Dati utili per wargamers/Cannoni controcarri: differenze tra le versioni

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A dire il vero, il costo di questi speciali missili non è irrilevante, e per questo i Peruviani hanno aggiornato i loro T-55 con rampe di lancio per i vecchi AT-3 Sagger sistemate ai lati della torretta, riprendendo una vecchia idea degli anni '60, tipica di mezzi come i carri leggeri AMX-13.
 
In sostanza, i cannoni controcarro sono quasi usciti di scena, sostituiti dai missili della fanteria e dai cannoni dei mezzi corazzati. Nondimeno, sebbene superati i cannoni S.R. e controcarro sono ancora, potenzialmente, efficaci sistemi controcarro nonché economici sistemi di supporto di fuoco, anche se pesanti e meno efficienti dei missili. Questo anche perché i proiettili sono molto meno costosi dei missili: nel caso delle armi contraerei, per esempio, la Bofors stima (pur producendo anche missili) che un SAM costi quanto 25 raffiche di cannone. Se quest'ultimo ha un sistema di controllo del tiro all'altezza, i risultati sono tutt'altro che trascurabili (anche se, eccetto i CIWS navali, è difficile trovare sistemi d'artiglieria realmente moderni: il più delle volte si limitano al tiro di sbarramento, vedi Baghdad nel 1991..). Nel caso dei cannoni c.c., la precisione balistica contro un carro è invece tale che, anche con un sistema di controllo del tiro semplice (essenzialmente, bisogna conoscere la distanza di tiro giusta, e non sempre visto che gli ingaggi possono capitare anche entro 'l'alzo di combattimento': per esempio, a tiro teso è possibile sparare, con i cannoni ad alta velocità, fino ad oltre 1 km facendo praticamente sempre centro), è possibile ottenere risultati, con un costo ben inferiore a quello dei missili (vedi il discorso Shillelagh). A tutt'oggi migliaia di cannoni di questo tipo sono utilizzati nel mondo, spesso di costruzione recente o aggiornati, mentre recentemente sono state proposte armi come lo Sprut-S da 125 mm, armato anche di missili AT-11 Sniper controcarro e controelicotteri, nonché con sistemi di visione notturna e computer di tiro digitale.
 
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Per capire come i risultati, qualunque tipo d'arma si possa concepire, siano nella realtà difficili da prevedere nella realtà, basti citare a questo proposito degliqualche esempiesempio storicistorico, di quelli che sono ben noti nei loro particolari. La cosa è particolarmente interessante perché aiuta a capire quello che succede nei campi di battaglia reali, e che nessun videogioco puòpotrà valutare nella sua interezzaappieno. Ecco quello che successe, per esempio, a Bir Hakeim, il 27 maggio 1942.
 
Ecco quello che successe, per esempio, a Battaglia di Bir el Gobi, ovvero Pozzo della Vergine, il 19 novembre 1941.
Come il successivo fatto d'arme a Bir Hakeim, altro punto della carta geografica molto vicino al nulla; questo desolato luogo fu teatro di un grande scontro tra mezzi corazzati, e in particolare fu la prima grande battaglia dell'Ariete. Qui gli italiani e gli inglesi si inflissero reciproche perdite, molto pesanti; ma alla fine furono gli inglesi a doversi ritirare perché gli italiani, di pochissimo, ma erano arrivati per primi e occupavano il territorio conteso. In sostanza, Rommel, nella previsione della sua avanzata verso Tobruk, aveva mandato in zona la 132° Divisione corazzata italiana, forte del 132° rgt carri sui battaglioni VII, VIII e IX; sul 32° rgt carri (che all'epoca erano ancora gli inutili L3), su I, II e III btg; sull'VIII rgt Bersaglieri s V, XII e III armid'accompagnamento, e sul 132 rgt (chissà quale confusione..) artiglieria su I e II gruppo da 75/27 mm e la I batteria e sezione B della Milmart, oltre ovviamente ai servizi. Il tutto venne organizzato, dal gen. Balotta (che per la prima volta avrebbe fatto combattere tutte le unità dell'Ariete insieme), erano 14 caposaldi presidiati dai Bersaglieri, con cannoni da 47 e mortai da 81 mm, dietro questi le artiglierie divisionali da 75 (a cui erano giunti da poco 200 proiettili EP, Effetto Pronto, ovvero HEAT). I cannoni della Milmart erano dietro ancora, al centro dello schieramento, e infine c'erano i carri armati. Il morale era ottimo nonostante le piogge abbondanti, che avevano se non altro ridotto il caldo del deserto.
 
Questa fu un' azione in cui i cannoni riuscirono a fissare un nemico mobile, che non era riuscito a prendere possesso per primo del territorio. Gli inglesi, che con la loro offensiva 'Crusader' per liberare Tobruk attaccarono iniziando proprio da questa parte, ma solo il 18 novembre, portarono all'attacco la 22nd Brigade con circa 150 carri Crusader nuovi di zecca. Mezzi molto apprezzati dagli Italiani, anche se in realtà non molto armati, protetti e, siccome poco affidabili, non così eccellenti nemmeno come mobilità. Nondimeno erano veicoli più avanzati di quelli italiani, ma se si riusciva a bloccarne la mobilità allora perdevano gran parte del valore. Per una battaglia frontale forse sarebbero stati meglio i Matilda e i Valentine, ma erano lenti e non era facile farli arrivare in tempo utile da qualche parte. Ma la 22nd Brigate era solo una parte della 7a Armoured Division (l'altra unità principale era la 7a). Sopratutto, nonostante ben 3 reggimenti carri, aveva solo una sezione controcarri da 40 mm, una batteria con 8 '25 libbre', e una compagnia di fucilieri, nonché una batteria di contraerea leggera.Come si vede, un'unità tutt'altro che equilibrata, un 'quasi tutto carri'. In ogni caso, la battaglia iniziò, dopo qualche scaramuccia, la mattina dopo. Così gli inglesi sapevano della presenza in zona dell'Ariete, ma credevano che si trattasse solo di un piccolo avamposto, con qualche carro e alcuni veicoli. Un primo scontro campale tra i Crusader e gli M della 3a cp., dei quali furono distrutti 3 carri e altri danneggiati sui 14 in tutto, costretti in quest'azione in campo aperto a ripiegare, dopo l'attacco dei mezzi inglesi. Poi, in seguito, altri 4 carri vennero distrutti, sorpresi in movimento mentre tentavano di supportare i bersaglieri, vennero sorpresi e distrutti. Ma i Bersaglieri e gli artiglieri, sparando da buche ad alzo zero, profondamente interrati, erano pressoché invisibili ai carristi inglesi che gli capitarono praticamente sopra senza accorgersene: mitragliere da 20, cannoni da 47 e da 75 colpirono duramente i primi che si fecero sotto, ignari di tutto, i Crusader del 2nd Regiment. Del resto le autoblindo inglesi in avanscoperta erano state più volte costrette a ripiegare e la ricognizione aerea non riuscì parimenti a capire dove fosse l'Ariete di preciso, pensandola km distante dalla posizione di Bir El Gobi. Dopo avere messo in crisi i bersaglieri con l'offensiva, iniziata verso le 10.30 del 19 novembre, i carri inglesi potevano travolgere le postazioni. Non c'erano riusciti fin'allora sopratutto per la sorpresa tattica e ancora di più, per la presenza dei cannoni da 102 della Milmart, che riuscirono a causare gravi danni agli attaccanti. A quel punto vennero lanciati 2 dei 3 battaglioni carri italiani sugli M13 (il terzo per riserva). Non erano più di una sessantina, ma il polverone e il fuoco dei cannoni da terra fecero credere agli inglesi che avessero a che fare con molti più mezzi. Vi furono due ore e mezzo di battaglia, tra esplosioni e folate di ghibli (che era particolarmente efficace nel nascondere la superficie del terreno, facendo il gioco degli artiglieri e bersaglieri), fino a che gli inglesi (almeno uno dei loro carri continuò a muoversi su di un solo cingolo, sparando all'impazzata) si ritirarono.
 
