Il buddhismo giapponese/Il buddhismo nel Giappone contemporaneo
Il buddhismo nel Periodo Meiji
modificaLa modernità inizia in Giappone nel 1868 con il Periodo Meiji che incise profondamente nella cultura e nelle tradizioni di questo paese. Tale periodo fu avviato dalla minaccia militare statunitense provocata dal commodoro Matthew Calbraith Perry (1794-1858) il quale si affacciò nel 1853 con quelle che venivano indicate come navi nere (黒船, kurofune) nella baia di Uraga imponendo al Giappone la riapertura dei suoi porti ai commerci con l'Occidente. A seguito di questo evento il Giappone abolì il bakufu (江戸幕府, Edo bakufu) riconsegnando il potere direttamente nelle mani dell'imperatore, cancellò la suddivisione in caste ivi compresa quella dei samurai e aprì definitivamente all'Occidente e alla sua cultura.
Anche le scuole religiose risentirono profondamente dei cambiamenti apportati da questa Era ad incominciare proprio dal buddhismo che vide ridursi drasticamente l'attenzione dello Stato nei suoi confronti. Il Periodo Meiji è infatti caratterizzato dalla mobilitazione della nazione giapponese sotto l'autorità dell'imperatore e quindi si fonda su una forte priorità nei confronti dell'antica fede nazionale scintoista che vedeva proprio nell'Imperatore oltre che il suo rappresentante anche la manifestazione terrena della divinità (kami, 神) Amaterasu (天照, dea del Sole), tutto ciò a discapito del buddhismo. La proclamazione dello Scintoismo come religione di stato (Kokka Shintō, 国家神道) e la perdita dei favori governativi, nonché la dichiarata separazione tra le due fedi religiose (shinbutsu bunri, 神仏分離)[1] provocò un generale disorientamento nelle scuole buddhiste anche se a livello della popolazione non incise profondamente nel sincretismo da sempre diffuso tra i giapponesi di accompagnare la fede scintoista con le credenze buddhiste. Tuttavia i cittadini giapponesi furono obbligati a registrarsi presso i templi locali scintoisti i cui sacerdoti erano nominati tali dal Governo imperiale. Tutto ciò finì per provocare una vera e propria persecuzione del buddhismo (haibutsu kishaku, 廃仏毀釈, lett. Cancellare il buddhismo e distruggere Shākyamuni) da parte del Governo che provocò la chiusura di oltre quarantamila templi buddhisti, la riduzione forzata allo stato laicale di migliaia di monaci e la cancellazione di qualsiasi presenza buddhista all'interno dei santuari scintoisti[2]. Questo fino al 1871 quando dopo alcune sanguinose ribellioni da parte della popolazione, soprattutto contadina, a difesa dei monaci buddhisti e dopo il consequenziale intervento dell'esercito imperiale, il Governo decise di trovare un accordo con la comunità buddhista giapponese.
Accordo che fu all'origine anche della totale acquiscenza delle scuole buddhiste nei confronti del Governo durante i processi e le successive condanne a morte per "Alto tradimento" che coinvolse alcuni monaci buddhisti anarco-socialisti, come Uchiyama Gudō, nei primi anni del XX secolo. Superate queste gravi crisi, il buddhismo giapponese dovette confrontarsi con le missioni cristiane che si andavano diffondendo lungo il paese correlandosi alla sua occidentalizzazione. Questo confronto contribuì alla nascita di associazioni laicali buddhiste e alla promozione organizzata di attività caritatevoli, peraltro già presenti nei templi fin dalla fondazione di questa religione.
Il buddhismo secondo la Via imperiale (Kōdō Bukkyō, 行動仏教)
modificaCon il sopraggiungere della Seconda guerra mondiale il governo imperiale sottomise tutte le religioni ad uno stretto controllo per assicurarsi il loro appoggio nell'imminente conflitto. Durante il periodo dell'ultimo conflitto l'appoggio delle scuole buddhiste giapponesi nei confronti del Governo fu dunque pressoché totale, tale da far varare una nuova forma di buddhismo che si identificava totalmente con la figura dell'imperatore: il Kōdō Bukkyō (行動仏教, Il buddhismo secondo la Via imperiale).
Già l'esercito aveva apprezzato la formazione religiosa che alcuni alti ufficiali avevano ricevuto all'interno delle scuole Zen. Lo stesso generale Nogi Maresuke (乃木希典, 1849-1912), considerato l'eroe della guerra russo-giapponese, aveva studiato lo Zen Rinzai sotto il severo maestro Nakahara Nantembō (中原南天榛, 1839-1925) ottenendo il certificato dell'illuminazione.
