Divina Commedia/Storia critica
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La Divina Commedia è uno dei testi più celebri del mondo, su cui la critica si è esercitata per circa 700 anni. In questa pagina si enumereranno le principali interpretazioni critiche dantesche dal '300 al '900.
Dal XIV al XVIII secolo
modificaInizi della critica dantesca
modificaLa fortuna della Commedia dantesca fu immediata già fin dai contemporanei di Dante: testimoni sono i moltissimi manoscritti che ci sono arrivati e i commenti critici che cominciarono ad essere fatti subito dopo la morte del poeta. I primi commentatori del poema furono Iacopo della Lana, Jacopo Alighieri, Pietro Alighieri e Giovanni Boccaccio (che scrisse un trattato in volgare sul sommo poeta: "Trattatello in laude di Dante" e le "Esposizioni sopra la Comedia).
Dante durante il Rinascimento
modificaIl Rinascimento preferì sostanzialmente Petrarca a Dante, non gradendo la commistione di stili e linguaggi che caratterizzava la Commedia (e che paradossalmente ne fa un testo più moderno), e puntando ad una nuova "armonia classica". Il modello petrarchesco s'impose a livello europeo attraverso traduzioni ed imitazioni ad opera di autori francesi, inglesi, tedeschi e spagnoli.
Il Barocco e Dante
modificaUna ripresa d'interesse per la poesia di Dante vi fu durante il Barocco, nonostante le idee letterarie di quest'ultimo periodo fossero molto diverse da quelle del '300: l'opera barocca doveva stupire il lettore, e perciò era scritta secondo la formula "tutta forma e niente contenuto", mentre l'opera dantesca dava spazio sia all'una che all'altro.
Visione di Dante durante l'Illuminismo
modificaDurante l'Illuminismo, l'opera di Dante, come quella di Shakespeare, subì una forte svalutazione a causa del Razionalismo alla base dell'ideologia dei philosophes settecenteschi. Gli scrittori medievali furono accusati di barbarie. Voltaire definì la Divina Commedia "quell'opera che tutti stimano perché nessuno la legge".
XIX secolo
modificaInterpretazioni romantiche
modificaCome l'Illuminismo aveva disprezzato il poema dantesco, così il Romanticismo, per ragioni opposte e contrarie, esaltò in Dante il poeta dei sentimenti, delle passioni forti: in particolare, oggetto di recupero fu l'Inferno, che godette, nel periodo romantico, di una fortuna di gran lunga maggiore del Purgatorio, e, soprattutto, del Paradiso. Risale a quest'epoca, infatti, il pregiudizio che vuole l' Inferno come la parte migliore del poema dantesco, e ritiene inferiori le parti successive, pregiudizio supportato da moltissimi autori ottocenteschi, per ragioni diverse. Ad esempio Schopenhauer, confermando la sua visione pessimista, affermò che Dante aveva saputo rappresentare bene l'Inferno perché aveva in esso descritto la realtà terrena, mentre era stato incapace di mostrare il Paradiso in maniera convincente in quanto esso è qualcosa di inesistente; altri scrittori si soffermarono su singole figure dell' Inferno (ad esempio Paolo e Francesca) isolandole dal contesto del poema e dandone un'interpretazione prettamente sentimentale. Quanto a George Sand, nell'introduzione a La Piccola Fadette, descrive Dante esclusivamente come poeta dell'Inferno, ignorando le parti successive.
La grande rivalutazione dell'opera fu testimoniata da grandi autori e letterari che scrissero saggi sulla Divina Commedia e su Dante Alighieri; ricordiamo Giambattista Vico e Vittorio Alfieri nell'epoca pre-romanticista, Ugo Foscolo e Giacomo Leopardi nel Romanticismo vero e proprio.
Fuori dall'Italia la Commedia ebbe un grande successo anche nell'aria germanica e in quella anglosassone, grazie a Hegel e a Eliot.
Francesco de Sanctis
modificaIl più grande critico della Divina Commedia in epoca romantica fu Francesco de Sanctis, che diede a Dante un intero capitolo della sua Storia della letteratura italiana.