Alla fine, la carica degli ignari carristi inglesi fu del tutto futile. Non ebbero supporto da parte dell'aviazione; non ne ebbero sopratutto da parte della scarsissima artiglieria e della ancor più scarsa fanteria: la prima sparò per un certo periodo di tempo, la seconda praticamente non si mosse e non occupò le posizioni che i carri cominciavano a far arrendere, tanto che gli italiani poterono ritornare ai loro cannoni e sparare di nuovo contro gli inglesi. La mancanza di proiettili HE a bordo dei mezzi inglesi non aiutava certo a far fuori le posizioni italiane. Alcuni mezzi erano davvero danneggiati, da entrambe le parti: un carro inglese tornò con tutto l'equipaggio della torretta ucciso; ma il pilota portò il veicolo fuori dall'azione con il suo carico di caduti. I cannoni erano per lo più di piccolo calibro e così spesso erano necessari molti colpi per riuscire a mettere KO un carro, anche se se ne potevano perforare le corazze. Alla fine, vennero persi 30 carri dal solo 2° Reggimento con 11 morti, 19 feriti e 20 prigionieri; il 4° aveva perso 8 carri, con 22 prigionieri e 4 morti, non è chiaro il numero dei feriti; il 3° aveva avuto invece 4 carri distrutti o gravemente danneggiati, 6 morti e alcuni feriti. In tutto, quindi, sarebbero stati 42 i carri armati Crusader perduti. La forza del reggimento, a causa di queste perdite, dei carri che riuscirono a rientrare nelle loro linee anche se danneggiati, e di quelli vittime di guasti, praticamente si dimezzò. L'Ariete ebbe 34 carri fuori uso, 5 ufficiali e 11 truppe uccisi, più 50 feriti e 66 dispersi (prigionieri). L'8° Bersaglieri ebbe 9 morti, 18 feriti e 7 prigionieri, il 132° artiglieria solo 6 feriti, un cannone distrutto e 3 veicoli colpiti. Gli italiani dichiararono in tutto 40-50 carri colpiti e un centinaio di prigionieri, gli inglesi dichiararono 45 carri (non bisogna dimenticare che queste cifre sono parziali: per esempio c'erano anche alcuni carri L coinvolti nella battaglia, tanto che diversi vennero distrutti).
 
In tutto quindi, perdite comparabili anche in termini di numeri, peraltro incredibilmente bassi dato che per ore due grandi unità s'erano scontrate con centinaia di armi sparanti per ogni dove: gli italiani ebbero almeno 25 morti, 74 feriti e 73 prigionieri o dispersi; gli inglesi 21 morti, decine di feriti e 42 prigionieri.
 
L'azione inglese era stata scollegata sopratutto per la volontà del Gen Gott, che aveva ritenuto di prendere con poco sforzo l'obiettivo non immaginando certo che ci fosse un'intera divisione corazzata al suo interno, disperdendo le unità corazzate disponibili. Inoltre la sua brigata 'tutto-carri' non era certo l'ideale, visto che mancava un'apprezzabile quantità d'artiglieria e di fanteria a sostegno. A questo proposito, gli italiani realizzarono alcune opere difensive, ma in nessun caso pare vi fossero mine. Piuttosto, vennero trovate dagli inglesi strisce di sabbia rimossa e impastata con olio, che servivano da 'trappola' per i carri armati. Quanto alle artiglierie, pare che fossero, da parte italiana, per lo più i pezzi Mod 06, tutt'altro che adatti al ruolo controcari essendo a coda unica e con brandeggio di appena 7 gradi senza spostare l'affusto: la richiesta, non esaudita se non in parte, era per i Mod. 11, con doppia coda divaricabile, e seppur con le stesse prestazioni balistiche, un angolo di tiro di 54 gradi, ben più adatto per la lotta contro bersagli mobili.
 
 
Gli Inglesi persero di misura, per alcuni motivi: uno, non credevano che gli italiani portassero là tutta l'Ariete, per cui le loro forze erano sì potenti, ma non così preponderanti da sopraffare una divisione corazzata attestata a difesa; poi c'erano delle piogge molto pesanti che avevano reso la sabbia un pantano: altri carri sarebbero forse stati bloccati, ma non i Crusader, però se questo serviva a ridurne la velocità, allora sarebbe stato un problema per gli inglesi e un vantaggio per i cannonieri italiani. Inoltre, le perdite furono pesanti da entrambe le parti. Gli inglesi vinsero una prima battaglia di movimento in cui 3 carri italiani vennero messi KO. Poi però si scontrarono con uno schieramento di artiglierie di decine di pezzi, certamente con loro grande sorpresa dato che non si aspettavano forze nemiche in zona. Dopo che, tra una perdita e un'altra, stavano avvolgendo lo schieramento delle artiglierie, i carri M entrarono in azione, per un totale di un centinaio di mezzi, e li contrastarono. Ce n'era abbastanza per gettare la spugna e gli inglesi così fecero. PerseroLe unaperdite quarantinafurono di mezzicomparabili, see nonnegli oltre;scontri main glimovimento italianivinsero ebberoquasi 34sempre carrigli M,inglesi. alcuniQuesto inutilipuò carrisolo leggerifar Limmaginare ecosa 12sarebbe artiglieriesuccesso distruttise ofossero messi fuori uso,arrivati per cuiprimi nonostanteloro tuttoin izona, carrie inglesigli avevanoitaliani inflittoavessero perditedovuto consistentiattaccare. SoloMa che,l'ordine comedi dettoRommel arrivò prima, non erano loro a controllare ildell'offensiva territorioinglese e la 'patta' fu a vantaggio italiano. Le perdite umane, per quanto dolorose, furono sorprendentemente poche dopo ore di battaglia; evidentemente i reparti corazzati garantivano una protezione ben maggiore per i loro soldati, specie se si ricorda il massacro degli artiglieri indiani. Nondimeno, gli artiglieri francesi se la cavarono meglio di tutti e quindi anche qui è una questione molto relativa tra chi e come ingaggia battaglia. Gli Inglesi per esempio non ebbero un appoggio efficace delle loro artiglierie durante la battaglia di Bir El Gobi; gli italiani invece poterono contare sia sui cannoni dell'Ariete, sia su quelli mandati in rinforzo. INIn particolare susui 3 autocannoni da 102 mm della Milmart di cui sopra, lenti e vulnerabili, ma capaci di eseguire un efficace tiro contraerei con armi vecchie ma potenti; visto che gli artiglieri erano addestrati al tiro contraerei, colpire carri armati, anche se da un km di distanza, era per loro facile e così dichiararono 15 bersagli distrutti durante la battaglia, dimostrandosi certamente i migliori distruttori italiani (circa un terzo di tutte le perdite di corazzati inglesi furono rivendicate da loro).
 
