La terra per nutrire il pianeta/Parte terza
PARTE TERZA
IL LAVORO AGRICOLO NELL'ARTE
Abbiamo dedicato una sezione all'agricoltura nell'arte.
Pittura
modificaNella scelta dei quadri siamo stati guidati dalla nostra professoressa Susanna Debernardi
Ambrogio Lorenzetti (1290-1348)
modificaL'affresco “Allegoria ed Effetti del Buono e del Cattivo Governo” di Ambrogio Lorenzetti mostra la condizione di floridezza e di sicurezza della campagna in tutti i suoi aspetti, in seguito a un buon governo, nella parte di affresco chiamata “Effetti del Buon Governo in Campagna”.
Le attività contadine che si svolgono in campagna riguardano periodi diversi dell'anno, come l'aratura, la semina, la raccolta, la mietitura e la battitura del grano, per sottolineare la ricchezza di cui godeva la città di Siena e le campagne circostanti grazie alla buona gestione della Repubblica da parte del Governo dei Nove.
Ciò ci dice che la vita in campagna era condizionata strettamente da quella in città e dal suo governo. .
Giovanni Segantini 1858-1899
modificaIn questa opera il pittore Segantini, appartenente alla corrente del divisionismo, ha voluto raffigurare le vite laboriose che la gente rurale conduceva con semplicità nella loro realtà rurale, nella quale è fondamentale il lavoro nei campi e l’aratura dei campi, effettuata ancora per mezzo di strumenti tradizionali.
Il pittore si serve di uno stile innovativo per mostrarci la sintonia che un tempo esisteva tra uomo e natura. Questo rapporto è stato da sempre regolato dalla presenza e dalla quantità di acqua presente nel territorio. Infatti l’acqua è l’elemento fondamentale per l’esistenza dei contadini: permette di coltivare il terreno e di abbeverare gli animali, ricavandone da essi il nutrimento necessario.
In molte località il trasporto avveniva con barche: Nel quadro "Ave Maria" il momento di preghiera è fatto da pastori che trasferiscono su una barca in un lago un gregge di pecore. Per sottolineare l'indispensabilità dell'acqua tre pecore si sporgono per bere. .
Angelo Morbelli 1854-1916
modificaLa tela di Angelo Morbelli raffigura alcune mondine immerse nell’acqua sino alle caviglie, piegate nel duro lavoro del trapianto del riso, le mani sporche di fango, il corpo con ogni probabilità tenacemente molestato dalle zanzare.
La composizione pittorica è incentrata sulle figure in primo piano, viste di schiena nell’atto ripetitivo e snervante della messa a dimora delle giovani piantine.
L’Acqua è in primo piano, con i barbagli dorati del sole che riflette le figure umane, senza speranza di riscatto dal duro lavoro compensato con “80 centesimi”. Il titolo dell’opera allude infatti alla paga giornaliera di ciascuna di esse: un tema sociale che fu caro al pittore e di grave denuncia per quei tempi. L’Acqua è ancora una volta intesa come fonte di vita e di morte. .
Jean-François Millet 1814-1875
modificaIl dipinto Le spigolatrici ritrae in primo piano tre donne curve sui campi che raccolgono le spighe sfuggite alla mietitura, mentre alle loro spalle la luce del sole illumina il campo sotto il sole terso.
La raccolta delle spigolatrici era uno dei lavori più umili della società.
Anche quando si affermò la proprietà privata dei campi, per antica tradizione, rimase il diritto di andare nel campo altrui a raccogliere le spighe cadute una volta terminato il raccolto. Ad esse si dedicavano le donne più povere del paese.
Infatti Millet venne inizialmente criticato soprattutto per la scelta dei soggetti appartenenti alle classi più umili. Il dipinto, la pittura di genere è quella di paesaggio tipica del realismo, ed è conservato al Musèe d’ Orsay di Parigi.
