Dati utili per wargamers/Cannoni controcarri: differenze tra le versioni

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In sostanza, i cannoni controcarro sono quasi usciti di scena, sostituiti dai missili della fanteria e dai cannoni dei mezzi corazzati. Nondimeno, sebbene superati i cannoni S.R. e controcarro sono ancora, potenzialmente, efficaci sistemi controcarro nonché economici sistemi di supporto di fuoco, anche se pesanti e meno efficienti dei missili. A tutt'oggi migliaia di cannoni di questo tipo sono utilizzati nel mondo, spesso di costruzione recente o aggiornati, mentre recentemente sono state proposte armi come lo Sprut-S da 125 mm, armato anche di missili AT-11 Sniper controcarro e controelicotteri, nonché con sistemi di visione notturna e computer di tiro digitale.
 
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Per capire come i risultati, qualunque tipo d'arma si possa concepire, siano nella realtà difficili da prevedere, basti citare a questo proposito degli esempi storici, che sono ben noti nei loro particolari. La cosa è particolarmente interessante perché aiuta a capire quello che succede nei campi di battaglia reali, e che nessun videogioco può valutare nella sua interezza. Ecco quello che successe, per esempio, a Bir Hakeim, il 27 maggio 1942.
 
Allora l'Asse era in fase offensiva, e mirava a raggiungere Tobruk, come poi sarebbe accaduto. Ma prima doveva scontrarsi con le difese poste a Bir Hakeim, che è semplicemente un crocevia in mezzo al deserto, denonimato così per la forma del pendio che danno 3 cisterne interrate d'età romana, formanti due piccole alture. Per presidiare questo niente di sabbia vennero inviati i Francesi Liberi e in avanti a loro venne schierata la 3a Brigata indiana. Ma le cose andarono molto diversamente per queste due unità. Il comandante Koenig aveva avuto molto tempo per prepararsi allo scontro: tre mesi. E come il suo omonimo comandante della Base lunare Alfa, la sua posizione ebbe strutture ben interrate e con un minimo di esposizione all'esterno, per cui era difficile da rilevare dall'esterno. A maggior ragione se si considera che al di fuori del perimetro di 16 km, vi erano oltre 300.000 mine, quasi tutte controcarri, sia posate come campi minati a densità normale, che come 'marais', una specie di campo minato 'rarefatto'. 500 genieri ci avevano lavorato sodo (250 erano inglesi), e in tutto posarono presumibilmente ben oltre mille tonnellate di mine. A parte questo c'erano i cannoni, per lo più pezzi da 75 mm adattati al ruolo controcarri, ma anche armi da 47 mm sia francesi che italiane (preda di guerra). 300 fucili mitragliatori , 40 mortai da 81 mm e armi contraeree e d'artiglieria completavano il tutto, disperse in vari caposaldi. Così i 5.500 francesi erano ben armati ed equipaggiati per affrontare l'offensiva di Rommel. Sarebbero stati piegati alcuni giorni dopo, a forza di bombardamenti da parte della Luftwaffe, ma di questo non ci occupiamo qui.
 
Gli indiani invece, avevano una storia diversa. Originariamente unità di cavalleria montata, poi nel 1940 motorizzati, vennero sbaragliati nell'aprile del '41 dall'offensiva italo-tedesca. I superstiti vennero riuniti in seconda linea, e passò un altro anno prima che vennero mandati a combattere le forze dell'Asse. Nel frattempo la 3a Brigata venne trasformata in un'unità controcarri, unico esempio nelle forze del Commonwealth. Ebbe una dotazione complessiva di ben 24 ottimi obici da 88 mm e 72 cannoni da 40 mm. Già questo però dava l'idea di un problema: che era quello relativo ai pezzi controcarri. Prima che i 57 mm diventassero disponibili in quantità, i cannoni da 40 mm erano l'arma standard sia controcarri che per carri, degli inglesi. Erano armi potenti per il loro calibro, ma troppo ingombranti nel loro affusto trainato (anzi, praticamente intrainabile data la delicatezza), e vennero volentieri usate, ma non sempre, sul pianale di autocarri. Per aiutare le armi controcarri c'era bisogno di un cannone più potente e venne trovato, provvisoriamente, nel pezzo da 88 mm britannico. Questo però sguarnì le unità d'artiglieria che ne risultarono molto indebolite. Solo da El Alamein in poi le cose tornarono al loro posto e l'artiglieria britannica riprese a fare il suo mestiere, che non era certo quello di cacciare i carri in prima linea. Ma con una perforazione di 53 mm contro 40 mm a 900 m e 30 gradi d'inclinazione, il pezzo da 88 era certamente un'arma superiore rispetto al 40 mm (anche per gli effetti.. ben più decisivi sul bersaglio: non era solo un buco ricavato nella corazza, erano colpi devastanti).
 