 
 
 
Un'altro esempio, sempre in Africa settentrionale,Bir Hakeim, il 27 maggio 1942.
Allora l'Asse era in fase offensiva, e mirava a raggiungere Tobruk, come poi sarebbe accaduto. Ma prima doveva scontrarsi con le difese poste a Bir Hakeim, che è semplicemente un crocevia in mezzo al deserto, denonimato così per la forma del pendio che danno 3 cisterne interrate d'età romana, formanti due piccole alture. Per presidiare questo niente di sabbia vennero inviati i Francesi Liberi e in avanti a loro venne schierata la 3a Brigata indiana. Ma le cose andarono molto diversamente per queste due unità. Il comandante Koenig aveva avuto molto tempo per prepararsi allo scontro: tre mesi. E come il suo omonimo comandante della Base lunare Alfa, la sua posizione ebbe strutture ben interrate e con un minimo di esposizione all'esterno, per cui era difficile da rilevare dall'esterno. A maggior ragione se si considera che al di fuori del perimetro di 16 km, vi erano oltre 300.000 mine, quasi tutte controcarri, sia posate come campi minati a densità normale, che come 'marais', una specie di campo minato 'rarefatto'. 500 genieri ci avevano lavorato sodo (250 erano inglesi), e in tutto posarono presumibilmente ben oltre mille tonnellate di mine. A parte questo c'erano i cannoni, per lo più pezzi da 75 mm adattati al ruolo controcarri, ma anche armi da 47 mm sia francesi che italiane (preda di guerra). 300 fucili mitragliatori , 40 mortai da 81 mm e armi contraeree e d'artiglieria completavano il tutto, disperse in vari caposaldi. Così i 5.500 francesi erano ben armati ed equipaggiati per affrontare l'offensiva di Rommel. Sarebbero stati piegati alcuni giorni dopo, a forza di bombardamenti da parte della Luftwaffe, ma di questo non ci occupiamo qui.
 
Gli indiani invece, avevano una storia diversa. Originariamente unità di cavalleria montata, poi nel 1940 motorizzati, vennero sbaragliati nell'aprile del '41 dall'offensiva italo-tedesca. I superstiti vennero riuniti in seconda linea, e passò un altro anno prima che vennero mandati a combattere le forze dell'Asse. Nel frattempo la 3a Brigata venne trasformata in un'unità controcarri, unico esempio nelle forze del Commonwealth. Ebbe una dotazione complessiva di ben 24 ottimi obici da 88 mm e 72 cannoni da 40 mm. Già questo però dava l'idea di un problema: che era quello relativo ai pezzi controcarri. Prima che i 57 mm diventassero disponibili in quantità, i cannoni da 40 mm erano l'arma standard sia controcarri che per carri, degli inglesi. Erano armi potenti per il loro calibro, ma troppo ingombranti nel loro affusto trainato (anzi, praticamente intrainabile data la delicatezza), e vennero volentieri usate, ma non sempre, sul pianale di autocarri. Per aiutare le armi controcarri c'era bisogno di un cannone più potente e venne trovato, provvisoriamente, nel pezzo da 88 mm britannico. Questo però sguarnì le unità d'artiglieria che ne risultarono molto indebolite. Solo da El Alamein in poi le cose tornarono al loro posto e l'artiglieria britannica riprese a fare il suo mestiere, che non era certo quello di cacciare i carri in prima linea. Ma con una perforazione di 53 mm contro 40 mm a 900 m e 30 gradi d'inclinazione, il pezzo da 88 era certamente un'arma superiore rispetto al 40 mm (anche per gli effetti.. ben più decisivi sul bersaglio: non era solo un buco ricavato nella corazza, erano colpi devastanti).
 
I dati sulla perforazione di corazze erano:
*pezzo da 40 mm, a 30°: 47 mm a 455 m (o 53 mm ad angolo 0) e 37 mm a 910 m. Perforazione carro M13: scafo 728 m, torretta 546 m
*cannone italiano da 47: 43 mm a 500 m angolo 0 gradi
*cannone francese da 47/50 mm Mod. 37, a 30°: 57 mm a 100 m, 50 mm a 500 m, 42 mm a 1.000 m
*Mod.1897, a 30°: 50 mm a 400 m
*25 libbre: 55 mm a 910 m, a 30°
*Mitragliatrice Breda da 8 mm: 11,5 mm a 80 m, 9,5 mm a 250 m, 5 mm a 1.000 m. Perforazione dello scudo pressoché verticale, del 2 libbre/40 mm inglese, spesso 7,9 mm: 250 m (contro i 500-750 di gittata utile dello stesso).
 
 
In ogni caso, gli Indiani arrivarono in zona nel pomeriggio del 25 maggio. Non tutti: solo 30 dei 72 cannoni erano riusciti a seguire le avanguardie. Piazzole di tiro vennero approntate per i cannoni ritardatari, ma questi non arrivarono mai. Anche con il rinforzo di 6 cannoni Bofors da 40 mm, automatici (ma avranno avuto i proiettili perforanti?), la Brigata era indebolita e non ebbe il tempo di approntare delle difese adeguate. C'erano delle mine, ma non ci fu il tempo di stenderle sul territorio circostante i cannoni.
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Tornando al combattimento, gli italiani attaccarono di mattina presto e dopo 90 minuti travolsero gli Indiani, che tuttavia riuscirono a sganciarsi in parte, e a salvare la maggior parte delle artiglierie da 88 nonché i 6 Bofors. In tutto ebbero 211 morti, di cui 11 ufficiali, e circa 1.000 prigionieri. Gli italiani ebbero una trentina di vittime, 40 feriti e 23 carri KO. Anche se restarono padroni del campo di battaglia, 15 carri erano oramai irrecuperabilmente distrutti, per lo più dai colpi da 88 mm (i cannoni erano noti come '25 libbre', che la dice lunga sull'effetto se comparato ai 40 mm o 'due libbre', dal peso dei proiettili).
 
Ma il comandante del Reggimento carri dell'Ariete, il t.col. Maretti, andò in perlustrazione nelle prime linee, in motocicletta per rendersi conto della situazione. Incontrò un prigioniero indiano che si stava dirigendo verso le linee italiane ma senza scorta: il prigioniero lo colpì e lo ferì, lasciando lai divisionecarri senza comandante. I bersaglieri furono piuttosto lenti rispetto ai carristi e si verificò persino che alcuni indiani ritornarono ai cannoni abbandonati e spararono sui carri italiani, che da soli non potevano controllare il territorio e i prigionieri.
 
Ma nel frattempo i francesi cominciarono a sparare addosso agli italiani con le artiglierie. Nella 'fog of war' che si generò, senza più comando, prese le redini un ufficiale, Prestipino, che proveniva dalla Guardia di Frontiera e aveva fatto solo qualche mese di addestramento sui carri a Bracciano. Con una sessantina di mezzi andò all'attacco delle postazioni francesi. Si ritrovò il carro armato due volte KO per le mine, e mentre continuava ad attaccare ('testa bassa e avanti' ordinò) prese una cannonata che fermò anche il terzo carro. Stavolta venne ferito anche lui e catturato dai francesi. Altri reparti di carri, più esperti, cercarono una via adatta nei campi minati francesi ma non la trovarono. SESe non altro non subirono che minime perdite tenendosi alla larga dalla zona di maggior pericolo.
 
L'artiglieria italiana nell'occasione (dopo che i semoventi erano stati determinanti nel distruggere le postazioni indiane) non fece molto. I cannonieri francesi sì e uno di questi, di un caposaldo al centro dei combattimenti ebbe accreditati 5 carri e vari altri mezzi. Alla fine dei 60 carri attaccanti 31 (17 per le mine) rimasero sul terreno. I francesi fecero molti prigionieri e dopo che l'Ariete si ritirò, oltre ai carri dovette contare circa 100 perdite tra morti, feriti e prigionieri. Gli indiani avevano combattuto duramente facendo da flangiflutti e slegando l'azione degli italiani, ma alla fine ebbero perdite enormi, anche come caduti. I francesi, invece, ebbero un singolo ferito e un cannone distrutto, contro la decimazione di buona parte dell'Ariete. Questo tanto per dire come gli esiti possano mutare: nella stessa mattina l'Ariete passò da un livello di perdite a suo favore di 7:1 considerando solo i morti, a uno sfavorevole di 100:1 tutto compreso; oltre a perdere 53 carri armati, la maggior parte in maniera irrimediabile.
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Questo tanto per dire come le cose siano difficili da prevedere, e a maggior ragione se c'é un'azione slegata delle varie Armi.
 