Esemplificativo di questo atteggiamento di accondiscendenza alle tesi della guerra, fu la posizione del famoso maestro Zen Sōtō Sawaki Kōdō (沢木興道, 1880-1965)
Ma non fu solo lo Zen ad appoggiare lo Stato durante il conflitto, furono, indistintamente, tutte le scuole buddhiste. Certamente si registrarono singoli casi di protesta a questo stato di cose, ma furono solo casi individuali. Ciò che spinse il buddhismo giapponese ad appoggiare acrtiticamente il governo imperiale durante la Seconda guerra mondiale fu la genuina convinzione che tale guerra fosse una "guerra santa", una guerra di liberazione e di riscatto dell'intero continente asiatico nei confronti del colonialismo occidentale, i soldati giapponesi furono quindi considerati dai buddhisti giapponesi dei veri e propri bodhisattva[3].
Il buddhismo dal secondo Dopoguerra a oggi
modificaScuole | n. den. | n. Templi | n. Seguaci |
---|---|---|---|
Nichiren | 37 | 6 500 | 30 000 000 |
Jodo-shin | 10 | 21 000 | 14 000 000 |
Shingon | 48 | 12 000 | 12 000 000 |
Soto Zen | - | 15 000 | 5 500 000 |
Jodo | 6 | 8 000 | 4 700 000 |
Tendai | 20 | 4 000 | 4 500 000 |
Rinzai Zen | 15 | 6 000 | 3 000 000 |
La Seconda guerra mondiale terminò per il Giappone il 15 agosto 1945 con la sua sconfitta da parte degli Stati uniti. Tra le clausole del trattato di pace, i vincitori ottenerono una radicale rivisitazione della politica interna giapponese e un ridimensionamente delle dottrine shintoiste tra le quali la divinizzazione dello stesso imperatore. Ciò rappresentò anche la fine dello stesso Kōdō Bukkyō e dello stretto controllo statale sulle scuole buddhiste.
L'emergere di efferati crimini di guerra commessi dall'esercito giapponese in Cina, ad esempio lo Stupro di Nanchino, se da una parte furono negati da alcuni politici e storici nazionalisti, dall'altra generarono sgomento e riconsiderazione sui presunti valori incarnati dallo stesso Giappone durante questa guerra.
Le scuole buddhiste restarono a lungo in silenzio su questi scottanti temi, consapevoli di aver dato un deciso sostegno allo Stato imperiale durante la guerra. Furono gli intellettuali vicino a queste scuole come D.T. Suzuki (鈴木 大拙 Suzuki Daisetsu, 1870–1966) i primi ad aprire il dibattito circa la 'questione morale' del coinvolgimento religioso buddhista nella guerra.
Suzuki, anche se egli stesso fu un propugnatore dei valori bellici del buddhismo giapponese, decise di condurre un'analisi serrata degli accaduti in un articolo titolato Zenkai Sasshin (Rinnovamento dello Zen) scritto nel 1946 per il periodico Zengaku Kenkyu (禪學研究, Studi nel buddhismo zen). In questo articolo pur non negando il valore dell'illuminazione (悟 satori) dei maestri religiosi buddhisti sostenne:
Nonostante l'intervento di intellettuali come Suzuki, le scuole buddhiste giapponesi rimasero a lungo in silenzio su questi temi. Ad oggi una presa di posizione ufficiale riguarda solo alcune di queste scuole: la scuola Jōdo Shin (浄土真宗) dichiarò, il 2 aprile 1967, che il proprio sostegno alla guerra fu "un'espressione di grande ignoranza e impudenza da parte nostra. Nel ricordarlo ora veniamo presi da un senso di vergogna da cui non troviamo scampo ..."; mentre la scuola Zen Sōtō (曹洞宗) pubblicò nel 1992 una "Dichiarazione di pentimento" (sanshaubun); un accenno sempre critico nei confronti del sostegno alla guerra è contenuto anche in una dichiarazione datata giugno 1994 da parte di un ramo della scuola Tendai (天台宗).
Il Dopoguerra ha visto anche la massiccia diffusione di nuove scuole laiche soprattutto di ispirazione Nichiren come la Soka Gakkai (創価学会) e la Risshō Kōsei Kai (立正佼成会).
Oggi, secondo gli studiosi statunitensi Richard H. Robinson; Willard L. Johnson[4] i sondaggi di opinione indicherebbero che molti giapponesi non si identificano più in una religione specifica. L'interesse per il buddhismo riguarda essenzialmente due differenti gruppi: il mondo rurale che per tradizione secolare si rivolge ai templi locali per i servizi religiosi e la classe colta delle città che si rivolge al pensiero buddhista come "filosofia critica" o "tecnica meditativa" di tipo psicoterapeutico o spirituale. Gli altri giapponesi si rivolgono alle scuole buddhiste come "buddhismo funerario" per la funzione sociale a cui sono relegati molti dei monaci buddhisti, coinvolti al solo scopo di celebrare quel genere di funzioni religiose.