In ogni caso, gli Indiani arrivarono in zona nel pomeriggio del 25 maggio. Non tutti: solo 30 dei 72 cannoni erano riusciti a seguire le avanguardie. Piazzole di tiro vennero approntate per i cannoni ritardatari, ma questi non arrivarono mai. Anche con il rinforzo di 6 cannoni Bofors da 40 mm, automatici (ma avranno avuto i proiettili perforanti?), la Brigata era indebolita e non ebbe il tempo di approntare delle difese adeguate. C'erano delle mine, ma non ci fu il tempo di stenderle sul territorio circostante i cannoni.
 
Gli Italiani dell'Ariete erano a pieni organici, con oltre 160 carri M13 e 16 (+4 carri comando) semoventi da 75 mm. Quando investirono con la maggior parte delle loro forze gli indiani, questi combatterono ferocemente, ma vennero sopraffatti dalla marea di carri italiani. Questi ultimi avevano a loro volta un problema: i pezzi da 47 mm avevano un'ottima granata HE ma per l'occasione, nonostante i numerosi colpi stivabili a bordo, c'erano solo proiettili perforanti. Per fortuna esistevano i cannoni d'assalto M40 con il pezzo da 75 mm: concepiti come artiglierie divisionali semoventi, in pratica in questo ruolo erano piuttosto deboli e piuttosto vennero usati come cannoni d'assalto e controcarri, in prima linea. Questo anche perché avevano corazze da 50 mm frontali, al nickel-cromo, ben superiori a quelle dei carri armati M, spesso fatte in leghe speciali al silicio-manganese e vulnerabili ad oltre 500 m contro i cannoni da 40 mm per la torretta, 700 m per lo scafo. Invece i cannoni d'assalto erano stati pensati, nonostante il ruolo di artiglieria divisionale, per resistere a questi cannoni. Da notare che mentre i carristi italiani morivano a centinaia nel deserto, con veicoli scadenti e di costruzione autarchica, le tre Littorio italiane avevano ciascuna 14.000 t di corazza fatta con le migliori materie prime disponibili. Ciascuna di queste era più che sufficiente per fornire corazze d'alta qualità a tutti i carri italiani: ma mentre le corazzate passarono la guerra quasi inattive, i carristi dovettero arrangiarsi con i sacchetti di sabbia sistemati alla bell'e meglio sul davanti dei loro carri. Davvero un uso non del tutto razionale di risorse, con le corazzate notevolmente costose e altrettanto inutili per la guerra moderna, che ne avevano beneficiato con precedenza sui carri armati.
 
Tornando al combattimento, gli italiani attaccarono di mattina presto e dopo 90 minuti travolsero gli Indiani, che tuttavia riuscirono a sganciarsi in parte, e a salvare la maggior parte delle artiglierie da 88 nonché i 6 Bofors. In tutto ebbero 211 morti, di cui 11 ufficiali, e circa 1.000 prigionieri. Gli italiani ebbero una trentina di vittime, 40 feriti e 23 carri KO. Anche se restarono padroni del campo di battaglia, 15 carri erano oramai irrecuperabilmente distrutti, per lo più dai colpi da 88 mm (i cannoni erano noti come '25 libbre', che la dice lunga sull'effetto se comparato ai 40 mm o 'due libbre', dal peso dei proiettili).
 
Ma il comandante del Reggimento carri dell'Ariete andò in perlustrazione nelle prime linee, in motocicletta. Incontrò un prigioniero indiano che si stava dirigendo verso le linee italiane ma senza scorta: il prigioniero lo colpì e lo ferì, lasciando la divisione senza comandante. I bersaglieri furono piuttosto lenti rispetto ai carristi e si verificò persino che alcuni indiani ritornarono ai cannoni abbandonati e spararono sui carri italiani, che da soli non potevano controllare il territorio e i prigionieri.
 
Ma nel frattempo i francesi cominciarono a sparare addosso agli italiani con le artiglierie. Nella 'fog of war' che si generò, senza più comando, prese le redini un ufficiale, Prestipino, che proveniva dalla Guardia di Frontiera e aveva fatto solo qualche mese di addestramento sui carri a Bracciano. Con una sessantina di mezzi andò all'attacco delle postazioni francesi. Si ritrovò il carro armato due volte KO per le mine, e mentre continuava ad attaccare ('testa bassa e avanti' ordinò) prese una cannonata che fermò anche il terzo carro. Stavolta venne ferito anche lui e catturato dai francesi. Altri reparti di carri, più esperti, cercarono una via adatta nei campi minati francesi ma non la trovarono. SE non altro non subirono che minime perdite tenendosi alla larga dalla zona di maggior pericolo.
 