Un'altro esempio, sempre in Africa settentrionale, fu la Battaglia di Bir el Gobi, ovvero Pozzo della Vergine. Altro punto della carta geografica molto vicino al nulla; eppure fu il luogo della prima grande battaglia dell'Ariete. Qui gli italiani e gli inglesi si inflissero reciproche perdite, molto pesanti; ma alla fine furono gli inglesi a doversi ritirare perché gli italiani, di pochissimo, ma erano arrivati per primi e occupavano il territorio conteso.
 
Questa fu pure un'altra azione in cui i cannoni riuscirono a fissare un nemico mobile, che non era riuscito a prendere possesso per primo del territorio. Gli inglesi portarono la 22nd Brigade con 150 carri Crusader nuovi di zecca. Mezzi molto apprezzati dagli Italiani, anche se in realtà non molto armati, protetti e, siccome poco affidabili, non così eccellenti nemmeno come mobilità. Nondimeno erano veicoli più avanzati di quelli italiani, ma se si riusciva a bloccarne la mobilità allora perdevano gran parte del valore. Per una battaglia frontale forse sarebbero stati meglio i Matilda e i Valentine, ma erano lenti e non era facile farli arrivare in tempo utile da qualche parte.
 
Gli Inglesi persero di misura, per alcuni motivi: uno, non credevano che gli italiani portassero là tutta l'Ariete, per cui le loro forze erano sì potenti, ma non così preponderanti da sopraffare una divisione corazzata attestata a difesa; poi c'erano delle piogge molto pesanti che avevano reso la sabbia un pantano: altri carri sarebbero forse stati bloccati, ma non i Crusader, però se questo serviva a ridurne la velocità, allora sarebbe stato un problema per gli inglesi e un vantaggio per i cannonieri italiani. Inoltre, le perdite furono pesanti da entrambe le parti. Gli inglesi vinsero una prima battaglia di movimento in cui 3 carri italiani vennero messi KO. Poi però si scontrarono con uno schieramento di artiglierie di decine di pezzi, certamente con loro grande sorpresa dato che non si aspettavano forze nemiche in zona. Dopo che, tra una perdita e un'altra, stavano avvolgendo lo schieramento delle artiglierie, i carri M entrarono in azione, per un totale di un centinaio di mezzi, e li contrastarono. Ce n'era abbastanza per gettare la spugna e gli inglesi così fecero. Persero una quarantina di mezzi, se non oltre; ma gli italiani ebbero 34 carri M, alcuni inutili carri leggeri L e 12 artiglierie distrutti o messi fuori uso, per cui nonostante tutto i carri inglesi avevano inflitto perdite consistenti. Solo che, come detto prima, non erano loro a controllare il territorio e la 'patta' fu a vantaggio italiano. Le perdite umane, per quanto dolorose, furono sorprendentemente poche dopo ore di battaglia; evidentemente i reparti corazzati garantivano una protezione ben maggiore per i loro soldati, specie se si ricorda il massacro degli artiglieri indiani. Nondimeno, gli artiglieri francesi se la cavarono meglio di tutti e quindi anche qui è una questione molto relativa tra chi e come ingaggia battaglia. Gli Inglesi per esempio non ebbero un appoggio efficace delle loro artiglierie durante la battaglia di Bir El Gobi; gli italiani invece poterono contare sia sui cannoni dell'Ariete, sia su quelli mandati in rinforzo. IN particolare su 3 autocannoni da 102 mm, lenti e vulnerabili, ma capaci di eseguire un efficace tiro contraerei con armi vecchie ma potenti; visto che gli artiglieri erano addestrati al tiro contraerei, colpire carri armati, anche se da un km di distanza, era per loro facile e così dichiararono 15 bersagli distrutti durante la battaglia, dimostrandosi certamente i migliori distruttori italiani (circa un terzo di tutte le perdite di corazzati inglesi furono rivendicate da loro).
 
Un altro esempio di come i carri possono cadere vittime dei cannoni controcarri è stato SerafinovichSerafimovich, in Russia, nel tardo luglio del '42. In quell'occasione i Sovietici lanciarono all'attacco numerosi carri armati, ma gli artiglieri italiani del 120° riuscirono a non cedere al panico (che spesso in Spagna si era verificato) e a reagire, sparando granate perforanti, HE ed HEAT contro i corazzati nemici. Questi ultimi erano di due tipi: i carri leggeri, che erano ancora i veloci ma poco protetti BT, e i nuovi T-34, loro discendenti. Alla fine quasi tutti i carri armati vennero messi KO o distrutti, ma le ondulazioni del terreno e l'erba nascondevano spesso i mezzi fino a quando non finivano quasi addosso ai cannoni. I BT si dimostrarono vulnerabili ai pezzi di medio calibro, ma resistenti anche a bruciapelo alle mitragliere da 20 mm. I cannoni usati dagli italiani erano una collezione impressionante (c'era anche un pezzo da 76 sovietico), e i risultati furono molto vari: mitragliere da 20 mm, vecchi cannoni da 75 mm, i nuovi pezzi da 75/34 mm, cannoni sovietici catturati, artiglierie da 100 e 105 mm etc. La battaglia vide confermate molte cose: per esempio gli artiglieri si dimostrarono ben disciplinati
Tra i tanti altri fatti d'arme non può mancare Medenine della primavera '43: Rommel attaccò con oltre 150 carri armati e i panzergranatiere le linee inglesi, ma non si rese conto che gli inglesi avevano schierato un gran numero di cannoni controcarri, per lo più da 57 mm, ma anche vecchi 40 mm (sempre meglio di niente) e sopratutto alcuni dei nuovi e segretissimi pezzi da 76 mm. L'effetto, nonostante che i tedeschi schierassero alcuni Tiger, fu devastante e alla fine della giornata Rommel dovette ammettere la sconfitta: si ritirò lasciando 53 carri e centinaia di morti sul campo di battaglia.
e capaci di riconoscere i tipi di carri nemici, dedicando le granate HE a quelli leggeri e quelle perforanti o HEAT (queste ultime appena consegnate, e sparate in circa 200 pezzi) ai carri armati medi. I carristi sovietici dal canto loro dimostrarono una notevole aggressività e coraggio. Spesso arrivavano talmente vicini, che letteralmente schiacciavano i cannoni controcarri italiani passandogli sopra con tutta la loro massa. Ma oltre a non essere numerosi in toto, attaccarono troppo isolati e scoordinati, così che non riuscirono a sfondare: ogni volta un numero tra uno e 4 carri si faceva sotto, e venivano presi sotto tiro da parte di numerosi cannoni schierati a difesa. I T-34 si dimostrarono molto tenaci: per averne ragione bisognò centrarli in punti deboli e non a grande distanza: la protezione frontale era quasi sempre capace di fermare i proiettili o minimizzarne l'effetto. Ma attaccavano senza sostegno dell'artiglieria e dell'aviazione; non avevano fanteria anche perché i bersaglieri sparavano sui fanti appollaiati sopra i mezzi costringendoli a saltare giù dai veicoli e quindi separandoli dai loro carri; e sopratutto non avevano apparentemente radio funzionanti. Avessero potuto coordinare l'attacco, lanciare anche solo una dozzina di mezzi in una sola carica, avrebbero travolto quasi per certo le linee italiane (specialmente vero in certi momenti e settori della battaglia). Anche così distrussero gran parte dei cannoni di alcune delle batterie italiane; ma un attacco isolato era troppo difficile e anche la forza bruta dei T-34 non bastava per resistere alle scariche di cannone che venivano sparate da intere batterie contro un singolo mezzo, trovando prima o poi il punto giusto per perforarne la corazzatura. In sostanza nessun attacco venne sferrato a livello superiore a quello di plotone, quando l'unità minima sarebbe stata con ogni evidenza la compagnia carri.
 
