Impresa sociale di comunità/Le radici culturali: differenze tra le versioni

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Infatti, è anche grazie alla struttura organizzativa, cioè all’integrazione tra imprese, che la cooperazione sociale ha conosciuto una diffusione significativa; è dall’architettura organizzativa che derivano un elevato radicamento territoriale e una capacità di incidere efficacemente sul miglioramento delle politiche sociali del nostro Paese. Bisogna subito dire che il tipo di integrazione originata dalle cooperative sociali presenta peculiarità proprie rispetto ai network sviluppatisi nel corso degli anni Ottanta in seno ad alcune organizzazioni non profit, che hanno avviato reti di relazioni in vari modi: o avvalendosi del bagaglio di esperienze accumulato da associazioni preesistenti, come nel caso delle Acli, o consolidando e rafforzando rapporti scaturiti da occasioni di riflessione e approfondimento come avvenuto con la costituzione del Coordinamento Nazionale delle Comunità di Accoglienza (Cnca), quale formalizzazione di un percorso condiviso. In altri casi a costituire motivo di unione è stata la stessa matrice ideologica da cui muovono le singole iniziative, a partire dalla quale la Compagnia delle Opere, ad esempio, ha trovato ragione per sostenere un’attività di lobbying ma anche di promozione a sostegno delle proprie associate, alcune delle quali cooperative sociali.
 
Naturalmente nei network ora visti e in altri ancora è rappresentata una quota non marginale di cooperative sociali, ma i contorni del fenomeno non possono essere spiegati semplicemente rifacendosi a questi confini, per diverse ragioni. In primo luogo perchèperché tanta parte delle cooperative sociali non ha espresso un’adesione di questo tipo, mentre coloro che lo hanno fatto si sono spesso legate anche ad altri soggetti, a diversi network e in particolare a quelli di natura imprenditoriale. Ma c’è una seconda ragione che indica come il sistema d’imprese della cooperazione sociale non possa esaurirsi nelle tipologie di integrazione sopra indicate. Essa sta nel prendere atto che l’originalità del fenomeno è esaltata soprattutto dal modo in cui le due maggiori associazioni di rappresentanza del movimento cooperativo italiano hanno gestito due momenti importanti per le cooperative proprie associate: da un lato, la ''tutela politico-sindacale'', e dall’altro il tipo di organizzazione imprenditoriale adottata. Sono proprio queste due dimensioni che hanno contribuito ad evidenziare – almeno in origine – due modelli distinti di cooperazione sociale, rispettivamente condizionati dalle due culture prevalenti: l’una presente nel movimento della cooperazione “bianca” rappresentata da Confcooperative, l’altra diffusa tra le organizzazioni a matrice “rossa” che individuano in Legacoop il loro naturale alveo di riferimento.
 
Per quanto riguarda la rappresentanza politico-sindacale, si può dire che oggi entrambe le associazioni riconoscono adeguato spazio alle cooperative sociali, coordinate da due autonome federazioni di settore, Federsolidarietà e Legacoopsociali, la prima in seno a Confcooperative, la seconda dentro la centrale di matrice “rossa”. Bisogna ammettere tuttavia che questo processo di riconoscimento è avvenuto prima all’interno del mondo cattolico, con la costituzione fin dal 1988 di Federsolidarietà, e solo dal 2005 in Legacoop, le cui iniziative fino a quel momento venivano ricondotte nel più generale settore delle cooperative di servizio e turismo.<br/>