L'artiglieria italiana nell'occasione (dopo che i semoventi erano stati determinanti nel distruggere le postazioni indiane) non fece molto. I cannonieri francesi sì e uno di questi, di un caposaldo al centro dei combattimenti ebbe accreditati 5 carri e vari altri mezzi. Alla fine dei 60 carri attaccanti 31 (17 per le mine) rimasero sul terreno. I francesi fecero molti prigionieri e dopo che l'Ariete si ritirò, oltre ai carri dovette contare circa 100 perdite tra morti, feriti e prigionieri. Gli indiani avevano combattuto duramente facendo da flangiflutti e slegando l'azione degli italiani, ma alla fine ebbero perdite enormi, anche come caduti. I francesi, invece, ebbero un singolo ferito e un cannone distrutto, contro la decimazione di buona parte dell'Ariete. Questo tanto per dire come gli esiti possano mutare: nella stessa mattina l'Ariete passò da un livello di perdite a suo favore di 7:1 considerando solo i morti, a uno sfavorevole di 100:1 tutto compreso; oltre a perdere 53 carri armati, la maggior parte in maniera irrimediabile.
 
L'aviazione non fece molto nella circostanza: 4 P-40 mitragliarono gli italiani, ma il maggior risultato che fecero fu colpire la tenda ospedale uccidendo il chirurgo e un infermiere.
 
Questo tanto per dire come le cose siano difficili da prevedere, e a maggior ragione se c'é un'azione slegata delle varie Armi.
 
Un'altro esempio, sempre in Africa settentrionale, fu la Battaglia di Bir el Gobi, ovvero Pozzo della Vergine. Altro punto della carta geografica molto vicino al nulla; eppure fu il luogo della prima grande battaglia dell'Ariete. Qui gli italiani e gli inglesi si inflissero reciproche perdite, molto pesanti; ma alla fine furono gli inglesi a doversi ritirare perché gli italiani, di pochissimo, ma erano arrivati per primi e occupavano il territorio conteso.
 
Questa fu pure un'altra azione in cui i cannoni riuscirono a fissare un nemico mobile, che non era riuscito a prendere possesso per primo del territorio. Gli inglesi portarono la 22nd Brigade con 150 carri Crusader nuovi di zecca. Mezzi molto apprezzati dagli Italiani, anche se in realtà non molto armati, protetti e, siccome poco affidabili, non così eccellenti nemmeno come mobilità. Nondimeno erano veicoli più avanzati di quelli italiani, ma se si riusciva a bloccarne la mobilità allora perdevano gran parte del valore. Per una battaglia frontale forse sarebbero stati meglio i Matilda e i Valentine, ma erano lenti e non era facile farli arrivare in tempo utile da qualche parte.
 
Gli Inglesi persero di misura, per alcuni motivi: uno, non credevano che gli italiani portassero là tutta l'Ariete, per cui le loro forze erano sì potenti, ma non così preponderanti da sopraffare una divisione corazzata attestata a difesa; poi c'erano delle piogge molto pesanti che avevano reso la sabbia un pantano: altri carri sarebbero forse stati bloccati, ma non i Crusader, però se questo serviva a ridurne la velocità, allora sarebbe stato un problema per gli inglesi e un vantaggio per i cannonieri italiani. Inoltre, le perdite furono pesanti da entrambe le parti. Gli inglesi vinsero una prima battaglia di movimento in cui 3 carri italiani vennero messi KO. Poi però si scontrarono con uno schieramento di artiglierie di decine di pezzi, certamente con loro grande sorpresa dato che non si aspettavano forze nemiche in zona. Dopo che, tra una perdita e un'altra, stavano avvolgendo lo schieramento delle artiglierie, i carri M entrarono in azione, per un totale di un centinaio di mezzi, e li contrastarono. Ce n'era abbastanza per gettare la spugna e gli inglesi così fecero. Persero una quarantina di mezzi, se non oltre; ma gli italiani ebbero 34 carri M, alcuni inutili carri leggeri L e 12 artiglierie distrutti o messi fuori uso, per cui nonostante tutto i carri inglesi avevano inflitto perdite consistenti. Solo che, come detto prima, non erano loro a controllare il territorio e la 'patta' fu a vantaggio italiano. Le perdite umane, per quanto dolorose, furono sorprendentemente poche dopo ore di battaglia; evidentemente i reparti corazzati garantivano una protezione ben maggiore per i loro soldati, specie se si ricorda il massacro degli artiglieri indiani. Nondimeno, gli artiglieri francesi se la cavarono meglio di tutti e quindi anche qui è una questione molto relativa tra chi e come ingaggia battaglia. Gli Inglesi per esempio non ebbero un appoggio efficace delle loro artiglierie durante la battaglia di Bir El Gobi; gli italiani invece poterono contare sia sui cannoni dell'Ariete, sia su quelli mandati in rinforzo. IN particolare su 3 autocannoni da 102 mm, lenti e vulnerabili, ma capaci di eseguire un efficace tiro contraerei con armi vecchie ma potenti; visto che gli artiglieri erano addestrati al tiro contraerei, colpire carri armati, anche se da un km di distanza, era per loro facile e così dichiararono 15 bersagli distrutti durante la battaglia, dimostrandosi certamente i migliori distruttori italiani (circa un terzo di tutte le perdite di corazzati inglesi furono rivendicate da loro).
 