La descrizione della situazione è questa, in generale: la batteria da 75 mod.97/38 (ovvero i cannoni francesi di preda bellica da 75 mm trasformati in Pak, per lo più con granate HEAT capaci di perforare 75 mm ). Prima azione: 30 granate HEAT e 30 ordinarie, distruggendo 2 carri leggeri BT (o di altro tipo, non è sicuro che fossero per forza di questi modelli) con le HE, ingaggiati da 800 m, e un T-34 messo KO da una HEAT. Poi sono arrivati altri 3 carri, ingaggiati da appena 300 m con 20 HEAT: un T-34 venne messo KO colpito da parecchi colpi, dei quali solo due lo perforarono. Gli altri 2 si ritirarono, ingaggiati vanamente da 600 m con altre 10 granate HEAT. Ritornarono dopo circa mezz'ora, ingaggiati da alcuni colpi e respinti. Dopo poco tempo uno ritornò in azione, apparendo tra l'erba, e venne messo KO da appena 8 metri di distanza, con una delle 10 granate che colpì la torretta e uccise l'equipaggio del veicolo. Il secondo T-34 ritornò all'attacco da solo, e venne colpito da una HEAT delle 8 sparate, oltre che da un colpo perforante dei cannoni da 75/32 mm che si misero ad appoggiare la batteria controcarri. Il secondo giorno di offensiva (31 luglio) questa batteria ingagguò, verso le 13, dei carri T-34 che procedevano ad alta velocità da circa 600 m. Uno venne colpio in pieno e messo KO da una delle 15 granate HEAT, sul lato della torretta. Un altro venne colpito poi da una delle 14 granate HEAT, mentre altri due carri leggeri vennero messi KO da una ventina di HE. In tutto vennero accreditati a questa batteria 6 T-34 e 4 carri leggeri nei due giorni di combattimento. Il gruppo da 75/27 mm era schierato, il 30 luglio, ben più avanti delle altre artiglierie. Venne sorpreso da un gruppo di 4 carri leggeri che schiacciò 3 cannoni di una batteria e 2 di un'altra. Fu un'azione in cui i mezzi sovietici vennero distrutti dai cannoni superstiti, usando granate Mod. 32 senza innesco a mò di semi-perforanti. Ma differentemente dai cannoni da 75 della batteria controcarri, in questo caso i proiettili da 75 non avevano effetto sulla corazza anteriore nemmeno da 10 m: solo sui cingoli o sui lati entro i 100 m potevano essere efficaci, magari esplodendo e 'aprendo la corazza' per circa 20 cm dopo la penetrazione. Dopo due ore circa (alle 16) altri due carri leggeri irruppero nello schieramento d'artiglierie distruggendo altri due pezzi e venendo distrutti dai pochi cannoni superstiti. Dopo che uno di quelli distrutti venne rimesso in sesto durante la notte, i sei cannoni rimasti (quindi in tutto erano dodici, 4 per ciascuna batteria) affrontarono , verso le 13.30, 4 altri carri, che sbucarono da appena 150 m e stavolta c'erano anche 2 T-34. Distrussero ben 4 dei cannoni superstiti, poi proseguirono oltre e incendiarono 6 autocarri e 7 trattori d'artiglieria. I due cannoni rimasti spararono all'impazzata anche da 10 metri, e immobilizzarono ancora una volta i due carri leggeri, nonché uno dei T-34. In tutto vennero persi 10 cannoni contro 9 carri.
 
Il gruppo da 100 mm tentò l'ingaggio da 700-1000 m ma senza colpi a segno. Quello da 75/32 mm riuscì a perforare alcuni mezzi ma solo entro i 200-300 m, con proiettili perforanti. Non è chiaro quanti vennero colpiti. Un cannone da 105 mm colpì ai cingoli un T-34 immobilizzandolo, ma un secondo colpo a segno sulla parte superiore non ebbe nessun effetto. Le famose mitragliere Breda da 20 mm, con colpi semiperforanti si sono dimostrate poco efficaci contro i carri leggeri, nulle contro i T-34. Due carri leggeri hanno schiacciato altrettante mitragliere da 20 nonostante il tiro effettuato fino a 10 m di distanza.
 
Alla fine della sola giornata del 30, i sovietici persero 14 carri dei 39 impiegati. La divisione celere italiana aveva perso 13 caduti , 54 feriti, un disperso, ma sopratutto 10 cannoni da 75 , 2 mitragliere da 20, 13 autocarri e 7 trattori. Alla battaglia parteciparono anche i tedeschi. In tutto, i combattimenti durarono fino al 14 agosto nell'ansa del Don. Ma Serafimovich, attaccata dagli italo-tedeschi e occupata entro l'inizio di agosto dopo due giorni di contrattacchi sovietici appoggiati da carri armati. In tutto i sovietici persero 47 carri e 2 blindo, e altri 12 gettati nel Don per evitarne la cattura. Gli Italiani eliminarono 31 carri e 2 blindo, in alcuni casi con bottiglie molotov da parte dei bersaglieri ma per lo più con i cannoni delle batterie del 120°.
 
L'addestramento era stato fatto con dovizia di sforzi per rendere le batterie adatte alla battaglia contro i carri sovietici. Un BT-7 impantanato venne recuperato e sottoposto alla prova contro le sue corazze laterali da 15 mm. I proiettili da 8 mm sparati da una Fiat Mod.35, senza risultati apprezzabili; semiperforanti da 20 mm, che resero possibile la perforazione della torretta e scafo nettamente ma a soli 150 m (in pratica, almeno la parte anteriore era invulnerabile: forse avrebbe avuto la peggio contro proiettili perforanti 'puri', ma non c'erano). Cannone da 47/32 mm, con perforazione netta dello scafo e danni sul lato opposto, sempre da 150 m; proiettili da 75/27 spolettati, senza effetto, e senza spoletta, sfondando lo scafo da 150 m almeno; cannoni da 100/17 mm, da 450 mm, con granate spolettate, perforando torre e scafo; molotov, senza provocare incendi, 6 bombe a mano insieme, spezzando i cingoli e sfondando il tetto dello scafo; 2 bombe legate attorno al cannone, ovalizzandone leggeremente la canna.
 
Tra i tanti altri fatti d'arme non può mancare Medenine della primavera '43: il 6 marzo Rommel attaccò con oltre 150 carri armati e i panzergranatiere le linee inglesi, ma non si rese conto che gli inglesi avevano schierato un gran numero di cannoni controcarri, per lo più da 57 mm, ma anche vecchi 40 mm (sempre meglio di niente) e sopratutto alcuni dei nuovi e segretissimi pezzi da 76 mm. L'effetto, nonostante che i tedeschi schierassero alcuni Tiger, fu devastante e alla fine della giornata Rommel dovette ammettere la sconfitta: si ritirò lasciando 53 carri e centinaia di morti sul campo di battaglia.
 
