il coincidere dello storico con l'eterno, del gesto terreno dell'uomo con il suo destino ultimo, è alla base di tutta la ''Commedia'', e ne determina il linguaggio.
*72.'''amor mi mosse...''':
 
 
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{{quote|di te mi loderò sovente a lui".}}
*74.'''di te mi loderò sovente a lui''':spesso gli farò le tue lodi. Si riprende il tema iniziale (58-60) della lode a Virgilio; esso rientra in tutto il tono del discorso di Beatrice, che sembra voler dare al poeta latino, per sempre escluso dal luogo donde ella viene, ogni altro possibile confronto: la fama nel mondo, e perfino una lode in cielo. L'assurdità teologica di tale proposta corrisponde esattamente a quella dellle parole di Virgilio a Catone (''Purg''. I 82-4), quando gli offre di parlar bene di lui a Marzia nell'inferno. Le 2 frasi si spiegano dunque a vicenda con l'umana premura, e cioè la concreta realtà delle 2 guide di Dante, che sembrano-non a caso-scordare alcune regole fondamentali dell'oltramondo (come a Dante stesso accadrà più volte), spinte dalla loro naturale sollecitudine per gli altri, che è tratto comune ad ambedue.
*74.'''di te mi loderò sovente a lui''':
 
 
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{{quote|"O donna di virtù, sola per cui}}
*76.'''"O donna di virtù...''':o signora di tutte le virtù: cfr. ''Vita Nuova'' X 2, dove già Beatrice è chiamata "regina de le vertudi". È un altro preciso e decisivo richiamo, fatto nel momento solenne in cui Virgilio riconosce Beatrice e ne identificala funzione.
*76.'''"O donna di virtù...''':
*'''sola per cui...(76-78)''':