Il critico letterario non dà critiche o esaltazioni alla filosofia, alla letteratura e alla religione dell'opera, bensì loda il poeta per l'arte, la vita e lo spirito inserito nella sua opera: la Divina Commedia, secondo de Sanctis, è un vero e proprio specchio culturale della società del Medio evo, una "Commedia nell'anima"[1]
All'opera di Dante fu accostata da molti critici ottocenteschi quella di Baudelaire, I fiori del male[2].
XX secolo
modificaAuerbach
modificaSingleton
modificaSingleton studiò approfonditamente molti aspetti della Divina Commedia, in particolare l'uso che in essa Dante applica dell'allegoria. L'allegoria era nel mondo medievale una delle forme di espressione privilegiate, definita da Tommaso d'Aquino "modus loquendi, quo aliud dicitur et aliud intelligitur". Singleton, tuttavia, rifacendosi ad una lettera dello stesso Dante a Cangrande della Scala, dimostra che il poema dantesco non è solo allegorico, ma polisemico. I personaggi danteschi non sono pure astrazioni, ma hanno una consistenza terrena ed umana (come Catone, che, suicida e pagano, sarebbe stato destinato all'Inferno, ma che Dante pone nel vestibolo del Purgatorio in quanto rappresentazione "figurale"). Se nel poema Dante avesse rappresentato una semplice visione (come quella che rappresenterà poi John Milton in Paradiso Perduto) né Virgilio né Beatrice avrebbero avuto ragione di muoversi. Invece, la funzione guida di Beatrice va ben oltre il viaggio di un singolo individuo: ella può guidare l'umanità stessa. Anche Virgilio ha una doppia funzione: spirituale (nel viaggio nell'aldilà) e terrena.
Contini
modificaNote
modificaBibliografia
modifica- Francesco Maggini, La critica dantesca dal '300 ai nostri giorni, in Questioni e correnti di storia letteraria, Milano: Marzorati, 1949, pp. 123-166
- Daniele Mattalia, Lineamenti di storia della critica dantesca, Firenze: La nuova Italia, 1953
- Mario Fubini ed Ettore Bonora (a cura di ), Antologia della critica dantesca, Torino: Petrini, 1966
- Carlo Dionisotti, Varia fortuna di Dante, in Geografia e storia della letteratura italiana, Torino: Einaudi, 1967, pp. 255-303
- Aldo Vallone, Storia della critica dantesca dal XIV al XX secolo, Padova: Vallardi, 1981
- Roberto Mercuri, Genesi della tradizione letteraria italiana in Dante, Petrarca e Boccaccio, in Alberto Asor Rosa, Letteratura Italiana. Storia e geografia, vol. I: L'età medievale, Torino: Einaudi, 1987, pp. 229-455
- Enzo Esposito (a cura di), Dalla bibliografia alla storiografia. La critica dantesca nel mondo dal 1965 al 1990, Ravenna: Angelo Longo, 1995
- Vincenzo Placella (a cura di), Episodi della storia della fortuna e della critica dantesca fra Cinquecento e Novecento, Napoli: L'orientale, 1999
- Enrico Malato, Storia della letteratura italiana, vol. XI (a cura di Paolo Orvieto): La critica letteraria dal Due al Novecento, Roma: Salerno, 2003, in particolare:
- Saverio Bellomo, L'interpretazione di Dante nel Tre e nel Quattrocento, pp. 131-159
- Paolo Viti, Marsilio Ficino e Dante poeta-teologo, pp. 248-251
- Paolo Viti, Cristoforo Landino e la riscoperta di Dante, pp. 252-259
- Saverio Bellomo, La critica dantesca nel Cinquecento, pp. 311-323
- Luigi Tassone, Dante e Petrarca nel Seicento, pp. 485-505
Collegamenti esterni
modifica- Codice dantesco miniato su pergamena. Manoscritto n.2 conosciuto come Phillipps 9589, conservato presso la Biblioteca del Centro Dantesco dei Frati Minori Conventuali di Ravenna.