Umberto Boccioni 1862-1916
modificaIl paesaggio rappresenta la zona dei Bastioni di Porta Romana, dove l’ artista abitava. Una periferia urbana tra fabbriche e case in costruzione, ancora per metà campagna, colta alla luce cristallina dell’alba come sottolineano le ombre allungate degli operai che vanno al lavoro. L’ intento dell’artista è quello di mettere in evidenza il sostanzioso cambiamento della vita urbana che si fa sempre più frenetica e dinamica.
Nel dipinto si uniscono l’ esaltazione della vita moderna, che per i futuristi trova il suo fulcro proprio nello sviluppo della metropoli industriale, e l’utilizzo della tecnica divisionista. Il tumultuoso sviluppo delle città e il sorgere di nuove periferie urbane viene utilizzato inizialmente nello opere di Boccioni come semplice sfondo relativo al mondo esterno, che visto da una piccola finestrella che dà sulla realtà circostante, ogni giorno cresceva sempre più.
Letteratura
modificaFra i tanti testi che i poeti e gli scrittori hanno dedicato all’agricoltura abbiamo scelto: I “Nuovi poemetti” di Pascoli che descrivono come i contadini della Garfagnana vedevano la scelta delle sementi e le rotazioni agricole. “I seminatori” di D'Annunzio che descrive l’aratura “Fontamara” di Silone che descrive le lotte in un piccolo paese della Marsica per distribuirsi la poca acqua disponibile. Non trascriviamo però quest'ultima opera, per non violare il diritto d'autore.
Pascoli
modificaLa mietitura
modificaTRA LE SPIGHE
I
Il grano biondo sussurrava al vento.
Qualche fior rosso, qualche fior celeste,
tra i gambi secchi sorridea contento.
Pendeano li agli e le cipolle in reste.
S'udian, mutata alfin la voce in gola,
cantar galletti, altieri delle creste.
Tessea le spighe dello spigo a spola
la cara madre, per i suoi rotelli
del banco grande e per le sue lenzuola.
Fioria la zucca, arsivano i piselli,
nell'orto. Le ciliegie erano andate:
per San Giovanni avevano i giannelli.
C'erano già le mele dell'estate,
c'erano le susine di San Pietro.
Fatte via via più lunghe le giornate,
il sole, stanco, ritornava indietro.
II
E biondo al vento mormorava il grano.
Fiorivano le snelle spadacciole
tra i gambi gialli; e non sapean, che in vano.
C'era un bisbiglio come di parole.
E l'intendea la lodola che in tanto
aveva lì la giovinetta prole.
Tardi avea fatto il nido, lì da un canto.
Oh! ella amava il sole più che il nido!
Chissà? voleva far lassù, col canto!
Or sui piccini udiva già lo strido
della falciola; e li ammonìa di stare
accovacciati senza dare un grido.
Diceva: - Chiotte, contro terra, o care!
che non si mova un bruscolo, uno stelo!
V'ho fatte color terra: altro non pare,
così, che terra, o nate per il cielo! -
III
E il grano al vento strepitava; e disse
il padre al figlio: «Mieteremo. Vedi:
verdino è, sì, ma non vorrei patisse.
Ché il grano dice: - Io sto ritto, e tu siedi.
Qui temo l'acqua, e il vento mi dà briga.
Altronde, o presto o tardi, o steso o in piedi,
se il gambo è secco seccherà la spiga -».
TERRA E CIELO
I
E disse poi, con tutti i figli attorno,
appiè d'un melo, carico di mele:
«Sì: mieteremo sull'aprir del giorno.
La terra è buona: dura, ma fedele;
ma è una barca, il sole per timone,
e bianche e nere nuvole per vele.
Ci vuole il cielo: tutto a sua stagione;
e freddo, caldo, dolce, aspro, ci vuole,
e i lampi e i tuoni e il fumido acquazzone.
Il grano, in prima, ebbe due barbe sole,
quando escì fuori, un solo gambo in tutto.