 
===Bibliografia===
*Cappellano, Filippo, ''I cannoni controcarri dell'Armata rossa'', Panorama&Difesa, settembre 1997 pagg 42-48
*Le armi controcarro su ''Storia dei mezzi corazzati'', Fratelli Fabbri editori, 1976, pagg 552-560 e 613-616.
*Maraziti, Antonio: ''L'Ariete a Bir El-Gobi'', Storia Militare gen.2005 pag.4-16
*Landi, Guglielmi: ''Carri M in Africa Settentrionale'', Storia Militare giugno 2000 pag. 19-32
*Landi, Guglielmi: ''Carri M in Africa Settentrionale'', Storia Militare luglio 2000
*Cappellano, Federico: ''Serafimovich, 30-31 luglio 1942'', Storia Militare Maggio 2000 pagg. 17-27
*Del Rosso, A. ''Bir Hakeim'', Storia Militare nov. 2007 p. 17-30
*enciclopedia Armi da Guerra fascicolo 46 'I cannoni controcarri della II GM'.
 
 
 
 
[[Categoria:dati utili per wargamers]]
 
 
 
 
 
 
 
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Ma poi c'é un problema da affrontare, un nodo importante: che si intende per 'perforare una corazza'? Non è facile come sembra.
 
Poniamo che troviate scritto il dato: perforazione: 100 mm d'acciaio a 1000 m. Ok. Ma questo non spiega tutto. Anzitutto, in che condizioni avviene? Della distanza si sa, ma in concreto, delle condizioni in cui i 100 mm vengono perforati si conosce tutto? Se la corazza è verticale, un monoblocco di acciaio omogeneo è un conto: ma se si tratta di una corazza inclinata e-o laminata, spaziata, o di altri tipi ancora, che magari hanno una resistenza equivalente o una massa equivalente a 100 mm d'acciaio, allora è tutt'altra storia.
 
L'acciaio di per sè è importante: tanto più è duro, tanto meglio è, ma attenzione perché se cede tende a frantumarsi. In ogni caso, l'acciaio al nichel-cromo è molto meglio di quello al manganese, che in genere, per le sue caratteristiche, è piuttosto usato per i cingoli dei carri armati piuttosto che per le corazze. La durezza delle corazze della II GM arrivava in genere attorno ai 200 Brinnell, oggi si superano agevolmente i 400, per esempio. Le stesse munizioni sono meno efficaci e perforano meno contro i bersagli moderni, insomma.
 
Poi c'é la struttura: corazza omogenea o corazza laminata non sono affatto la stessa cosa: sopratutto se le corazze laminate sono fatte di tante piastre tutte superficialmente indurite, e magari con caratteristiche meccaniche diverse. Per esempio, i carri inglesi del tipo A10 avevano ottime corazze, eppure erano spesse solo 30 mm. In pratica, c'era una doppia corazzatura, con due piastre ciascuna indurita superficialmente e così lo spessore ha poco a che fare verso la resistenza. Le piastre di corazza sono più facili da 'indurire' superficialmente che in profondità. E sono tanto più facili da indurire se non sono molto spesse. Se anziché 100 mm d'acciaio omogeneo vi sono 2 piastre da 50 mm, non è la stessa cosa (=maggiore resistenza). Naturalmente costa di più, ma se per esempio in quei 100 mm vi sono 5 piastre da 20 mm, la resistenza è decisamente superiore. Proprio la corazzatura superficialmente indurita ha portato a realizzare proiettili chiamati APC, Armoured Piercing, Capped: significa che al corpo del proiettile perforante 'normale' si aggiungeva un cappuccio di materiale relativamente friabile: questo si frantumava all'impatto, ma intanto danneggiava la pelle della corazzatura e consentiva di far passare il nucleo perforante.
 
Questo effetto era già noto con le corazzate, che di fatto (vedi anche le torrette) hanno anticipato la tecnologia dei carri. Ma per i reparti terrestri le cose sono arrivate solo dopo a quest'evoluzione. Spesso i cannoni da 40 mm inglesi non riuscivano a perforare le corazze da 30 mm dei Panzer III tedeschi: questo perché, nonostante avessero una capacità perforante più che sufficiente in teoria, le corazze indurite causavano la frantumazione delle munizioni disgregandone il nucleo in acciaio o tungsteno, annullando le capacità perforanti. Le lamiere saldate vennero rapidamente trovate come le migliori per realizzare armature ad alta resistenza, mentre meno soddisfazione diedero quelle fuse, che tra l'altro erano più difficili da realizzare per lo scafo (alla fine l'optimum fu: corazza di fusione monoblocco per la torretta e saldata per lo scafo). Solo con la piena comprensione di questo fatto vennero costruiti gli APC. Ma siccome questi erano aerodinamicamente molto meno efficienti, nei tiri a lungo raggio tendevano ad essere meno efficienti e meno precisi degli APC. La soluzione furono i più efficienti APCBC, con una forma più allungata, simile a quella degli originali APC se non migliore.
 
Ma i proiettili perforanti monoblocco non erano l'optimum per garantire la perforazione delle corazze: c'era la necessità di applicare la maggior pressione possibile nel più piccolo spazio possibile: così vennero ideati vari tipi di munizioni che rivoluzionavano la tecnologia della lotta controcarri. Una fu la munizione APCR, e la simile HVAP: si tratta di una munizione con un nucleo molto pesante in tungsteno, rivestita da un involucro in alluminio: il tutto pesava meno del colpo a pieno calibro in acciaio, per cui a parità di carica (quando non era anche superiore), superava la velocità del tipo precedente, passando per esempio da 6 kg/700 ms a 3 kg/1000 ms. Così il proiettile perforava di più, e aveva una traiettoria più tesa: ma la resistenza aerodinamica era elevata con lo stesso calibro e metà peso, per cui la gittata utile era minore (sia pure con traiettoria tesa). Quando arrivava sul bersaglio l'involucro si fondeva e il nucleo penetrava nell'acciaio. Era meglio usare i proiettili decalibrati, che potevano essere sparati da cannoni di maggior calibro. Inizialmente si usarono cannoni con calibro decrescente, come fecero i tedeschi, ma questo proibiva l'uso di munizioni HE e sopratutto HEAT dato che il calibro dell'HEAT è fondamentale per le capacità di perforazione. Così vennero usati i cannoni normali, ma con i 'sabot' che adattavano il proiettile al cannone, per poi distaccarsi. Così può accadere che un proiettile del genere sia sparato con un'energia enorme. Dai primi proiettili di questo tipo, ideati dagli inglesi, il rapporto calibro-lunghezza della munizione è passato da 3:1 a 10:1, fino ad oltre 20:1 attuali. Facciamo l'esempio: un proiettile da 120 mm con proiettile moderno, a freccia balistica (per via delle alette poste in coda), è sparato da un cannone di questo calibro, che per aumentare ulteriormente la pressione d'esercizio (e quindi la capacità di perforazione) senza un cannone dalla canna molto lunga, ha assunto nuovamente la canna liscia come le artiglierie di 200 anni fa: la stabilità dei proiettili è stata assicurata dalle alette, che imprimono un moto rotatorio di stabilizzazione alla munizione anche senza la rigatura.
 
