Divina Commedia/Inferno/Canto II: differenze tra le versioni

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{{quote|rispuose del magnanimo quell'ombra,}}
*44.'''magnanimo''':questo aggettivo è di grande importanza nel mondo morale dantesco. Se ne descrive il significato etico in ''Conv''. I, XI 18-20, contrapponendolo, come qui, alla pusillanimità (la ''viltade'' del v.45): "Sempre lo magnanimo si magnifica in suo cuore, e così il pusillanimo, per contrario, sempre si tiene meno che non è". Il magnanimo è colui che ha il coraggio di intraprendere e sostenere cose grandi (come, in questo caso, l'autore dell' ''Eneide''). Tale concetto, proprio dell'etica aristotelica, viene assunto da Dante-come da Tommaso d'Aquino-all'interno del suo universo cristiano, dove è centrale il sostenimento della dignità e grandezza dell'uomo, ma fondata su Dio (cfr. ''Conv''. IV, XIX 7 e ''Par''. VII 67-78).
 
 
{{quote|<<l'anima tua è da viltade offesa;}}
*45.'''viltade''':pusillanimità; che le 2 parole si equivalgano, si desume con certezza da ''Conv''. I, XI 2: "la quinta e ultima [ragione del disprezzo del prorpio volgare], viltà d'animo, cioè pusillanimità", che disprezza appunto sé e le proprie cose. Essa è considerata un vizio, in quanto impedisce all'uomo di compiere le nobili cose a cui pur sarebbe chiamato. Così Tommaso nel commento all' ''Eth. Nic.'' (l. IV, lect. VIII ad 1123b), e così Dante nei versi seguenti (46-8).
*45.'''viltade''':
*'''offesa''':colpita, e quindi menomata. Il verbo "offendere" è spesso usato da Dante per sentimenti che intaccano l'animo; cfr. IV 41; V 102 e 109; VII 71.
 
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{{quote|come falso veder bestia quand'ombra.}}
*48.'''come falso veder...''':come un credere di veder qualcosa che non c'è fa tornare indietro una bestia quando prende ombra ("ombrare" si dice delle bestie che si spaventano per qualcosa che credono di vedere). La ''viltade'' fa vedere ostacoli che non ci sono.
*48.'''come falso veder...''':
 
 
{{quote|Da questa tema acciò che tu ti solve,}}
*49.'''Da questa tema...''':affinché tu ti sciolga, ti liberi, da questo timore. Il timore, che riprende la ''viltade'' del v.45, è già dichiarato ingannevole dal paragone precedente con la bestia ombrosa. Tuttavia il pellegrino deve essere liberato da quell'"ombra" che lo impedisce-e che è il senso della propria indegnità (v.33); ed ecco la risposta, che non gli dice, si osservi bene, che egli sia in qualche modo degno, ma che la bontà divina si è mossa gratuitamente a farlo tale.
*49.'''Da questa tema...''':
 
 
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{{quote|Io era tra coloro che son sospesi,}}
*52.'''Io era...''':si apre con questo verso un nuovo scenario, e appare per la prima volta Beatrice, colei che sempre porta con sé il segno e il richiamo del divino nella vita di Dante. La luce che inonda questi versi, che irraggia lo splendore di un altro mondo in quella ''oscura costa'', è la risposta, sul piano figurativo, alle angoscie di prima; il v.55 sembra mettere in fuga da solo ogni ombra e ogni timore. Ritornano qui con Beatrice nel verso di Dante-dopo tanti anni-i modi e gli accenti della ''Vita Nuova'' (cfr. i vv.55-7), ma usati ora con la consapevolezza matura di chi, dopo l'esperienza delle ''Rime petrose'', delle canzoni morali e dottrinali, del ''Convivio'', si rifà a quel passato per riprenderne l'atteggiamento interiore-quell'intenzione pura che seguiva nella bellezza l'orma del divino (''Purg''. XXX 121-3), e che ora gli consente di ripartire e di abbandonare l'oscurità e l'errore. Tali modi quindi hanno un valore emblematico di riepilogo di una storia, proprio come Beatrice stessa, che è sì quella di allora, ma anche qualcosa di ben altro, figura centrale della grazia divina nella vita di Dante.
*52.'''Io era...''':
*'''sospesi''':nel limbo dantesco, dove si trova Virgilio (cfr. oltre, canto IV), gli spiriti vivono, pur nell'inferno, in uno stato intermedio tra peccatori e salvati, in quanto sono, come dice Benvenuto, "senza pena e senza speranza" (''sol di tanto offesi / che sanza speme vivremo in disio'': IV 41-2); di qui l'immagine della sospensione, come in una bilancia, a esprimere uno stato eternamente incompiuto, che Dante usa ugualmente in IV 45 (per il riscontro dell'immagine con un passo di Bonaventura, cfr. la nota ivi).
*'''sospesi''':
 
 
{{quote|e donna mi chiamò beata e bella,}}
*53.'''beata e bella''':questa coppia di aggettivi affini o dittologica (come più oltre ''soave e piana'') è di tipico gusto stilnovistico; la differenza fra i 2 significati è sempre una sfumatura, quasi una variazione sul tema. Fin dalla prima battuta, Beatrice porta con sé il ricordo e l'aura stessa della ''Vita Nuova''.
*53.'''beata e bella''':
 
 
{{quote|tal che di comandare io la richiesi.}}
*54.'''tal che...''':tale nell'aspetto, per quella bellezza e beatitudine che da lei spirava, che non potei altro che chiederle di comandare.
*54.'''tal che...''':
 
 
{{quote|Lucevan li occhi suoi più che la stella;}}
*55.'''Lucevan...''':gia abbiamo detto della forza vincitrice di questo verso luminoso: gli occhi, elemento primario di tutto lo Stil Novo, tornato nella ''Commedia'', fino agli ultimi canti, con valore diverso ed eminente, in quanto in essi splende la luce di Dio.
*55.'''Lucevan...''':
*'''la stella''':singolare per il plurale: le stelle in generale. Tale uso è documentato da Dante stesso: cfr. ''Vita Nuova'' XXIII, ''Donna Pietosa'' 50 e ''Conv''. III, ''Amor che ne la mente'' 80 (in tutti e due i luoghi, si ritrova nella dichiarazione in prosa la forma "le stelle"). Cfr. anche Cavalcanti, ''Rime'' XLVI 2: "più che la stella / bella, al mi' parere".
*'''la stella''':