Tra i tanti altri fatti d'arme non può mancare Medenine della primavera '43: Rommel attaccò con oltre 150 carri armati e i panzergranatiere le linee inglesi, ma non si rese conto che gli inglesi avevano schierato un gran numero di cannoni controcarri, per lo più da 57 mm, ma anche vecchi 40 mm (sempre meglio di niente) e sopratutto alcuni dei nuovi e segretissimi pezzi da 76 mm. L'effetto, nonostante che i tedeschi schierassero alcuni Tiger, fu devastante e alla fine della giornata Rommel dovette ammettere la sconfitta: si ritirò lasciando 53 carri e centinaia di morti sul campo di battaglia.
 
Un altro esempio di come i carri possono cadere vittime dei cannoni controcarri è stato Serafinovich, in Russia, nel '42. In quell'occasione i Sovietici lanciarono all'attacco numerosi carri armati, ma gli artiglieri italiani riuscirono a non cedere al panico (che spesso in Spagna si era verificato) e a reagire, sparando granate perforanti, HE ed HEAT contro i corazzati nemici. Questi ultimi erano di due tipi: i carri leggeri, che erano ancora i veloci ma poco protetti BT, e i nuovi T-34, loro discendenti. Alla fine quasi tutti i carri armati vennero messi KO o distrutti, ma le ondulazioni del terreno e l'erba nascondevano spesso i mezzi fino a quando non finivano quasi addosso ai cannoni. I BT si dimostrarono vulnerabili ai pezzi di medio calibro, ma resistenti anche a bruciapelo alle mitragliere da 20 mm. I cannoni usati dagli italiani erano una collezione impressionante (c'era anche un pezzo da 76 sovietico), e i risultati furono molto vari: mitragliere da 20 mm, vecchi cannoni da 75 mm, i nuovi pezzi da 75/34 mm, cannoni sovietici catturati, artiglierie da 100 e 105 mm etc. La battaglia vide confermate molte cose: per esempio gli artiglieri si dimostrarono ben disciplinati
e capaci di riconoscere i tipi di carri nemici, dedicando le granate HE a quelli leggeri e quelle perforanti o HEAT (queste ultime appena consegnate, e sparate in circa 200 pezzi) ai carri armati medi. I carristi sovietici dal canto loro dimostrarono una notevole aggressività e coraggio. Spesso arrivavano talmente vicini, che letteralmente schiacciavano i cannoni controcarri italiani passandogli sopra con tutta la loro massa. Ma oltre a non essere numerosi in toto, attaccarono troppo isolati e scoordinati, così che non riuscirono a sfondare: ogni volta un numero tra uno e 4 carri si faceva sotto, e venivano presi sotto tiro da parte di numerosi cannoni schierati a difesa. I T-34 si dimostrarono molto tenaci: per averne ragione bisognò centrarli in punti deboli e non a grande distanza: la protezione frontale era quasi sempre capace di fermare i proiettili o minimizzarne l'effetto. Ma attaccavano senza sostegno dell'artiglieria e dell'aviazione; non avevano fanteria anche perché i bersaglieri sparavano sui fanti appollaiati sopra i mezzi costringendoli a saltare giù dai veicoli e quindi separandoli dai loro carri; e sopratutto non avevano apparentemente radio funzionanti. Avessero potuto coordinare l'attacco, lanciare anche solo una dozzina di mezzi in una sola carica, avrebbero travolto quasi per certo le linee italiane (specialmente vero in certi momenti e settori della battaglia). Anche così distrussero gran parte dei cannoni di alcune delle batterie italiane; ma un attacco isolato era troppo difficile e anche la forza bruta dei T-34 non bastava per resistere alle scariche di cannone che venivano sparate da intere batterie contro un singolo mezzo, trovando prima o poi il punto giusto per perforarne la corazzatura.
 
 
 
 
===Bibliografia===