Un cannone da 120 mm spara munizioni da 4 kg a circa 1.600 ms, per un totale di diversi MJ di energia: eppure le munizioni moderne tendono ad essere di un calibro paragonabile a 20-30 mm: questo significa concentrare un'energia immane in un punto solo, che nessun proiettile da 20-30 mm potrebbe realizzare (arrivando a circa 200-300 kJ) pesando 100-300 gr con una velocità di circa 1000 ms. Per questo è possibile perforare anche 1 metro d'acciaio. Ma per riuscire nella perforazione è anche possibile sfruttare il principio HEAT, che consente di realizzare proiettili esplosivi (alle volte misti HE-HEAT) relativamente multiruolo, privi della necessità di essere sparati da armi di grande potenza (esistono persino bombe a mano HEAT..), e possono perforare diverse volte il calibro dell'ogiva: da circa 1-1,5 della II GM, a _7-8 volte adesso. Per giunta esistono persino testate in tandem per perforare forti spessori d'acciaio anche senza ogive molto grandi e pesanti (oltre che per affrontare corazze ERA). Il principio è simile ad una lente d'ingrandimento che concentri i raggi del sole, o alla fiamma di una candela (avete notato a che distanza è ancora in grado di bruciare ma solo se sull'asse longitudinale?), per cui praticando una cavità nell'esplosivo, e rinforzandola con un 'liner' di metallo (rame o addirittura uranio), da dissolvere dal 'fuoco' dell'esplosione e rendere un getto di particelle ad altissima energia, che esercitano anche oltre 1.000 t per cm2 di pressione. Un procedimento ancora più micidiale è la formazione, partendo dal suddetto piattello, di una vera e propria munizione perforante, si chiama 'proiettile autoforgiante' e viene sparato dalla carica cava come se fosse un cannone ad altissima velocità: è capace di perforare, pur essendo di materiale malleabile, diversi cm di acciaio e in genere viene usato per munizioni che esplodono sopra il tetto dei carri armati. Esiste poi anche la granata HESH o HEP, che ha un'ogiva a schiacciamento. Molto apprezzata dagli inglesi, trasmette un'onda d'urto che frantuma la faccia interna della corazza, staccando un 'discoide' che si proietta come schegge all'interno a circa 200 ms. I proiettili HE, con spoletta a scoppio ritardato, i semiperforanti o i proiettili HE senza spoletta sono tutti proiettili usati per compiti controcarri. Le granate HE da 88 mm erano più che sufficienti per distruggere i carri armati fino a diversi km di distanza, durante la II GM, e questo nonostante che non vi fossero certo i sistemi di telemetria moderni, con relativi computer e affini per la direzione del tiro.
 
Ma le corazze, sopratutto quelle frontali dei carri sono una notevole incognita, specie nei tempi moderni.
 
Torniamo alla piastra da 100 mm. Anche se fosse di tipo omogeneo, se fosse inclinata sarebbe pur sempre un problema per i proiettili perforanti. A 60 gradi lo spessore virtuale raddoppia e così diventa una piastra da 200 mm di spessore. Anche se serve una piastra parimenti maggiore come lunghezza (ovvero, se lo scafo del carro è di 1 m di altezza, che questo sia coperto da una piastra di 20 cm verticale o da una da 10 cm inclinata a 60 gradi non cambia nulla), di fatto le corazze inclinate sono state molto efficaci e apprezzate (dai tempi delle armature medioevali: basti vedere gli elmi, per farsene un'idea). C'é poi un altro discorso, quello sull'angolo limite oltre cui anche un sasso (e persino un proiettile) rimbalza sull'acqua. Molti proiettili perforanti di vecchio tipo ne soffrivano, ma sopratutto ne soffrivano i primi APDS decalibrati: se il pezzo inglese da 76 mm perforava 200 mm con questi, contro 130 con gli APBCB, a 60 gradi il vantaggio si riduceva a circa 70 contro 60 mm, per cui in realtà la riduzione era maggiore di due: anzi, nel caso dell'APDS era di circa 3:1. I proiettili moderni hanno meno problemi e sono più stabili, ma anche loro dovranno pur avere un angolo 'limite'. Inoltre le strutture tridimensionali hanno più assi: se la corazza fosse inclinata di 60 gradi e al contempo, si sparasse da 15 gradi sul lato della piastra, allora l'angolo composito sarebbe maggiore: e un proiettile capace di perforare corazze anche se inclinate di 60 gradi sarebbe respinto. Anche le ogive HEAT hanno problemi: quando esplodono non risentono dell'inclinazione se non nei termini geometrici, ma la spoletta può fallire l'innesco. Anche gli HESH si ritrovano più 'dispersi' da supefici inclinate.
 
Le corazze inclinate, insomma, possono fare brutti scherzi. Se sono monolitiche, però, sono ancora prevedibili nel loro comportamento. Ma se si tratta di corazze laminate il discorso cambia, come s'é visto. Se poi si tratta di corazze distanziate è ancora peggio. Un modo pratico per annullare le HESH? una corazza a 'doppia pelle' non consente la propagazione dell'onda d'urto fino a dentro il mezzo, in pratica annullandone l'effetto. Una corazza di questo tipo tende poi a negare (sopratutto con le vecchie ogive, ma molto meno con le nuove, che alle volte se ne possono persino avvantaggiare!) la distanza di scoppio ottimale (diversi calibri) alle ogive HEAT, che per questo sono provviste di vistose sonde per la spoletta e-o sono sistemate (nei missili) a metà dell'arma. Per l'RPG-7 con la granata originale, per esempio, spesso si dice che perforasse 320 mm d'acciao, ma questo non risulta dai test fatti dagli americani sui sistemi catturati: i dati riguardano 220-330 mm con una media di circa 250-260 mm. Già questo fa capire l'aleatorietà delle prestazioni puramente teoriche. In ogni caso questa ogiva, per quanto primitiva, perforava a 60 mm dall'esplosione 150 mm d'acciaio, 100 mm a 90 cm, e ancora a 3,6 m la blindatura di un M113. Le corazze a intercapedine hanno anche la possibilità di dare un certo disturbo alle munizioni perforanti, ma meno che nei tipi esplosivi. Sono comode anche per ridurre i rumori interni e il calore o il freddo che vengono dall'esterno (in genere il secondo non è un problema dentro un mezzo corazzato).
 
Le corazze composite sono anche più difficili da valutare. I sovietici sono stati dei precursori in questo campo, ma quelle più note sono le 'Chobbam' inglesi. In pratica sono un sandwich di concezione segreta, fatto di piastre ceramiche, kevlar, spazi vuoti etc. tra due muri d'acciaio. Anche se hanno maggior volume a parità di peso, il loro vantaggio è che, a parità di massa, resistono di più alla penetrazione. Per esempio, la nostra piastra da 100 mm d'acciaio a 60 gradi (tipo quella di un T-62) offre 200 mm di LOS (spessore equivalente), di più se è di tipo laminato o spaziato, mentre per la Chobbam arriverebbe, con massa equivalente a 100 m, a 280 mm contro proiettili perforanti. Ma non solo questo: a complicare i calcoli c'é anche il fatto che qeusta corazza era stata pensata sopratutto contro le HEAT, visto che i proiettili perforanti degli anni '60-70 erano affrontabili con una certa sicurezza dai carri armati britannici (pesanti 55 t, bella forza..). Contro queste il miglioramento non è di 1,4 ma di 2+, quindi sarebbero 400 mm. Le Chobbam più recenti sono state ottimizzate anche per i proiettili perforanti, specie con piastre di ceramica o di uranio impoverito. In tutto si arriva anche a 600-800 mm per la protezione dello scafo, 1000-1500 mm per la torretta!
 
