Impresa sociale di comunità/Governance: differenze tra le versioni

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Il governo organizzativo di una ISC si può definire a partire dalla metafora della rete (network). L’idea di network si basa sulla presenza di un sistema di relazioni fra attori diversi. La rete non nasce dalla volontà di proteggere interessi specifici, ma dalla necessità di ''soddisfare bisogni comuni''. In questa accezione la rete si può considerare un bene pubblico o, in altri casi, un bene comune.
 
{{Glossario|1='''Definizione di ''bene pubblico'' e ''bene comune''''' <br/>
Il ''bene pubblico'' è un bene non rivale e non escludibile. Alcuni fra gli esempi più noti sono l’illuminazione stradale e quella marittima (i fari). Tali servizi possono anche essere forniti da agenzie private, per esempio da organizzazioni non profit, ma si ritiene che l’impossibilità pratica di far pagare un prezzo adeguato a coprire i costi e la difficoltà di raccogliere contributi sufficienti attraverso altre fonti (per esempio contributi volontari) consiglino la produzione dei beni pubblici attraverso la raccolta forzosa di tipo fiscale.<br/>
Il ''bene comune'' è un bene rivale ma non escludibile. Un esempio di bene comune vicino agli studenti è rappresentato dalla disponibilità di vari servizi nelle istituzioni universitarie come le aule studio, l’utilizzo dei computer e delle fotocopiatrici che sono rivali, ma dai quali nessuno studente può essere escluso. La produzione di beni o la fornitura di servizi comuni richiede spesso una organizzazione complessa, come ad esempio le imprese sociali.
}}
 
Le reti di norma producono ''esternalità'' dirette o indirette. La prima tipologia di esternalità è legata, per esempio, alla maggiore e migliore disponibilità dei servizi sociali che favoriscono il rafforzamento dei legami fiduciari conseguenti alla diffusione di un modello organizzativo senza fini di lucro e con obiettivi di tipo sociale. La seconda tipologia è invece legata alla riduzione dei costi che devono essere sostenuti ove non siano operanti le cooperative sociali, come quelli relativi all’assistenza ed il sostegno a fasce sociali svantaggiate da parte del settore pubblico. <br/>
Le reti si basano di norma sulla ''mutua dipendenza'' degli attori coinvolti. Si entra nella rete per soddisfare un bisogno comune, che può essere anche di tipo puramente psicologico o intellettuale, come ad esempio l’apprendimento di nuova conoscenza anche senza fini produttivi. Chi apprende, per espletare il proprio ruolo, ha bisogno di chi insegna e viceversa. Ciò significa anche che, a rigore, il governo di una rete di attori interdipendenti è incompatibile con la direzione di tipo gerarchico da parte di un attore più forte. Questo perché la direzione di tipo gerarchico impedisce l’instaurarsi dei legami di interdipendenza di tipo fiduciario che caratterizzano le relazioni basate sulla mutualità.
 
{{Collegamento|1=''Il tema delle reti viene sviluppato nei capitoli decimo – [[Impresa sociale di comunità/Reti|Reti]], e unidcesimo - [[Impresa sociale di comunità/Strutture di supporto|Strutture di supporto]].''}}
 
 
=== L'impresa reticolare ===
La traduzione dell’idea di rete in termini organizzativi ed imprenditoriali è tutt’oggi molto poco diffusa a causa delle prevalenza delle di organizzazioni mono-stakehodler che, di norma, sono caratterizzate da un forte accentramento decisionale e da rapporti gerarchici di tipo verticale. Bisogna quindi mettere in evidenza che l’idea di impresa reticolare è tutt’oggi almeno in parte “sperimentale”. Ciò detto, la caratterizzazione delle reti che si è andata diffondendo negli ultimi anni nella letteratura specializzata, della diffusione delle informazioni, della definizione delle decisioni e della accumulazione di conoscenza al loro interno sono tutti temi che possono aggiungere tasselli importanti allo sviluppo delle imprese sociali di comunità a partire dall’idea di organizzazione multi-stakeholder già contenuta nella legislazione sulla cooperazione sociale.
 
 
====L’obiettivo comune come fondamento dell’impresa reticolare====
L’intuizione di fondo è che alla base della creazione di organizzazioni di tipo reticolare vi debba essere un interesse o un ''obiettivo comune'', nel nostro caso di tipo sociale, che vada al di là dei singoli interessi dei diversi stakeholder e di una loro pur virtuosa ricomposizione nella governance organizzativa. La presenza di un esplicito obiettivo sociale è già contenuta nella legislazione sulla cooperazione sociale. Tuttavia, nel caso dell’impresa reticolare, la socialità o la rilevanza pubblica non sono componenti necessarie come nel caso delle cooperative sociali. La costituzione di una impresa reticolare va invece intesa come creazione di un bene comune, cioè rivale, ad esempio in termini di investimenti materiali, ma non escludibile, in quanto i benefici derivanti dall’organizzazione devono ricadere su tutti i soggetti coinvolti, in modo diretto o indiretto. La partecipazione dei diversi attori diventa funzionale al perseguimento dell’obiettivo comune e non viceversa; vale a dire che l’impresa non è più al servizio di interessi specifici o di una loro combinazione nella forma di organizzazione multi-stakeholder. L’azione imprenditoriale diventa anch’essa parte del bene comune, ed è quindi una caratteristica della rete e non dei singoli attori che la compongono. Non si tratta di concetti nuovi, ma la loro ricombinazione in termini di organizzazione reticolare può chiarire diversi aspetti che scavalcano l’elaborazione tradizionale concernente organizzazioni non-profit e cooperative sociali. <br/>
Sul piano istituzionale, un primo passo nella direzione della trasposizione del concetto di rete a livello di governance consiste nel riconoscere la necessità di una maggiore formalizzazione delle regole del governo organizzativo. La stretta interrelazione dei rapporti che si sviluppano all’interno dell’organizzazione e la necessità di definire obiettivi comuni richiede la definizione ex-ante degli aspetti portanti della struttura di governo. Queste necessità non si presentano però allo stesso modo nelle reti formate da organizzazioni diverse. Tuttavia, la formalizzazione dei rapporti all’interno dell’organizzazione va correttamente interpretata alla luce dell’idea di un network basato sulla mutua dipendenza e non sulla direzione gerarchica. Il caso della cooperativa CEFF di Faenza riportato in questo paragrafo rappresenta, in tal senso, un esempio rilevante di “buona pratica”.