Venne la neve: - Ah! vuoi goderti il sole?
No! Soffri un po'! Metti altre barbe! Frutto
non vien da seme che non sia già morto! -
Die' retta il grano. Marzo venne asciutto.
Guai se i miei campi li prendea per l'orto!
II
Si sa: marzo va secco, il gran fa cesto.
Il gran, per uno pallido e sottile,
più ciuffi mise, quanto più fu pesto.
Talliva. Allora sopravvenne aprile
con le dolci acque. I giorni erano belli,
ma e' passava con il suo barile.
Passava in alto, tra un cantar d'uccelli,
con una gonfia nuvoletta nera...
E il gran fece il cannello, anzi i cannelli.
Doglia di verno, gioia a primavera!
Tanti cannelli, tante spighe, nate
d'un chicco solo; e questo chicco ov'era?
Non c'era più. Restare, a che? Pensate.
Il grano in tanto chiuso nello stelo,
dentro le verdi lolle accartocciate,
fioriva. Unita era la Terra e il Cielo.
III
Fioriva il grano. Erano in casa, i fiori,
con l'uscio chiuso, e nuovi della vita
mescean celati i loro dolci amori.
Alfin la spiga aperse con due dita
l'uscio, e guardò stringendo a sé la veste.
Ma come vide al Ciel la Terra unita,
anch'ella uscì, ma con un vel di reste.
E LAVORO
I
E il grano è bello. Ma non fu soltanto
la terra e il cielo, fu la nostra mano.
Chi prega è santo, ma chi fa, più santo.
E prima scelsi il seme del mio grano
tra il grano mio. Grani più duri e grossi
o più gentili non cercai lontano.
Altri grani, altre terre, ed altri fossi
ed altri conci. Il grano da sementa
non lo tribbiai né macchinai, ma scossi.
Quando fu tempo, presi calce, spenta
da me, non vecchia; tal che, non appena
l'acqua la bagni, bulica e fermenta.
Ne feci latte, e in una cesta piena
v'immersi il grano, che un po' sempre molle,
quando sentii la lunga cantilena
di grilli e rane, sparsi sulle zolle.
II
Né lavorato avevo a fondo: a fondo
avevo sì, ma pel granturco d'anno.
Il grano è meglio, e però vien secondo.
Sta pago il grano a quello che gli dànno.
Vuol sì la terra trita, ma non trita
tanto, ché, anzi, gli sarebbe a danno.
Non diedi al grano, che mi dà la vita,
nemmeno il concio. Poco o nulla e' chiede
per far la spiga bella e ben granita.
Gli basta un po' del troppo che si diede
al formentone, che scialacqua e, grande
com'è, non pensa al piccoletto erede.
Ad ogni acquata egli s'innalza e spande,
si sogna d'essere albero, fa vanti
e sfoggi, e vuole intorno a sé ghirlande
di zucche e di fagioli rampicanti...
III
Dov'e' lasciò, grossi, pel fuoco, i gambi,
io questo grano seminai; non fitto;
e un sol governo valse per entrambi.
E visse e crebbe, pesto giallo afflitto...
Ma, or vedete: e' non s'alletta e sta.
È bello. Per tenere il capo ritto
giova la cara buona povertà!
D'Annunzio
modifica
I seminatori
Van per il campo i validi garzoni
guidando i buoi da la pacata faccia;
e, dietro quelli, fumiga la traccia
del ferro aperta alle seminagioni.
Poi, con un largo gesto delle braccia,
spargon gli adulti la semenza; e i buoni
vecchi, levando al ciel le orazioni,
pensan frutti opulenti, se a Dio piaccia.
Quasi una pia riconoscenza umana
oggi onora la Terra. Nel modesto
lume del sole, al vespero, il nivale
tempio de’ monti inalzasi: una piana
canzon levano gli uomini, e nel gesto
hanno una maestà sacerdotale.