I carri sovietici hanno avuto uno sviluppo più economico, con piastre d'acciaio alternate a vari tipi di materiali sintetici. Un T-72 per esempio, ha una piastra anteriore tipicamente inclinata di ben 67 gradi, costituita da 80 mm d'acciaio, 2 strati da 50 mm l'uno di un materiale simile al ferodo dei freni, e poi altri 20 mm d'acciaio. Talvolta sono stati aggiunti (per proteggere dai proiettili M111 israeliani da 105 mm, che hanno aumentato la perforazione dei precedenti APDS da 100 a 150 mm, a 60 gradi e a 2 km) strati di 16 mm d'acciaio sopra questa struttura, raggiungendo spessori equivalenti vs perforanti ed HEAT di 400 e 500 mm circa: niente male per un carro da 40 t. Le corazze ERA, sviluppate dagli israeliani su idea tedesca, e copiate dai sovietici, sono capaci di proteggere i carri ma non senza controindicazioni: le ERA K-1 erano indirizzate a bloccare sopratutto le HEAT. Una ERA è un mattoncino con uno strato d'esplosivo senza spoletta, tra due o (spesso) più piastre metalliche, pronte ad essere proiettate via se l'esplosivo è fatto detonare. Potendo disturbare le HEAT (protezione in più sui 200 mm, contro perforanti 50-80 mm), è stato pensato anche a contrastare i proiettili APDSFS. Condizione necessaria e sufficiente sono piastre di maggior spessore e più pesanti: se si riesce a colpire con sufficiente forza un moderno proiettile perforante, che è fatto di materiale durissimo e con un rapporto l/d di oltre 20:1, è facile spezzarlo in almeno due parti. Inoltre maggiori spessori, per quanto rendano le ERA più pesanti, consentono di fornire protezione dai colpi di arma leggera e schegge (rischio di esplosioni premature) e di evitare che le ERA, una volta che esplodono, distruggano anche altre ERA vicine come spesso capita. In ogni caso è pericoloso per la fanteria trovarsi attorno a carri muniti di ERA, rendendo più difficile la cooperazione tra carri e fanti e quindi, indirettamente, più vulnerabili i carri stessi senza opportune tattiche di cooperazione. Le NERA sono simili: corazze reattive senza però cariche esplosive. Tra l'altro hanno il vantaggio di essere capaci di sopportare più colpi invece di esplodere al primo, anche se hanno un rapporto peso-efficacia minore. E' facile realizzarle: basta mettere strati alternati di acciaio e gomma, che reagiscono alla penetrazione muovendosi come una ghigliottina. Inoltre sono sicure per la fanteria. Le corazze BDD sovietiche, per i carri meno recenti, sono fatte in questo modo. I tedeschi non hanno adottato le corazze chobbam: a parte quelle ad intercapedine o aggiuntive distanziate (a seconda se si tratta dei Leopard 1 più recenti o di quelli ammodernati tipo l'A5), hanno adottato per i primi Leopard 2 le corazze 'forate'. Sembra un controsenso, ma si tratta di piastre che, con la presenza di fori al loro interno, danno moltissimi problemi pratici ai proiettili perforanti e alle HEAT, deviando la traiettoria d'attacco.
 
Tutto questo ovviamente non parla se non dell'ingaggio contro bersagli maggiormente corazzati, nel settore frontale. Sui fianchi i carri moderni sono molto meno protetti dei loro coevi della IIGM, almeno facendo la relazione con le corazze frontali. I carri di vecchio tipo erano capaci di resistere da ogni direzione quasi con la stessa forza: quelli moderni no, perché devono concentrare la massa in avanti per fermare armi sempre più letali (a cui si aggiungono munizioni con attacco dall'alto e mine con carica HEAT..). Così un carro capace di reggere a distanza ravvicinata il 120 mm frontalmente, è vulnerabile sui fianchi al 25 mm (con colpi APDS), o quantomeno al 30 mm.
 
Chiaramente lo spessore delle corazze deve far fronte anche al fatto che i carri moderni non colpiscono più in maniera aleatoria i bersagli, ma quasi con precisione scientifica. Per questo sul campo di battaglia moderno (se per moderno non s'intende l'attuale 'lotta al Terrorismo'..) i mezzi leggeri non trovano posto: nascondersi ed evitare i colpi è diventato difficilissmo, e questo in un raggio di 4 km. Un mezzo come la blindo Centauro potrà sembrare imponente e per la sua categoria lo è: ma quando si leggono i rapporti di guerra, in cui nel '91 i carristi americani trapassavano i T-62 anche da 4 km (nonostante le corazze da 100/60° anteriori, il motore diesel e la corazza posteriore), è chiaro che l'assunto secondo cui un veicolo del genere possa rimpiazzare un carro (di cui costa parimenti) è erroneo, e non casualmente il successo di questo mezo è rimasto piuttosto circoscritto, mentre i programmi d'aggiornamento dei carri armati, anche di vecchio tipo, hanno continuato a fiorire e a prosperare. Un carro M1 può reggere il suo munizionamento a distanza ravvicinata (sulla torretta praticamente a bruciapelo), quello stesso munizionamento trapasserebbe mezzi ben più protetti della blindo in parola anche a 4 km di distanza. Il motore anteriore=protezione qui si dimostra di validità molto limitata, e al più è credibile quando è applicato al Mervaka da 62 t.
Un altro esempio di come i carri possono cadere vittime dei cannoni controcarri è stato Serafinovich, in Russia, nel '42. In quell'occasione i Sovietici lanciarono all'attacco numerosi carri armati, ma gli artiglieri italiani riuscirono a non cedere al panico (che spesso in Spagna si era verificato) e a reagire, sparando granate perforanti, HE ed HEAT contro i corazzati nemici. Questi ultimi erano di due tipi: i carri leggeri, che erano ancora i veloci ma poco protetti BT, e i nuovi T-34, loro discendenti. Alla fine quasi tutti i carri armati vennero messi KO o distrutti, ma le ondulazioni del terreno e l'erba nascondevano spesso i mezzi fino a quando non finivano quasi addosso ai cannoni. I BT si dimostrarono vulnerabili ai pezzi di medio calibro, ma resistenti anche a bruciapelo alle mitragliere da 20 mm. I cannoni usati dagli italiani erano una collezione impressionante (c'era anche un pezzo da 76 sovietico), e i risultati furono molto vari: mitragliere da 20 mm, vecchi cannoni da 75 mm, i nuovi pezzi da 75/34 mm, cannoni sovietici catturati, artiglierie da 100 e 105 mm etc. La battaglia vide confermate molte cose: per esempio gli artiglieri si dimostrarono ben disciplinati
e capaci di riconoscere i tipi di carri nemici, dedicando le granate HE a quelli leggeri e quelle perforanti o HEAT (queste ultime appena consegnate, e sparate in circa 200 pezzi) ai carri armati medi. I carristi sovietici dal canto loro dimostrarono una notevole aggressività e coraggio. Spesso arrivavano talmente vicini, che letteralmente schiacciavano i cannoni controcarri italiani passandogli sopra con tutta la loro massa. Ma oltre a non essere numerosi in toto, attaccarono troppo isolati e scoordinati, così che non riuscirono a sfondare: ogni volta un numero tra uno e 4 carri si faceva sotto, e venivano presi sotto tiro da parte di numerosi cannoni schierati a difesa. I T-34 si dimostrarono molto tenaci: per averne ragione bisognò centrarli in punti deboli e non a grande distanza: la protezione frontale era quasi sempre capace di fermare i proiettili o minimizzarne l'effetto. Ma attaccavano senza sostegno dell'artiglieria e dell'aviazione; non avevano fanteria anche perché i bersaglieri sparavano sui fanti appollaiati sopra i mezzi costringendoli a saltare giù dai veicoli e quindi separandoli dai loro carri; e sopratutto non avevano apparentemente radio funzionanti. Avessero potuto coordinare l'attacco, lanciare anche solo una dozzina di mezzi in una sola carica, avrebbero travolto quasi per certo le linee italiane (specialmente vero in certi momenti e settori della battaglia). Anche così distrussero gran parte dei cannoni di alcune delle batterie italiane; ma un attacco isolato era troppo difficile e anche la forza bruta dei T-34 non bastava per resistere alle scariche di cannone che venivano sparate da intere batterie contro un singolo mezzo, trovando prima o poi il punto giusto per perforarne la corazzatura.