Principali templi buddhisti giapponesi
modificaI principali templi buddhisti giapponesi suddivisi per scuole e denominazioni[5]. I templi il cui nome finisce in ji o dera (寺, templi) possono essere considerati più ampi (ma non per questo più importanti) rispetto a quelli che terminano con in ( 院, padiglioni). In genere un tempio(ji o dera) è costituito da più in, ma anche da sale per il culto (do, 堂) e da un alto stupa (tō, 塔).
Scuola | Tempio | Denominazione | Indirizzo |
---|---|---|---|
Hosso | Yakushi-ji | Hosso-shu | 457, Nishinokyo-Machi, Nara-shi, Nara |
Hosso | Kyomizu-dera | Kitahosso-shu | 1-294, Kyonmizu, Higashiyama-ku, Kyoto-shi, Kyoto |
Kegon | Todai-ji | Kegon-shu | 406-1, Zoshi-cho, Nara-shi, Nara |
Ritsu | Toshodai-ji | Ritsu shu | 13-46, Gojo-cho, Nara-shi, Nara |
Tendai | Enryaku-ji | Tendai shu | 17712-1, Sakamoto, Honmachi, Otsu-shi, Shiga |
Tendai | Senso-ji | Shokannon-shu | 2-3-1, Asakusa, Taito-ku, Tokyo |
Tendai | Shitenno-ji | Wa-shu | 1-11-18, Shitennoji, Tennoji-ku, Osaka-shi, Osaka |
Shingon | Kongobu-ji | Koyasan Shingon-shu | 132, Oaza, Koyasan, Koya-cho, Ito-gun, Wakayama |
Shingon | Daigo-ji | Shingon-shu Daigoha | 22, Daigo, Higashi Oji-cho, Fushimi-ku, Kyoto-shi, Kyoto |
Yuzu Nenbutsu | Dainenbutu-ji | Yuzu Nenbutsu shu | 1-7-26, Hirano Ue-machi, Hirano-ku, Osaka-shi, Osaka |
Ji | Syojyoko-ji | Ji shu | 1-8-1, Nishitomi, Fujisawa-shi, Kanagawa |
Jodo | Chion-in | Jodo shu | 400, ShinbashiYamato-oji, Higashi-iru, 3 chome, Higashiyama-ku, Kyoto-shi, Kyoto |
Jodo | Komyo-ji | Jodo shu | 26-1, Sajo-no-uchi, Awao Nagaokakyo-shi, Kyoto |
Jodo-shin | Hongwan-ji | Jodo-shin shu | Hongwanji, Monzen-cho, Horikawa-dori, Hanayamachi, sagaru, Nagakyo-ku, Kyoto-shi, Kyoto |
Jodo-shin | Hongan-ji | Shinshu Otaniha | 754, Tokiwa-cho, Karasuma-dori, Shichijo-agaru, Shimogyo-ku, Kyoto-shi, Kyoto |
Zen Rinzai | Kencho-ji | Kenchojiha | 8, Yamanouchi, Kamakura-shi, Kanagawa |
Zen Rinzai | Nanzenji | Nanzenjiha | Nanzenji, Fukuchi-cho, Sakyo-ku, Kyoto-shi, Kyoto |
Zen Rinzai | Daitoku-ji | Daitokujiha | 53, Murasakino, Daitokuji-machi, Kitaku, Kyoto-shi, Kyoto |
Zen Rinzai | Myoshin-ji | Myoshinjiha | 64, Hanazono, Myoshinji-machi, Ukyo-ku, Kyoto-shi, Kyoto |
Zen Soto | Eihei-ji | Sotoshu | Eihei-ji-cho, Yoshida-gun, Fukui |
Zen Soto | Soji-ji | Sotoshu | 2-1-1, Tsurumi, Tsurumi-ku, Yokohama-shi, Kanagawa |
Nichiren | Kuon-ji | Nichirenshu | 3567, Minobu, Minobu-cho, Minamikoma-gun, Yamanashi |
Zen Obaku | Mampuku-ji | Obakushu | Gokanosho, Uji-shi, Kyoto |
Note
modifica- ↑ Il primo degli editti di separazione tra le due fedi religiose (Shimbutsu HanZen rei) è datato gennaio 1868 e fu promulgato dal neocostituito Ufficio dei Riti (Jinji Kyoku).
- ↑ James Edward Ketelaar Of Heretics and Martyrs in Meiji Japan. Princeton, New Jersey Princeton University Press, 1990, pag.9
- ↑ Brian Victoria. Lo Zen alla guerra Dogliani CN, Sensibili alle foglie, 2001 ISBN 88-86323-87-5; edizione originale Zen at War NY and Tokyo, Weatherhill, 1997.
- ↑ Richard H. Robinson; Willard L. Johnson, La religione buddhista, Roma, Ubaldini, 1998, pagg. 317 e segg.
- ↑ Questa lista dei templi buddhisti principali in Giappone è tratta dal volume Buddhist Denominations and Schools pubblicato dal Resarch Department della Bukkyo Dendo Kyokai di Tokyo, 1984, pag. 11.