Insubre/I coniugazione: differenze tra le versioni

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La prima coniugazione è formata dai verbi con l'infinito terminante in ''-à''. Le desinenze, al presente indicativo, si differenziano leggermente tra verbi monosillabici e verbi polisillabici, per cui verrà proposto sia il verbo ''tirà'' (polisillabico) sia il verbo ''trà'' (monosillabico).
 
L'uso dei modi congiuntivo e condizionale è simile a quello italiano. I pronomi personali soggetto sono ''mì'', ''tì'', ''lù'' (f. ''lee''), ''nun'', ''violter/vialter'', ''lor''. Mentre questi, come in italiano, sono facoltativi, le particelle che li seguono (si tratta della forma debole del pronome personale soggetto), preposte al verbo, sono pressocché obbligatorie: per la II sing. si usa ''te''; per la III sing. si usa ''el'' (f. ''la''); per tutte le persone si può usare l'enfatica ''a''. Le persone utilizzate per le forme di cortesia sono la terza singolare e la seconda plurale. Le particolarità da ricordare sono queste: 1) che, al contrario dell'italiano, nella terza di cortesia si fa distinzione di genere; 2) che nella seconda plurale di cortesia, il soggetto non è ''violter/vialter'' ma ''vu''. Fino al Settecento esisteva il tempo perfetto, che non è il caso di imparare perché attestato solo in alcune forme. Le desinenze atone ''-om'' e ''-ov'' sono derivate dalle più antiche ''-em'' e ''-ev'', mentre la desinenza tonica ''-ee'' è spesso sostituita da ''-ii''. Per facilitare la distinzione tra desinenze atone e desinenze toniche verrà segnato sempre l'accento, che solitamente non si mette che sulle forme verbali monosillabiche terminanti in vocale. Verranno coniugati solo i tempi semplici; per formare i tempi composti (che danno un'idea di anteriorità) si usa la forma relativa del verbo avere (''avegh''; ma nei verbi sempre intransitivi si usa essere=''vess'') con il participio (concordato al soggetto quando c'è il verbo essere). Per le forme passive si utilizza sempre il verbo essere più il participio. L'unico participio è passato passivo (quello presente attivo è arcaico e presente in qualche forma rara, e la sua desinenza ''-ént'' è utilizzata talvolta nel superlativo assoluto degli aggettivi). Il gerundio è presente nei testi arcaici e viene ancora sporadicamente utilizzato per analogia con l'italiano. I verbi che hanno nel tema ''oeu'' o ''o'' tonici, la trasformano in ''o'' (pron. /u/) quando l'accento si sposta altrove; occasionalmente avvengono anche altre apofonie, come ''e''>''i''. La negazione di base è espressa con una particella posposta al verbo (ma preposta ai modi indefiniti). Questa particella è ''minga'' (a volte contratta nel contado in ''mi'a'') oppure ''nò''. La vera e propria negazione insubre è la prima, ma la seconda è utilizzata in città circa con la stessa frequenza della prima. Della prima non si ha una sicura etimologia: per alcuni è di origine latina, per altri celto-germanica. La seconda è l'erede di una più antica negazione milanese, estinta dall'Ottocento, il ''no'' preposto, che avvicina la nostra lingua alle lingue romanze "mediterranee". Quanto detto valga per tutte le coniugazioni. Per il condizionale, esiste anche una terza desinenza della III p.: l'antiquato ''-râv'', con la rara variante ''-rev'' (che corrisponde all'italiano ''-rebbe'').
 
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